Parla USB Pensionati del Veneto: molti ex Cgil rimproverano scarsa tutela e troppi interessi
Domenica 21 Dicembre 2014 alle 00:42 | 0 commenti
Nel pomeriggio di ieri, 20 dicembre, il Sindacato USB Pensionati ha promosso un dibattito aperto a tutti, presso Villa Lattes, per presentare il programma dei pensionati da poco distaccatisi in forze dalla CGIL o che in passato nona derivano a sindacati. A coordinare il tutto Germano Raniero, responsabile della sede di Vicenza. Il Sindacato USB Pensionati si propone di ricoprire il ruolo di punto di riferimento per i pensionati, rendendoli di nuovo partecipi e attivi in una società che, col passare degli anni, ha al suo interno una percentuale sempre maggiore di anziani.
Questi ultimi, però, molto spesso non hanno alcuna voce che li rappresenti realmente, perché i sindacati confederali (lo affermano sia il responsabile USB nazionale Maurizio Scarpa che il responsabile USB pensionati del Veneto Donato Iannaro) non hanno difeso i loro diritti e hanno permesso che venissero approvate leggi come la riforma Fornero senza una vera opposizione.
La crisi economica, afferma Germano Raniero, è innanzitutto una crisi del capitalismo. La povertà è sempre più diffusa, le pensioni (come gli stipendi) sono bloccate e, passata la legge di stabilità , il prossimo anno subiranno una riduzione poiché si andrebbero ad adeguare all'andamento del PIL (che quest'anno chiuderà negativamente). Se ciò avvenisse, sarebbe la prima volta nella storia della Repubblica italiana.
Donato Iannaro spiega che nel 2012 e nel 2013 le pensioni non hanno avuto quell'aumento mensile che, secondo i tassi favorevoli, avrebbe dovuto essere del 7% circa: «Su una pensione di 1050€ netti avrebbe significato un aumento al mese di 87€, 1044€ in un anno (praticamente una tredicesima). Invece sono stati bloccati tutti gli aumenti per le pensioni superiori a 1050€ visto che sotto quella cifra l'aumento mensile sarebbe stato comunque irrisorio. In compenso il potere d'acquisto delle pensioni negli ultimi 15 anni è calato di circa il 30%».
Leggi come la riforma Fornero, affermano i sindacalisti della USB, non andavano neanche discusse eppure sono state approvate dal parlamento. Per questo e altri motivi affermare che il PD sia un partito di centro-sinistra fa «un po' gridare vendetta», dice Iannaro.
Uscire dalla CGIL, continua, non è stato semplice, soprattutto per chi come lui ci ha militato per molti anni (46 per l'esattezza). «Noi siamo degli sconfitti - afferma Maurizio Scarpa - perché ci abbiamo davvero creduto che la CGIL potesse cambiare, però credo che in questo ultimo periodo nel sindacato si sia concluso un periodo storico. In tempi migliori, anche se magari il sindacato non otteneva enormi risultati, comunque la direzione era quella del miglioramento delle condizioni dei lavoratori. Il problema è che la CGIL ha cambiato il suo DNA, perché nel momento in cui il sindacato accetta le regole del mercato e la centralità dell'impresa è evidente che ne diventa complice, perché accetta di sacrificare i diritti dei lavoratori in nome del guadagno. Questo si vede particolarmente nei momenti di crisi, in cui emergono i diversi interessi di classe. È proprio ora che il sindacato dovrebbe difendere allo stremo i diritti dei suoi tesserati, anche solo resistendo per non arretrare. Adesso invece vige l'idea che il lavoro debba generare profitto e che per essere competitivi bisogna cedere su ogni fronte (salari, ore di lavoro, indennizzi). Nel decennio tra il 1968 al 1978 si sono fatte mediamente 130 milioni di ore di sciopero tutti gli anni, con il 1968 in testa con 370 milioni di ore. Sapete quante ore di sciopero si sono fatte durante il ministero della Fornero? 4 milioni. Capite allora che la CGIL è radicalmente cambiata rispetto all'epoca, non c'è più la volontà di contrastare le decisioni del capitale: si fa un po' di fumo, ma sostanzialmente si accetta di far pagare ai lavoratori il prezzo della crisi. Del resto manca lo stimolo a cercare il consenso dei lavoratori quando il 70% dei fondi che sostengono il sindacato non viene più dal tesseramento. Paradossalmente un sindacato, oggi, potrebbe sopravvivere senza lavoratori, ma non può esimersi dal firmare un contratto di lavoro perché i fondi pubblici arrivano soltanto per i firmatari dei contratti».
Attualmente per andare in pensione sono necessari 42 anni di contributi effettivi (bisogna, infatti, recuperare anche tutti i periodi di disoccupazione e malattia). Ciò significa che è praticamente impossibile lasciare il lavoro prima dei 65 anni e molto spesso non si è raggiunta la soglia dei contributi per avere una pensione dignitosa. Il problema è che non tutti i lavori sono uguali: chi, per esempio, lavora in miniera o svolge qualunque altro lavoro fisico non può pensare di continuare ad avere la stessa mansione per così tanti anni perché ne va della sua salute stessa.
In più, col nuovo sistema di conteggio dei contributi, i futuri pensionati percepiranno un indennizzo pari al 45% della loro busta paga (non più il 70-80% come fino a qualche anno fa). Attualmente il 60% delle pensioni della provincia di Vicenza non superano la soglia dei 600€, nonostante siano pensioni lavorative e non pensioni sociali.
Un discorso a parte merita la necessità che il sistema pensionistico resti pubblico. Privatizzare le pensioni farebbe risparmiare allo stato 210 miliardi di euro l'anno, che sarebbero gestiti da assicurazioni e banche, le quali altro non farebbero che speculare in borsa con i soldi dei contributi (basta andare a controllare gli investimenti, riferiti per legge sui loro siti internet, di qualsiasi società che gestisce attualmente le "pensioni integrative").
È esemplare, dice Scarpa, il caso dell'acquisizione della Chrysler: «Sapete perché Marchionne se l'è comprata con un tozzo di pane? Perché la Chrysler era proprietà del fondo pensione dei lavoratori della Chrysler stessa. Quando stava per fallire, i lavoratori hanno dovuto accettare di tutto, anche ridursi del 40% gli stipendi, per salvare la fabbrica e il fondo pensione. Altrimenti avrebbero perso sia il lavoro che la pensione stessa. Altro che ricatto, sarebbe stato un suicidio. Hanno accettato licenziamenti, abbattimenti e anche, alla fine, la vendita del fondo pensioni al 50% del suo valore perché piuttosto di niente era meglio il ‘piuttosto'. Tutti i fondi pensione privati, del resto, sono investiti su grandi multinazionali».
Ala fine dell'incontro si è accennato anche al problema della sanità pubblica, che per USB dovrebbe rimanere tale e gratuita perché nella condizione in cui versano molte famiglie italiane, pensionati in primis, si arriva a rinunciare a curarsi per colpa del costo eccessivo di ticket, medicinali o visite specialistiche private. L'alternativa è aspettare otto mesi per una visita cardiologica.
Intanto da oggi un'alternativa sindacale per i pensionati c'è o, almeno, a questo punta l'USB in una fase in cui i cambiamenti dei vecchi equilibri possono essere o vanno ridefiniti.
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