Ora i big tutti contro Mark Zuckerberg
Martedi 10 Aprile 2018 alle 21:17 | 0 commenti
È fondamentale che Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook, prenda sul serio l'ondata di criticismo che si sta diffondendo in tutto il mondo contro il social network. Dalle istituzioni agli utenti, è qualcosa che non può essere ignorato. Dicono questo le parole di Jack Ma, l'uomo più ricco della Cina e il fondatore del multimiliardario sito di eCommerce Alibaba, estorte dalle domande dei giornalisti durante ilBoao Forum for Asia. Vorrebbe evitare di parlarne, ma alla fine cede (nell'immagine da sx Mark Zuckerberg di Facebook, Eric Schmidt di Google, Jeff Bezos di Amazon e Tim Cook di Apple).
"È il momento di sistemare i problemi - dice -. È il momento di prenderli sul serio. E penso che saranno risolti". Chi parla ha ben chiaro il problema: l'ondata di repulsione e l'attacco alla reputazione potrebbe colpire anche il business di Alibaba da un momento all'altro. La velocità con cui si cresce nell'online può essere la stessa con cui si muore. Online, la reputazione è tutto. "Non dovremmo uccidere la compagnia a causa di questi problemi - ha detto Ma -, Facebook 15 anni fa non si aspettava di crescere così tanto. Sono venuti fuori tutti i problemi che non poteva prevedere".
La posizione più interessante da osservare dopo lo scandalo Cambridge Analytica (con il quale si è scoperto che i dati di milioni di utenti raccolti su Facebook erano non solo trasmessi ad aziende terze rispetto a chi era autorizzato a prenderle ma anche usati per cercare di influenzare le elezioni) è quella dei ‘grandi della Terra', i grandi del web, nell'accezione odierna. Grandi economicamente: imperi costruiti sull'idea dell'innovazione e del digitale a tutti i costi. Multinazionali che si sono ingrossate con Internet e le tecnologie e che si esprimono contro o a favore di Zuckerberg a seconda delle analogie tra il loro business e quelle del fondatore del social di Menlo Park.
Prima di Jack Ma, il Ceo di Apple, Tim Cook, in un'intervista a Msnbc e Recode ha ad esempio virtualmente ‘schiaffeggiato' Zuckerberg: "Cosa farei se fossi al posto di Mark Zuckerberg? - ha detto - Non sarei finito in questa situazione". Un'operazione d'immagine non da poco. A ridosso dello scandalo Cook ne ha approfittato per rinforzare l'immagine della propria azienda e dei suoi prodotti notoriamente inviolabili. "Potremmo fare un sacco di soldi se monetizzassimo i nostri clienti, se i nostri clienti fossero il nostro prodotto. Abbiamo scelto di non farlo. La privacy per noi è un diritto umano, una libertà civile". Posizione sostenuta, ieri, anche dal co-fondatore di Apple, Steve Wozniak: "Ogni giorno - ha detto in una mail inviata a Usa Today - gli utenti forniscono a Facebook dettagli della loro vita e con questo Facebook fa un sacco di soldi dalla pubblicità . I profitti si basano tutti sulle informazioni degli utenti ma agli utenti non va niente". Ha poi aggiunto che preferirebbe pagare per Facebook piuttosto che lasciare che la pubblicità sfrutti le sue informazioni personali. Gratuità contro pagamento: quando la polemica scandita dalla cronaca si sarà placata resterà l'unico dibattito aperto, su cui già da tempo ci si interroga. Tanto che lo stesso Zuckerberg, nel rispondere a Cook ha sottolineato la differenza tra i loro modelli di business. "Se vuoi creare un servizio che non sia solo per i ricchi devi avere qualcosa che le persone possono permettersi. Penso che sia importante non avere tutti la sindrome di Stoccolma e lasciare che le aziende che lavorano duramente per farti pagare di più ti convincano che in realtà si preoccupino di te mi sembra ridicolo".
Non parla Google, impegnato a rimbalzare le accuse mosse a Youtube e alla sua gestione dei dati: ieri 20 studi legali hanno fatto sapere di aver sporto un reclamo alla Federal trade commission, l'antitrust Usa, per la raccolta di informazioni commerciali sui bambini e i loro gusti tramite Youtube. Non parla Amazon, con il capo Jeff Bezos impegnato a respingere la sempre maggiore pressione proveniente dal presidente Usa, Donald Trump. Non parla Uber, che di dati trafugati e diffusi ha un'esperienza approfondita dopo i leak dei mesi scorsi (dati rubati a circa 57 milioni di utenti in tutto il mondo). Parla, invece, Elon Musk: il fondatore di Tesla nelle settimane scorse ha cancellato le pagine Facebook delle sue aziende, Space X e Tesla, e ha per primo sposato la causa del boicottaggio al social network. Una piccola vittoria per uno tra i pochi che da anni prova a mettere un freno all'eccessivo tecno-entusiasmo e a mettere in guardia sulle conseguenze legate all'intelligenza artificiale (che si nutre appunto di dati e informazioni). A luglio si era scontrato con lo stesso Zuckerberg che aveva bollato le parole di Musk come "superficiali e irresponsabili". Musk, con la sua solita irriverenza aveva risposto via Twitter: "Ne ho parlato con Mark. La sua comprensione dell'argomento è limitata". Oggi, forse, sta avendo la sua piccola vendetta.
di Virginia Della Sala, da Il Fatto QuotidianoÂ
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