Olimpias e la verginella Donazzan
Domenica 9 Maggio 2010 alle 00:01 | 0 commenti
La cosa che dà più fastidio, quando 127 persone vengono buttate sulla strada come accadrà ai lavoratori della fabbrica tessile vicentina Olimpias, non è tanto che il maggior partito di sinistra o presunta tale, il Pd, neppure citi nel suo comunicato ufficiale i responsabili diretti, i "progressisti" Benetton.
In questo siamo nella normalità del fiancheggiamento interessato, come coi Colannino, i Passera, i Profumo, i De Benedetti (tessera n° 1 del partito di Bersani e D'Alema). No, a farci cascare le braccia e anche qualcos'altro è l'ipocrisia o, a voler esser buoni, l'incomprensione del meccanismo che sta a monte di queste tragedie sociali. Ciò che nessuno capisce o fa finta di non capire, a destra e a sinistra, è che l'industrial-capitalismo non ha che una logica: quella del massimo profitto.
Là dove esso viene meno, in quanto una produzione non è più conveniente perchè così decide la strategia aziendale, l'imprenditore chiude baracca e burattini e lascia a piedi la gente che lavora. La questione si riduce, drammaticamente, solo e soltanto a questo.
Una che ha il prosciutto sugli occhi, ad esempio, è l'assessore Elena Donazzan. «Il Gruppo Benetton, un'imprenditoria sempre meno umana e legata al territorio e sempre più finanziaria e priva di interesse nazionale»: questa la condanna della record-girl di voti in Veneto, che ragiona come se un'impresa avesse un cuore. Ma l'impresa, qualsiasi essa sia, un cuore non può averlo, se non al limite per fare beneficenza e foraggiare tutte quelle pelose iniziative caritatevoli mirate al tornaconto d'immagine e quindi, in ultima analisi, ad attirar quattrini. L'imprenditore, evoluzione moderna del mercante, segue solo il cervello, agisce in base al calcolo, e insegue unicamente il plusvalore, cioè il guadagno. La sua responsabilità "sociale", se c'è, viene sempre dopo e in subordine all'imperativo del proprio interesse. Punto. Le considerazioni umanitarie e localiste, nella mente di individui che badano solo al bilancio e allo sviluppo del proprio capitale, sanno di ridicolo paternalismo, e infatti lasciano il tempo che trovano. Se poi si tratta, come nel caso dei Benetton, di una multinazionale con interessi nei campi più disparati, al centro dei grandi intrecci della finanza nazionale, pare davvero infantile rimproverarla di essere cattiva e dispettosa. Se invece ci si vuole raccontare le favole e accusare il leone di non avere pietà per la gazzella, la gazzella continuerà a essere sbranata. Fuor di metafora: se ci si balocca con idee che nulla hanno a che vedere con il brutale principio intrinseco che, al di là delle intenzioni del singolo capitalista, regola il mercato, siamo destinati a sentire lamentele e pianti greci (Grecia docet) come quello della Donazzan, e non ci accingeremo mai ad affrontare il problema dei problemi: il primato dell'economia sulla vita, del denaro sulla dignità . Dell'arrogante diritto della crescita aziendale sul diritto ad una vita decente e serena. Per tutti.
L'industria moderna, specialmente nella sua ultima versione globalizzata e borsificata, cioè slegata dal territorio d'origine e dall'epica del rischio individuale, è programmata nella sua stessa essenza ad escludere ogni criterio e ogni valore che non siano riassumibili nella ricerca del profitto. L'etica che secondo politici e sindacalisti un imprenditore dovrebbe avere, se per etica intendiamo una condotta dettata da idealità e non solo dal conto economico, è una pia illusione.
Spiegatelo, alle finte verginelle.
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