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Categorie: Politica
A otto anni di distanza da quella strage di innocenti cosa si vuol fare? Si può prendere atto, per esempio, che se quell'attacco, pieno di interrogativi sulla responsabilità dell'amministrazione statunitense, non fosse avvenuto, gli Americani avrebbero dovuto inventarselo. Perché ha fornito un potente pretesto per una "guerra al terrore" praticamente infinita e senza un nemico identificato, che ha permesso e permette tuttora a Washington di invadere paesi scomodi per la sua egemonia sul pianeta. Con le buone e con le cattive. Fabbricando inesistenti prove su fantomatici pericoli (le armi di distruzione di massa irakene) e su inconsistenti legami con un'Al Qaeda dai contorni nebulosi (la damnatio verso i Talebani, fedeli alleati ben foraggiati dagli Usa ai tempi del conflitto con l'Urss). E dando una giustificazione ideologica, l'esportazione del modello di vita occidentale, alla dominazione di un Impero che si sente investito di una missione ch'era quella vagheggiata da Hitler: la conquista del mondo.
E ora ci diano pure degli anti-americani, i Giulianati e compagnia. Se l'America non si arrogasse il diritto di ficcare il naso nelle faccende di tutti, non avremmo niente contro i suoi soldati. Ma invece no: spinto dalla sete di dominio dei mercati e delle anime - perché ovunque vadano, gli Americani ci vanno con le loro industrie, i loro prodotti, la loro way of life - l'Impero prende la scusa del terrorismo per fare il bello e il cattivo tempo. Intendiamoci: i terroristi islamici ci sono e se scoperti vanno messi in galera (possibilmente con regolari processi, non con la barbarie delle detenzioni illegali che anche sotto Obama continuano imperterrite). Ma quel fatidico giorno di settembre del 2001, lasciando pure stare i dubbi e le incongruenze che gettano un'ombra fosca sulla Casa Bianca, rappresenta in ogni caso la reazione, a lungo covata e repressa, di intere popolazioni risentite con l'America e la sua arrogante politica. I festeggiamenti sparsi per tutto l'universo musulmano di quei giorni devono far riflettere. Perché significano che gli Stati Uniti non sono la soluzione: sono uno dei problemi.
Noi perciò non commemoriamo un bel niente. Non siamo tutti americani. Siamo italiani e siamo europei. E sogniamo il giorno in cui non saremo più legati al guinzaglio Usa. Il giorno in cui saremo, dopo settant'anni, nuovamente liberi.
Non siamo tutti americani
Venerdi 11 Settembre 2009 alle 16:47 | 0 commenti
Oggi, nella sede nobile della Provincia, a villa Cordellina Lombardi di Montecchio Maggiore, il comitato vicentino per l'11 settembre commemorerà quella che il suo presidente, Mario Giulianati (uno dei tre firmatari del Patto per Vicenza), chiama "data spartiacque": l'attentato alle Torri Gemelle di New York del 2001. Sarà presente uno stuolo di rappresentanti istituzionali del governo italiano, della commissione esteri della Camera dei deputati, del consolato Usa di Milano, della Regione Veneto, della Provincia di Vicenza, dei Comuni di Vicenza e di Montecchio Maggiore, il Comandante Generale della Setaf ed altre autorità civili e militari. La celebrazione in pompa magna ha lo stesso spirito, dice sempre il forzista Giulianati, del Patto: "e adesso, cosa facciamo?" (Giornale di Vicenza, 8 settembre 2009).
A otto anni di distanza da quella strage di innocenti cosa si vuol fare? Si può prendere atto, per esempio, che se quell'attacco, pieno di interrogativi sulla responsabilità dell'amministrazione statunitense, non fosse avvenuto, gli Americani avrebbero dovuto inventarselo. Perché ha fornito un potente pretesto per una "guerra al terrore" praticamente infinita e senza un nemico identificato, che ha permesso e permette tuttora a Washington di invadere paesi scomodi per la sua egemonia sul pianeta. Con le buone e con le cattive. Fabbricando inesistenti prove su fantomatici pericoli (le armi di distruzione di massa irakene) e su inconsistenti legami con un'Al Qaeda dai contorni nebulosi (la damnatio verso i Talebani, fedeli alleati ben foraggiati dagli Usa ai tempi del conflitto con l'Urss). E dando una giustificazione ideologica, l'esportazione del modello di vita occidentale, alla dominazione di un Impero che si sente investito di una missione ch'era quella vagheggiata da Hitler: la conquista del mondo.
E ora ci diano pure degli anti-americani, i Giulianati e compagnia. Se l'America non si arrogasse il diritto di ficcare il naso nelle faccende di tutti, non avremmo niente contro i suoi soldati. Ma invece no: spinto dalla sete di dominio dei mercati e delle anime - perché ovunque vadano, gli Americani ci vanno con le loro industrie, i loro prodotti, la loro way of life - l'Impero prende la scusa del terrorismo per fare il bello e il cattivo tempo. Intendiamoci: i terroristi islamici ci sono e se scoperti vanno messi in galera (possibilmente con regolari processi, non con la barbarie delle detenzioni illegali che anche sotto Obama continuano imperterrite). Ma quel fatidico giorno di settembre del 2001, lasciando pure stare i dubbi e le incongruenze che gettano un'ombra fosca sulla Casa Bianca, rappresenta in ogni caso la reazione, a lungo covata e repressa, di intere popolazioni risentite con l'America e la sua arrogante politica. I festeggiamenti sparsi per tutto l'universo musulmano di quei giorni devono far riflettere. Perché significano che gli Stati Uniti non sono la soluzione: sono uno dei problemi.
Noi perciò non commemoriamo un bel niente. Non siamo tutti americani. Siamo italiani e siamo europei. E sogniamo il giorno in cui non saremo più legati al guinzaglio Usa. Il giorno in cui saremo, dopo settant'anni, nuovamente liberi.
Alessio Mannino
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