Manca alla democrazia una destra "normale": il problema. Un po' minore nel Veneto bianco
Domenica 17 Maggio 2015 alle 23:30 | 0 commenti
Una volta, tanti anni fa, la questione centrale della giovane democrazia italiana era l'assenza di una sinistra democratica e di governo prima che il Pci si staccasse gradualmente e non senza traumi dall'influenza opprimente dell'allora Unione Sovietica e si disponesse al confronto e al dialogo con i partiti di centro e dintorni aprendo la strada ai governi di centrosinistra e, poi, a quelli ancora più recenti, griffati Ulivo e PD, l'evoluzione, per alcuni l'involuzione, del Pci, poi Ds, verso un progetto di società in cui le due anime, quella democristiana e quella socialista, cercano una sempre più complessa sintesi.
Se la "democratizzazione" del Pci è stato il problema da risolvere e poi risolto dell'Italia del secondo dopoguerra, oggi in un'Italia, la cui la democrazia dovrebbe essere più adulta, il problema appare proprio l'opposto.
A pesare sul ritorno a un confronto reale, democratico, progettuale, una volta si diceva ideologico,  e, quindi, costruttivo e non imbalsamante o, peggio, distruttivo è proprio l'assenza di una destra di proposta e di confronto, quella che L'Espresso in edicola definisce "normale".
Allo sfascio di Forza Italia, che dissolvendosi ha generato mille rivoli di pseudo formazioni e gruppi, si aggiunge la ricerca spasmodica del consenso da parte di una Lega, che rinuncia sempre di più al suo suffisso Nord per raccogliere il popolo manganellante della destra storica, che nella Lega populista, non più concordemente federalista ma crescentemente nazionalista, si raccoglie ora per reciproco opportunismo ma che nel partito del grande collettore di voti griffato Salvini non potrà ideologicamente riconoscersi in un futuro che comunque non vedrà maggioritario il progetto tattico attuale.
Se alle divisioni endemiche del centrosinistra del Pd, la cui ala di dissenso progressista si dimostra comunque pavida nel non cercare coesioni organiche con la sinistra più tradizionale, che senza la linfa sdoganante di quell'area difficilmente rientrerà nel gioco che conta, si aggiunge la frammentazione delle forze alla sua destra ecco spiegata le sabbie mobili attuali della politica italiana in cui il decisionismo e la forza di comunicazione di Matteo Renzi sono gli unici, insufficienti elementi di calcificazione.
E in Veneto?
Da noi, vuoi per l'atavica qualifica di regione col Dna bianco vuoi anche, non casualmente, per il profilo moderato dei candidati principali alla presidenza, dal leghista tradizional-borghese Zaia alla democratica dei salotti buoni Moretti, dal sindaco ex Lega, ora fittiano e passeriano, Tosi fino addirittura al pentastellato alla veneta Berti, le divisioni del Pd paiono irrilevanti e la svolta a destra della Lega è limitata a qualche esibizione di Salvini & c. su palchetti senza pubblico inneggianti all'autodifesa e all'espulsione degli immigrati, brutti e cattivi.Â
Questo appiattimento moderato qualunquista è un vantaggio o uno svantaggio per la terra una volta del Leone di S. Marco ora degli appalti truccati e delle megatangenti?
Se sarà il futuro a dirlo, per noi le sabbie mobili dell'Italia e la palude melmosa del Veneto hanno in comune una sola, devastante conseguenzs: in entrambe, anche se in maniera e con tempistiche diverse, si affoga.
Agitarsi può accelerare la fine?
Ma rimanere immobili di sicuro non darà scampo.
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