L'intervento oggi al Cuoa di Marina Bergamin al convegno "A che punto è la crisi?"
Giovedi 30 Giugno 2011 alle 17:54 | 0 commenti
Cgil Vicenza - A che punto e’ la crisi? …e cosa possono fare gli attori di un territorio per promuovere nuove traiettorie di crescita?
Esattamente due anni fa la nostra CdL produsse un fascicolo, inviato anche allora, a tutti gli attori del territorio vicentino, che poi è passato nella nostra mente con un titolo che, dopo il 1° novembre, non abbiamo più usato: “L’alluvione, i sacchi di sabbia e i nuovi argini†(per la Photo gallery della tavola rotonda al Cuoa clicca qui, per i commenti Prc PdCI qui, per il programma generale qui e per l'introduzione qui).
Con questa metafora, si prendeva atto della violenza di una crisi strutturale che aveva colpito fortemente anche il territorio vicentino (senza l’intenzione – in quella sede - di esplorarne i motivi), si segnalavano le urgenze, legate – in particolare – all’occupazione, ma si avvertiva l’esigenza di cominciare da subito a ‘riparare gli argini’ e di pensare a politiche nuove, a nuove relazioni, a nuove traiettorie per la nostra economia – come recita il titolo della tavola rotonda di oggi – che è e deve restare a forte vocazione manifatturiera.
Dal 2009, in verità , si sono susseguiti confronti, riunioni, anche qualche accordo esplicito o tacito (salvaguardare il più possibile l’occupazione, per esempio, promuovendo i contratti di solidarietà , o l’accordo con la Provincia per l’anticipazione della Cigs o il Patto per il lavoro con Cariverona ecc.).
Molto poco, invece, ci siamo confrontati, come attori sociali di un territorio a forte vocazione manifatturiera, su cosa produrre, come produrre, con quale corredo di servizi e infrastrutture, con quali alleanze e sinergie, con quali relazioni industriali: queste saranno permanentemente questioni di attualità .
Credo che siamo tutti d’accordo nel dire che sarà sulla qualità che si giocherà una la sfida, e che -  com’è apparso chiaro in questi anni - il territorio diventa un fattore decisivo di competitività se sa attrarre competenze, persone, investimenti.
Dobbiamo parlare, quindi, di qualità della produzione ma anche del modo di produrre, di trasportare, promuovere prodotti e servizi; di buon funzionamento delle istituzioni locali e di buoni servizi ai cittadini e alle imprese; di politica ambientale più rispettosa del territorio del passato, di relazioni sociali e di accoglienza verso culture differenti; di formazione e di competenze professionali…
Se ciò è vero, sono necessariamente molti gli attori interessati a rincorrere questa qualità .
Insomma, si può pensare – illusoriamente - che si possa uscirne mantenendo lo stesso modello di sviluppo dei decenni precedenti, con le stesse relazione degli anni passati, con un allentamento dei vincoli, magari della legalità (Arzignano insegna) ed un arretramento delle tutele sia verso l’ambiente che verso i diritti dei lavoratori o della sicurezza nei luoghi di lavoro.
Oppure si fa un salto di qualità , rafforzando quelle condizioni favorevoli che già sono presenti in alcune parti del sistema e correggendo i limiti di posizioni che rimangono legate al passato.
Non sembri questo un discorrere tutto teorico: le Rsu qui presenti fanno i conti tutti i giorni con i problemi di cui parleremo oggi: l’impresa dove lavoro ce la farà a traguardare la crisi? Sta facendo i necessari investimenti? Ha un piano industriale o vuole abbandonare il paese, come ha ventilato provocatoriamente l’assemblea di Api della scorsa settimana? E sempre di più sono messe davanti allo scambio duro, per noi inaccettabile, di ‘lavoro contro diritti’.
Ovviamente noi spingiamo per una prospettiva di rilancio, che tenga lavoro e diritti e vi chiediamo se siete d’accordo e se a Vicenza si stia imboccando quest’ultima strada, come e con chi. Ci / vi chiediamo se le categorie economiche, il sindacato, le istituzioni, pur nella diversità dei ruoli, si stiano confrontando per individuare punti di forza e criticità ed elaborare delle strategie di medio periodo.
Segnaliamo qui alcuni aspetti che segnano uno spartiacque tra una prospettiva di stagnazione prolungata, con tendenza a declino, e la possibilità di agganciare la ripresa ritornando a conquistare posizioni di primazia (e quindi di recupero occupazionale), lasciando in penombra temi importanti come, ad esempio, le infrastrutture materiali e immateriali.
Il primo problema riguarda la difesa del sistema manifatturiero, che passa – a nostro avviso - per l’innalzamento del suo tasso di innovazione e della sua produttività . Anche se siamo abituati a legare questa parola al fattore lavoro, in realtà , secondo i canoni dell’economia la produttività dipende innanzitutto da strutturali fattori di fondo:        Â
investimenti tecnici e tecnologici,
coerenza delle dimensioni critiche dell’impresa (rapporto risorse/mercati),
orientamento all’innovazione,
politiche di servizio (brand, reputazione, immagine, ecc.).
Anche l’organizzazione del lavoro, evidentemente, ma non unicamente.
Noi vi diciamo che su questi aspetti solo una frazione del sistema, soprattutto tra le medie imprese di eccellenza, ha colto la necessità di spostare decisamente l’attenzione su questi temi e si dibatte da sola con le difficoltà dell’export, vincente finora, ma soggetto ad una pesantissima concorrenza che chiede nuove politiche di promozione nel mondo che molte imprese non riescono ad avere.
Vanno lasciate nella storica autoreferenzialità queste imprese? Noi crediamo di no.
Crediamo nel ruolo delle Associazioni di categoria ma anche di Istituzioni come Camera di Commercio, Fiera, Università oltre che, naturalmente, Enti Locali e Regione, che ha in mano un ruolo rilevante nell’indirizzare politiche industriali, dei servizi e della formazione.
E’ anche in mano loro il tema della ‘crescita’ delle imprese, dove per crescita ci si riferisce solo in parte alla dimensione, ma anche alla crescita della capacità di relazione dell’impresa e alla crescita delle competenze.
C’è qualcuno, per esempio, che promuove con convinzione i cd ‘contratti di rete’, funzionali – appunto – a creare relazioni tra imprese?
C’è qualcuno che progetti un luogo dove mettere insieme medie/grandi e piccole imprese (‘coesione di filiera’) per progettare il rilancio di settori magari destinati a ridimensionarsi ma, secondo noi, con perseveranti potenzialità (concia, orafo) o i settori innovativi come il risparmio energetico, l’energia pulita, la tutela ambientale o la famosa meccatronica ecc.?
Dopo la vittoria dei tre referendum su acqua e nucleare una spinta verso l’economia verde, altrimenti indicata come sostenibile, si impone. L’economia verde non è un tipo di prodotto, ma attraversa tutti i settori di produzione e le modalità di produzione, di costruire, di riparare, riutilizzare... E’ questa, oltre che una necessità per il pianeta, un’opportunità per l’economia e il lavoro.
Le associazioni di categoria, la Cciaa possono intervenire in maniera autorevole su questo? Noi crediamo di sì. E crediamo che anche il lavoro abbia qualcosa da dire e che non sia sufficientemente valorizzato il contributo di professionalità , conoscenze, capacità , fatica, che operai, impiegati, tecnici operanti nella nostra manifattura esprimono. E vi faccio un esempio: sul tema concia, sul tema ‘green valley’ il lavoro è stato interpellato solo di striscio, un gentile ospite. Troppo poco.
Del ruolo importante della Camera di Commercio sappiamo ma, nella nostra testa, la vedremmo a capo di alcuni progetti forti ed esplicitati anche alla comunità , con uno sguardo proiettato al futuro, cerniera tra pubblico e privato, promotrice di logiche di rete e incubatrice di idee, promotrice del lavoro dei giovani, oggi forze e intelligenze sottoutilizzate poiché nelle imprese si bada prima di tutto a quale contratto (o non contratto) usare con loro per risparmiare.Â
Per noi poi la Fiera, che resta società di promozione delle aziende del territorio e non società fine a sé stessa, deve innestarsi in questo disegno, con interventi dinamici, finalizzati ad accompagnare le aziende locali, in modo collettivo, nel mondo e contemporaneamente il mondo deve essere attirato qui,  poiché il rischio altrimenti è che di una Fiera – così come l’abbiamo conosciuta -  non ci sarà più bisogno. Né ci sarà bisogno di una nuova struttura.
Abbiamo una seconda riflessione/proposta: noi crediamo che si debbano definitivamente abbandonare pratiche – anche di gestione del personale – in alcuni settori poco trasparenti (concia) e costruire relazioni industriali costruttive e non occasionali basate sul rispetto contrattuale, la tutela della sicurezza, la formazione continua soprattutto per le figure chiave, una gestione contrattata di orari e flessibilità . Forse abbiamo bisogno di qualche manager intelligente ma anche rispettoso in più.
Abbiamo, anche in provincia, buone pratiche…che però restano di stretto appannaggio della singola impresa e non diventano patrimonio comune, prassi da ‘copiare’. E’ un appello indirizzato, evidentemente, alle Associazioni datoriali e anche a noi stessi.
Noi notiamo che dedichiamo tanto del nostro reciproco tempo nella negoziazione delle solite questioni: orari, flessibilità , deroghe sì o deroghe no, straordinari, premi spesso legati alla presenza ma poco o nulla su formazione, aumento della professionalità e dell’autonomia di chi lavora; poco su come aprire prospetive ai giovani e poco su come mettere al bando la precarietà lavorativa. Eppure è certo che la precarietà lavorativa faccia malissimo a chi la subisce, ma male anche alle imprese!
Il terzo grumo di riflessioni riguarda il sistema scolastico, della ricerca e dei processi formativi e professionali permanenti. Il gap, rispetto ai paesei europei e occidentali, resta consistente.
Importante l’attenzione sulla scuola, ahimè un po’ acciaccata dagli ultimi provvedimenti governativi, il rafforzamento del Polo universitario e del Polo tecnologico a Vicenza, anche se poi servono sbocchi professionali per quei giovani che oggi, anche in Veneto, hanno poche chanches (23% sono i disoccupati, in cerca, neet).
Ma al sistema dell’istruzione si deve abbinare il sistema della formazione continua, deve darsi delle strategie che valorizzano concretamente le risorse professionali del mondo del lavoro; che si impegnano stabilmente per far crescere le competenze; che facilitano la riconversione professionale; che danno spazio all’inserimento di nuove professionalità .
Le risorse ci sono (fondi interprofessionali) e molte se ne stanno spendendo sulla formazione (Fse), soprattutto nei confronti dei disoccupati, eppure in nessun tavolo ci siamo confrontati sulla previsione di quali saranno i fabbisogni professionali nei prossimi anni, uscendo da una cultura della risorsa umana tutta rivolta al passato. Né stiamo guardando bene alla sacca dei nostri disoccupati ‘classici’, uomini e donne, ai quali nessuno aveva mai detto che bisognava ‘apprendere per tutta la vita’ e che ora si trovano a frequentare improbabili corsi di formazione cad cam.
Vi rappresento un’ultima considerazione, che io considero anche di rango ‘etico’: alcuni di noi (pochi) si rincorrono sui media sui temi dell’immigrazione, quando accade qualcosa, di solito qualche strappo umano o costituzionale. Insieme non siamo riusciti a dire e a trasmettere una verità (oltre che la verità dell’umanità ), cioè che se si bloccasse l’immigrazione verso il nostro paese avremmo un problema a coprire molte professioni, un crollo della competitività , con l’innalzamento medio del costo del lavoro e uno scompaginamento dell’assistenza privata delle persone anziane e disabili e con gravi conseguenze sull’occupazione femminile già scarsa. Anche per questa via, insieme, dovremmo mantenere quella coesione sociale necessaria ad affrontare le crisi. Il tema immigrazione non è tema di Caritas ma tema di tutti noi. E noi vi diciamo che siamo preoccupati.
Se questi sono solo alcuni dei problemi che abbiamo davanti, se i soggetti propulsori di pezzi di sistema sono molti ma insufficienti da soli, chi prende in mano il bandolo di questa matassa per primo: le singole imprese magari con un ‘corpo a corpo’ con il sindacato per strappare ulteriore flessibilità del lavoro? Le Associazioni di categoria? le Istituzioni, le Intese programmatiche d’area? Questo è il quesito di oggi.
Vicenza è inserita in un ambiente produttivo ricco e articolato e ciò rappresenta un elemento di tenuta, ma questo deve essere anche una premessa per la ripresa. Servono alleanze strategiche di lungo periodo che godano del consenso di un’ampia rete di attori, che facciano sentire chi abita, lavora e produce appartenente ad una comunità accogliente ma che accetta le sfide.
E’ questo – a nostro parere - il modo migliore per affrontare le crisi e traguardarle.
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