Libia, siamo in guerra: di Andrea Paparella di Nuova Società
Sabato 19 Marzo 2011 alle 20:39 | 0 commenti
di Andrea Paparella, Nuova Società Â
Sono le 18 ora italiana. In piazza Tahrir, a Tobruk, esplode la gioia liberatoria del popolo libico: dal maxischermo che trasmette i costanti aggiornamenti dell'emittente araba Al Jazeera si apprende la notizia del primo attacco dell'aviazione francese. Pochi minuti prima, infatti, alcuni caccia transalpini hanno effettuato il primo raid dell'intervento Onu, colpendo quattro carri armati delle forze governative fedeli al colonnello Muammar Gheddafi.
L'inizio dell'intervento delle forze internazionali, per la verità , era ormai solo questione di tempo. La risoluzione approvata ieri dal Consiglio di sicurezza dell'Onu non lasciava spazio a fraintendimenti: no fly zone, embargo sulle armi e, soprattutto, immediata protezione dei civili a Bengasi. Le forze del Rais, proprio nelle scorse ore, avevano raggiunto la città , l'ultimo bastione degli insorti. Fiaccati dai continui bombardamenti dei caccia libici, gli insorti hanno perso, una ad una, tutte le regioni conquistate ed erano pronti all'ultima resistenza proprio a Bengasi. Gheddafi aveva quindi annunciato che non avrebbe avuto alcuna pietà , usando una poco benaugurante espressione: «Sarà un inferno».
L'Onu non ha potuto esimersi da prendere una decisione, al fine di evitare quello che si prospettava come un bagno di sangue. A spiegare la decisione è stato, poche ore prima dell'attacco, il Presidente francese Nicolas Sarkozy, che più di tutti si è speso per un intervento tempestivo: «Gheddafi non ci ha ascoltato. Ora siamo pronti con ogni mezzo a fare rispettare la decisione dell'Onu - ha sottolineato - Abbiamo dovuto prendere una grave decisione, ma la nostra determinazione è totale. La porta della diplomazia verrà riaperta quando si fermerà l'aggressione contro il popolo libico. Per evitare il peggio, Gheddafi rispetti senza indugi e senza riserve la risoluzione delle Nazioni Unite». Infine, lo stesso Sarkozy aveva preannunciato il via libera alle operazioni militari: «Oggi interverremo con i nostri partner per proteggere la popolazione civile contro la follia omicida di un regime che uccide la propria gente. Interverremo per permettere ai libici di scegliere il proprio destino».
Parigi ha assicurato la leadership dell'azione militare, potendo contare su circa 100 caccia, tra Rafale e Mirage, oltre agli aerei radar Awacs. La portaerei Charles De Gaulle, al momento a Tolone, potrebbe far rotta a breve verso il Nord Africa, mentre le fregate Jean Bart e Forbin sono già a largo delle coste libiche. La Gran Bretagna, quasi certamente appoggiandosi a Malta, schiererà i Tornado e gli Eurofighter, oltre alle fregate Westminster e Cumberland, già nelle acque del Mediterraneo. E già pronti all'azione sono anche gli F-15 e F-16 americani della base italiana di Sigonella, in Sicilia. Gli altri Paesi che hanno già messo a disposizione i propri velivoli sono Danimarca, Norvegia, Paesi Bassi e Belgio. Infine, la Grecia, che ha dato il via libera all'uso delle proprie basi.
Allineata con la posizione Onu anche l'Italia. Nonostante la ben nota e sbandierata amicizia con Gheddafi, il premier Silvio Berlusconi non ha potuto tirarsi indietro di fronte al massacro messo in atto dall'ormai ex alleato: «L'Italia metterà a disposizione, almeno per ora, solo le basi militari - ha spiegato - ma siamo disponibili a fornire mezzi se ci verrà richiesto». Il riferimento è alla reale possibilità che dei nostri caccia possano partecipare ai raid in territorio libico, mentre è stata esclusa l'eventualità di un intervento via terra. Ancora il premier ha voluto tranquillizzare in merito alle possibili rappresaglie che la nostra partecipazione all'intervento potrebbero innescare: «I missili libici non possono raggiungere l'Italia, la loro gittata non è sufficiente».
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