Libero: Fuori i nomi dei ladri delle Popolari venete
Lunedi 3 Luglio 2017 alle 10:14 | 1 commenti
Arriva in Parlamento il decreto sulle banche venete. Il calendario è rigidissimo ed è stato imposto dal governo per evitare assalti o intoppi. Entro il 10 luglio il testo sarà votato dall'aula della Camera, probabilmente senza alcuna modifica. Una, invece, sarebbe indispensabile. Lo stesso premier Paolo Gentiloni, che nei giorni scorsi ha promesso la massima trasparenza sulla vendita di PopVicenza e Veneto Banca a Intesa Sanpaolo, dovrebbe proporre una misura volta a fare chiarezza sulle cause del sacco bancario del Nord Est.
O, ancora meglio, una norma per portare alla luce (e poi alla sbarra, se del caso) i responsabili di una macelleria creditizia clamorosa e ancora oscura che peserà sulle tasche dei contribuenti tra i 5 e 17 miliardi di euro. Compreso il Monte dei paschi, il conto finale supererà abbondantemente i 20 miliardi finora stanziati. In effetti, il denaro che uscirà dalle casse dello Stato è centrale in questa vicenda. Le nuove regole europee stabiliscono, di fronte al dissesto finanziario di un istituto di credito, un contributo obbligatorio di azionisti e obbligazionisti (il principio si chiama bail in) per tappare i buchi nei bilanci. Con Vicenza e Montebelluna si è scelta una soluzione diversa (sempre nell'ambito delle regole Ue), con la quale il sacrificio viene esteso, di fatto, a tutti i cittadini. I quali, a loro insaputa e senza poter scegliere, domenica 25 giugno, hanno appreso di essere "soci" delle due banche portate alla liquidazione ordinata (coatta amministrativa). E invece di far pagare i colpevoli, si è deciso di socializzare il più possibile le perdite. La brutta notizia è arrivata col il consiglio dei ministri convocato proprio per il decreto legge: si tratta del testo - ora preso di mira da Lega e Cinque Stelle, pronti a dare battaglia che ha dato il via al pasticcio. Da un lato, con la nascita della discarica pubblica dei buffi delle banche venete; dall'altra, con il regalo a Intesa che le ha comprate per un euro, ottenendo pure una serie sterminata di agevolazioni, garanzie pubbliche, deroghe sui requisiti patrimoniali e incentivi per ridurre il personale (altro che missioni patriottiche). Ecco, per tutte queste ragioni - ovvero per i soldi scippati ai cittadini per riparare ai danni cagionati da altri sarebbe sacrosanto chiarire. E il luogo adatto non è la Commissione parlamentare d'inchiesta. È il Tesoro - che peraltro, salvo blitz finora sconosciuti, ha ancora la regia del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio - che deve intestarsi l'operazione verità . E se serve un supplemento di poteri, questi possono arrivare, come ac
cennato, in pochissimo tempo, proprio con un emendamento del governo al provvedimento d'urgenza sulle venete. Ma quando si tratta di sollevare coperchi e tirare fuori scheletri dagli armadi, si tirano indietro in tanti. Basta ricordare l'iniziale coro di consensi, a gennaio, quando il presidente dell'Abi, Antonio Patuelli, propose la creazione di un elenco dei bidonisti (clienti insolventi) che avevano messo in ginocchio Mps e altre banche salvate con quattrini pubblici. Non se n'è fatto nulla. In un intervento pubblicato ieri sul Messaggero, l'ex Primo ministro Romano Prodi ha scritto che la vicenda delle venete «lascia troppe ferite aperte e ci obbliga a riflettere sul funzionamento del nostro sistema
bancario». Prodi ha puntato il dito contro gli «strumenti di sorveglianza della Banca d'Italia e sulla debolezza del coordinamento fra il ministero dell'Economia e l'autorità » guidata da Ignazio Visco. Qualcosa non torna, a tutti livelli. E ormai nascondersi dietro un dito o pararsi con un efficace sistema di comunicazione non serve. Lo stesso Patuelli, su queste colonne, suggerì di estendere l'indagine a tutti i potenziali responsabili dei fallimenti finanziari, dai banchieri alle autorità di vigilanza. Ma la «sua» lista è stata accantonata in tutta fretta. E invece bisognerebbe ripartire da li. A cominciare dal Nord Est. E ovviamente da Siena.
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