Lavorare, questione di dignità
Martedi 25 Dicembre 2012 alle 11:18 | 2 commenti
Buon Natale. Oggi in sua occasione vi regaliamo da VicenzaPiù n. 247 e BassanoPiù n. 9 dal 19 dicembre 2012 in edicola e sfogliabili comodamente online dagli abbonati alcuni articoli. Tra cui questo che parla anche di chi il Natale lo sogna.
"Lavorare meno, lavorare tutti" ... lo slogan degli anni settanta è stato modificato dalla casta che dirige il paese non tanto in "lavorare per meno, lavorare tutti", come sagacemente afferma il direttore Coviello in un suo corsivo, ma in "lavorare per meno e lavorare in pochi". Oggi, in Italia e nel mondo occidentale, in pochi lavorano per un minore salario e con sempre meno diritti.
Questa è la soluzione sponsorizzata dai vari "grandi padroni e manager" che infestano il nostro paese. Questo è l'obiettivo voluto da un governo asservito a tale potere. Un governo miope fatto da ricchi per i ricchi.
L'Italia si è progressivamente trasformata in una nazione dove la solidarietà è stata dimenticata, la protesta è confinata e isolata, il conflitto è visto non come una forma di lotta normale ma una pericolosa forma di estremismo terrorista ... il risultato è disastroso. Disoccupazione a livelli mai raggiunti, salari sempre più bassi, giovani senza futuro, anziani che devono continuare a lavorare, sanità e scuola pubbliche senza investimenti e risorse, cancellazione di diritti elementari sono ormai diventate le caratteristiche del nostro paese. Dietro tutto questo un'assoluta mancanza di strategia industriale da parte dello Stato e della casta imprenditoriale. L'impressione è che tutto sia lasciato al caso e che, la crisi industriale che viviamo ogni giorno, sia dovuta a un "destino cinico e baro". Non è così. La nostra decadenza è dovuta alla volontà scellerata di distruggere l'industria pubblica e privatizzare tutto il possibile regalando a "lorpadroni" qualsiasi settore industriale. Si smembrano industrie strategiche per venderne un pezzo qua e un pezzo là , si colpisce la sanità pubblica togliendo a questa le risorse necessarie per dare ai privati il monopolio della salute dei cittadini. Questa è la prospettiva che dovremo affrontare se non si cambia.
"Privato è bello" è uno slogan che ha creato un deserto. Si guardi all'Ilva di Taranto, alle vicende dell'Alitalia, alla "fuga" del pubblico dal controllo delle banche e della finanza e ci si domandi se le cose sono migliorate rispetto a prima. Non sembra, anzi. Sono cresciuti a dismisura i profitti a scapito dell'occupazione e del benessere dei lavoratori. Oggi siamo più poveri e più ricattabili. Il contrasto inesistente alle delocalizzazioni che uno Stato diventato assente non ha mai attuato, ha provocato altre devastazioni. Una desertificazione industriale che ha tolto al paese qualsiasi capacità di riscatto e di crescita. Oggi ci troviamo ad essere un paese senza materie prime e con una grande industria nazionale impoverita, "vecchia" e per nulla innovativa. Non abbiamo più alcun potere contrattuale con il resto dell'Europa.
Il sistema delle privatizzazioni è fallito. Così come ha dimostrato il proprio fallimento il "metodo Marchionne" sul quale anche alcuni sindacati che non sono più tali, hanno investito il loro futuro e i propri interessi accettando il ricatto occupazionale e firmando "accordi separati" e contratti capestro. Ha fallito una "sinistra" (o sedicente tale) che ha proclamato la propria "equidistanza" da padroni e lavoratori. È fallito il sistema perché le privatizzazioni sono state attuate e favorite in maniera acritica senza affrontare la necessità di trasparenza e pulizia dell'apparato statale. Non sono stati colpiti con la necessaria severità quei dirigenti statali che hanno lucrato sulle rendite di posizione. Non è stato impedita l'occupazione dello Stato e delle istituzioni da parte di partiti ridotti a comitati d'affari e da parte di una casta imprenditoriale avida e attenta solamente al proprio profitto. È stata cancellata la legalità nel lavoro.
Non si può più continuare su questa strada. Lo Stato deve tornare ad essere "produttore", deve essere in grado di progettare lo sviluppo industriale, deve essere "attivo". È una questione, per molti versi, di patriottismo. Una parola desueta ma che deve tornare ad avere il valore che aveva durante la Resistenza al nazifascismo e la guerra di Liberazione.
In questo momento di "discese in campo" di professori e imprenditori, è necessario che siano i lavoratori a prendere i mano le redini del paese. Cambiamo le cose, cerchiamo di farlo. Cambiamento significa che la proprietà dei mezzi di produzione sia di chi lavora, che la ricchezza non sia più di pochi ma venga distribuita, che il lavoro non sia un privilegio ma torni ad essere il primo diritto costituzionale. Perché il lavoro è dignità e tutti abbiamo questo diritto.
Accedi per inserire un commento
Se sei registrato effettua l'accesso prima di scrivere il tuo commento. Se non sei ancora registrato puoi farlo subito qui, è gratis.