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Lavorare meno ma meglio: la sfida per il futuro è specializzarsi in ciò che ci piace e lavorare in base ai risultati

Di Rassegna Stampa Domenica 24 Giugno 2018 alle 18:53 | 0 commenti

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Tutti noi viviamo - scrive che riprendiamo integralmente da Linkiesta.it - immersi in un paradosso che ci stressa, ci spaventa e ci impedisce di dare il meglio: se tendiamo a specializzarci abbiamo più possibilità di trovare un impiego, di fare carriera e di crescere nel nostro lavoro, ma rischiamo di restare a piedi se quel che sappiamo fare così bene a un certo punto è superato o non serve più. Oppure se viene automatizzato e affidato ad una macchina.

Se tendiamo ad acquisire competenze più trasversali, invece, probabilmente una possibilità di impiego la troveremo con più facilità, perché un “jolly” fa sempre comodo alle aziende, soprattutto a quelle più piccole, anche mentre cercano super specialisti ed esperti con competenze verticali, che quasi di sicuro guarderemo dal basso verso l’alto per il resto della nostra carriera.

Del resto questo vale anche al di fuori del lavoro, nella vita di tutti i giorni. Chi vorrebbe un amico o un partner monotematico, capace di fare solamente una cosa e poco o per niente duttile? Chi ama stare con gente fissata per uno sport, una squadra, un’attività e che altro non ha per la testa che questo? Al contrario è fantastico avere al proprio fianco qualcuno che ha sempre una risposta per tutto e che conosce il mondo, la sua storia, le culture e chissà quanto altro ancora.

Ma se parliamo esclusivamente di lavoro e di futuro qual è la scelta migliore da fare? Ovviamente ciascuno di noi ha la sua inclinazione, quindi non esiste una scelta che valga per tutti, ma di certo è vera una cosa: quale che sia la nostra inclinazione, il solo modo per crescere in modo sostenibile è fare al meglio ciò che sappiamo fare e che ci stimola a fare sempre meglio, invece che sempre di più. Lavorare sulla quantità è una scelta miope, che porta benefici nell’immediato e problemi in prospettiva. Ecco perché anche le specializzazioni più importanti possono diventare un ostacolo, quando diventano “iper”. Soprattutto se esse non sono frutto del nostro desiderio di andare oltre e di fare sempre meglio, ma una mera necessità e il solo modo per poter ottenere un lavoro o per mantenerlo.

In futuro la necessità di specializzazione arriverà a livelli mai toccati prima. Il motivo è semplice: intelligenza artificiale e machine learning stanno formando un esercito di AI iperspecialistiche, al cospetto delle quali nessun uomo potrà tenere il passo. Men che meno quelli che non sono naturalmente portati verso la specializzazione. Al contrario, sembra ancora lontana la possibilità di creare AI generali, che se la cavino bene su più fronti.

Questo sembrerebbe agevolare di molto la scelta, ma non tutti abbiamo le stesse possibilità e gli stessi talenti, perciò la vera scelta che dobbiamo fare richiede un notevole sforzo introspettivo, che ci porti a capire chi siamo davvero, cosa siamo in grado di fare e quanto potremo sopportare questa nostra scelta in futuro.

Ma se gli iperspecialisti non avranno vita facile, nel prossimo futuro, nemmeno i maghi del multitasking se la passeranno bene, a quanto pare. Questi ultimi soffrono già oggi di un costante e cronico sovraccarico di attività e di lavori, spesso molto diversi tra loro, che ne complicano l’esistenza e che generano stress e frustrazione.

Come fare a camminare senza inciampare (o almeno rialzandosi ogni volta) su questo filo sottile e insidioso? La soluzione è una sola: non cadere mai nella trappola del “sempre di più a ogni costo”. Non bisogna essere dei geni per capire che una crescita continua e infinita è del tutto insostenibile in termini meramente quantitativi. È invece sulla qualità che dobbiamo puntare, perché soltanto questa può crescere pressoché all’infinito, senza mai arrivare ad un punto di stallo insormontabile (la perfezione è sempre lontana anni luce). Ma perché questo avvenga è necessario che ci siano dei prerequisiti.

I miglioramenti qualitativi sono infatti figli di un processo non banale, che richiede metodo, costanza, capacità di analisi e disponibilità a mettere in gioco ogni volta sé stessi, il proprio lavoro e le proprie competenze.

Il sistema in cui siamo stati sinora immersi tendeva invece a congelare ogni cosa in titoli, incarichi, mansioni precise dalle quali ci si aspettava sempre e ancora di più, soprattutto in termini quantitativi. Il risultato? Per moltissimi una curva in crescita durante i primi anni di lavoro e poi un lento ma inesorabile declino fino alla pensione, quando ci si catapultava fuori dalle finestre dell’azienda come Fantozzi, finalmente liberi dal peso opprimente di un lavoro che normalmente non si sopportava più.

Perché le persone non sono arance da spremere e non sono nemmeno nate per lavorare una vita intera con la sola soddisfazione del compenso economico. Le persone vivono di desideri, di aspettative, di nuovi traguardi da raggiungere, non soltanto in termini di carriera.

Cosa serve, dunque, per fare un salto quantico dalla mentalità quantitativa a quella qualitativa? Ognuno ha il suo percorso e le sue possibilità, ma ci sono pilastri che possono valere per tutti:

  • ascoltare noi stessi e scegliere consapevolmente;
  • acquisire competenze multidisciplinari, oltre a quelle verticali;
  • imparare a conoscere bene aziende e opportunità, prima di spedire curricula “urbi et orbi”;
  • definire attentamente le nostre aspettative e le nostre priorità;
  • comprendere una volta per tutte che il lavoro consisterà sempre più nell’ottenere dei risultati, piuttosto che nell’essere fisicamente e/o mentalmente in azienda per alcune ore al giorno;
  • comprendere che i risultati si ottengono con il tempo, ma soprattutto con il metodo, con la progettualità e con la passione per quello che si fa.

È questo l’unico segreto possibile: imparare a fare di meno e a fare meglio e farlo per tutta la carriera lavorativa, puntando a diminuire le ore lavorate e ad aumentare la qualità del lavoro; tutto questo bilanciando verticalità e trasversalità e facendo squadra con specialisti con i quali sappiamo almeno dialogare, pur non conoscendo a fondo la loro materia. Questa, che potremmo definire capacità di project management, è di certo uno degli skill più apprezzati dalle aziende e ci serve anche quando lavoriamo in proprio.

Leggi tutti gli articoli su: Linkiesta.it, Claudio Gagliardini

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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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