L'analisi della tragedia dei lavoratori cinesi
Martedi 3 Dicembre 2013 alle 20:45 | 0 commenti
Riceviamo da Giorgio Langella e pubblichiamo - Penso che si debba ritornare sulla tragedia del lavoro accaduta a Prato per rimarcare un paio di cose. La prima è che tutti sapevano ma nessuno (o pochi) si è mosso in maniera efficace. I discorsi che si sentono sul fatto che “prima o poi doveva accadere†o che “è un miracolo se non è successo prima†evidenziano il pericolo dell'indifferenza.
Perché se, prima della strage, nessuno ha agito in maniera decisa è perché quando si vedono certe cose, ci si gira dall'altra parte. Per convenienza o per “timidezza†non importa, si è comunque responsabili.
La seconda è che di questa fabbrica (e, presumo, di tante altre) non si conosce nulla (o poco). È difficile persino sapere il nome. E sembra impossibile conoscere per chi lavorava. A chi venivano forniti i capi prodotti? A quali aziende? È difficile pensare che quella ditta lavorasse in proprio e non su commessa. E, allora, si faccia chiarezza su chi le commissionava lavoro. Vengano alla luce del sole quelli che comperavano le merci lì prodotte. Ci dicano a quale prezzo. E, soprattutto, si verifichi come hanno pagato e se erano a conoscenza delle condizioni di lavoro alle quali erano costretti gli operai.
È impossibile credere che i committenti dell'azienda pratese non sapessero nulla. Del resto, come evidenziato sopra, la situazione del tessile di Prato è conosciuta da tempo. Più facile è credere che, di fronte a prezzi bassi, tutte le aziende (anche quelle importanti) chiudano gli occhi. Fanno i loro “affari†e, di fronte al profitto, non danno importanza né alla sicurezza né alle vite di chi lavora.
Sono innocenti?
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