La Repubblica: Il macigno nei bilanci delle banche
Venerdi 21 Aprile 2017 alle 11:30 | 0 commenti
La crisi europea del 2010-13, che in Italia si è prolungata per gran parte del 2014, ha avuto - fra gli altri effetti - quello di accrescere l'ammontare e la quota del debito pubblico italiano detenuto dalle banche e dai fondi comuni monetari nazionali. Questi massicci acquisti hanno prodotto effetti positivi sia sui bilanci dei compratori che sulla sostenibilità del nostro debito pubblico. In media, le banche italiane hanno concentrato i loro acquisti in periodi difficili per l'economia e per il bilancio pubblico nazionale e hanno, così, ottenuto i titoli pubblici a bassi prezzi e ad alti tassi di interesse. A metà 2012 i prezzi di tali titoli hanno incominciato ad aumentare grazie alla dichiarazione di Draghi sulla irreversibilità dell'euro (luglio) e alla successiva iniziativa della Banca centrale europea (Omt: settembre); ed essi hanno fatto segnare incrementi ancora più consistenti, allorché la Bce ha annunciato (ottobre 2014) e - poi - realizzato (da marzo 2015) quella politica monetaria non convenzionale ed espansiva tuttora in atto (le fasi del cosiddetto quantitative easing: Qe).
Per giunta le banche italiane hanno finanziato buona parte dei loro acquisti, finanziandosi a condizioni favorevoli presso la stessa Bce. L'interrogativo, che si imporrà al termine del Qe, è: per quali ragioni le banche italiane non hanno sfruttato i rialzi nei prezzi dei titoli pubblici nazionali per effettuare vendite, riducendo le quote detenute e realizzando guadagni? Fra l'altro, avrebbero potuto così ottenere risorse per coprire parte delle necessarie ricapitalizzazioni. Pochi dati servono a chiarire la portata del problema. Alla fine del 2010 le banche e i fondi comuni monetari italiani sono arrivati a detenere titoli del debito pubblico nazionale per valori superiori ai 250 miliardi di euro (e la loro quota di debito lordo delle pubbliche amministrazioni ha superato il 27%); dopo essere rimasti stabili per quasi tutto il 2011, questi valori hanno subito un'impennata nel primo semestre 2012 (355 miliardi di euro) e hanno continuato a crescere fino a giugno 2013 quando hanno infranto la soglia dei 425 miliardi di euro (con una quota di debito lordo delle pubbliche amministrazioni salita al 33%).
Essi hanno poi subito ridimensionamenti fino a ottobre 2014 e a marzo 2015, rimanendo al di sopra dei 400 miliardi di euro (con una quota di debito lordo superiore al 30%). L'ultima data ha coinciso con il varo del programma di Qe. Il programma ha implicato l'assorbimento di un ammontare totale mensile di titoli del debito pubblico degli Stati membri dell'euro- area oscillante fra 50 e 70 miliardi di euro. Fino a oggi esso ha portato all'acquisto di oltre 250 miliardi di euro per i soli titoli pubblici italiani, pari a più del 60% di quelli detenuti nei bilanci delle banche e dei fondi comuni monetari nazionali. La quota di debito lordo delle pubbliche amministrazioni, detenuta dalla Banca d'Italia, è passata da meno del 5% di giugno 2013 a circa il 12,5% a fine 2016.
Fra marzo 2015 e oggi, le banche e i fondi comuni monetari italiani hanno avuto perciò l'occasione di ridurre l'incidenza di titoli del debito pubblico nazionale nei loro bilanci, traendone guadagni. A fine 2016, tale incidenza era invece diminuita di poco più del 7% e corrispondeva a valori superiori ai 375 miliardi di euro (con una quota di debito lordo delle pubbliche amministrazioni pari a circa il 28,5%); e, a gennaio 2017, i valori sono risaliti oltre i 380 miliardi. Come indicano altri dati (le variazioni nei saldi fra banche nazionali centrali dell'euro- area, riportati in Target 2), l'ingente domanda di titoli del debito pubblico italiano, alimentata negli ultimi due anni dalla Banca d'Italia in esecuzione del Qe, è stata in prevalenza soddisfatta dalle vendite di intermediari finanziari esteri. Questi ultimi hanno ritenuto conveniente realizzare i guadagni, derivanti dagli alti prezzi di mercato dei titoli pubblici italiani, dal momento che le spinte internazionali verso aumenti nei tassi di interesse e l'approssimarsi della fine del Qe ne rendevano probabile l'erosione.
Le ragioni che hanno spinto le banche italiane a seguire strategie diverse possono essere varie. Per esempio: la detenzione bancaria di titoli del debito pubblico permette la riduzione della liquidità , detenuta presso la Bce a tassi di interesse negativi, e non pesa sui requisiti patrimoniali. Inoltre, la maggior parte delle banche italiane si è probabilmente assicurata contro i rischi di futuri aumenti nei tassi di interesse e, dunque, di future riduzioni nei prezzi di mercato dei titoli pubblici. Resta il fatto che l'incidenza dei titoli del debito pubblico nazionale sull'attivo totale del settore bancario italiano si attesta, oggi, intorno al 10%. In Italia permangono perciò stretti legami fra sostenibilità del debito pubblico e detenzione dei relativi titoli da parte delle banche nazionali. Secondo le istituzioni europee, tali legami aumentano l'instabilità del nostro settore bancario e rendono più vulnerabile la gestione del bilancio pubblico di fronte ad accadimenti esogeni negativi. Il che ostacola il completamento dell'Unione bancaria e rischia di indebolire la posizione dell'Italia allorché, dopo le elezioni tedesche, si riavvierà il processo di rafforzamento dell'euro-area. È quindi urgente affrontare il problema.
di Marcello Messori - La Repubblica
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