La Corte Costituzionale conferma la deregulation sugli orari dei negozi
Giovedi 20 Dicembre 2012 alle 16:34 | 0 commenti
Confcommercio Vicenza - Il presidente Sergio Rebecca: “Preoccupati per il futuro: tutto, a questo punto, può essere interpretato e stravoltoâ€.
La Corte Costituzionale, con la sentenza 299/2012 depositata ieri, ha dichiarato “non fondate le questioni di legittimità costituzionale†relative alla deregulation degli orari e aperture inserite nel decreto “Salva Italiaâ€. Sono stati così rigettati i ricorsi in materia presentati nei mesi scorsi da molte Regioni italiane, tra le quali la stessa Regione Veneto. Di fatto, dunque, la Corte conferma la legittimità della normativa attualmente in vigore, che non stabilisce alcun limite agli orari, né alle aperture festive.
“Questa sentenza ci sorprende – è il primo commento di Sergio Rebecca, presidente della Confcommercio di Vicenza - perché esperti costituzionalisti da noi interpellati ritenevano che la norma nazionale fosse in palese contrasto con le competenze sul commercio chiaramente affidate alle Regioni con la riforma del Titolo V. Ora analizzeremo approfonditamente le trenta pagine delle motivazioni relative alla sentenza, ma quello che più preoccupa è cosa potrà accadere in futuro: tutto, a questo punto, può essere interpretato e stravoltoâ€.
Il Governo, va ricordato, ha introdotto la totale deregulation di orari e aperture sulla base di un principio di libera concorrenza, che sarebbe imposto dalle normative europee. Ed è sulla base di questa competenza statale che la norma nazionale ha inteso prevalere su tutte le regolamentazioni degli enti locali. “Invece, questa liberalizzazione ha effetti totalmente contrari sulla concorrenza – rileva il presidente Rebecca – perché solo la Gdo si può permettere aperture sette giorni su sette e orari tra i più disparati. Dunque, i “grandi†finiranno per “cannibalizzare†la piccola e media distribuzione, impossibilitata, il più delle volte, a sostenere questi ritmi. E alla fine il risultato non può che essere la perdita di margini e di clientela e la conseguente chiusura di tante attività , con un impoverimento generale dell’offerta commerciale. E allora c’è da chiedersi: è così che si aumenta la concorenza? Il paradosso è evidenteâ€.
E a chi sventola la bandiera di un miglior servizio alla clientela garantito da una maggiore apertura dei negozi, il presidente di Confcommercio Vicenza risponde con fermezza: “E’ una mistificazione. La nostra legge regionale, purtroppo superata dal provvedimento Monti, prevedeva già 16 giorni di apertura festiva all’anno più le domeniche di dicembre e orari prolungati fino alle 22.00. Non mi vengano a dire che non bastavano per dare la possibilità a tutti di fare la spesa. Limiti di questo tipo non ledono i diritti di nessuno, mentre la totale deregulation lede il diritto di tantissimi lavoratori del commercio al riposo domenicale, come fondamentale momento per le proprie relazioni sociali, oltre che per dedicarsi a tanti altri aspetti importanti della propria vita. Lo stesso Vescovo di Vicenza Mons. Beniamino Pizziol ha sottolineato, proprio ieri, questo valore come fondamentale per la nostra società â€.
“In questi mesi di aperture domenicali continuate – conclude il presidente Sergio Rebecca - è stato confermato quanto da noi già previsto relativamente agli effetti della norma: ovvero che non avrebbe rilanciato i consumi, oramai in caduta libera; che non avrebbe garantito maggiore occupazione, e in effetti ha solo aumentato la precarietà dei contratti di lavoro; che avrebbe fatto aumentare i costi alle aziende già alle prese con una difficile situazione economica. In sostanza questa norma non ha minimamente contribuito, come si prefiggeva un po’ pomposamente, a “salvare l’Italiaâ€, ma ha reso tutti un po’ più poveri: i consumatori, che rischiano di perdere il fondamentale servizio di vicinato garantito dalla piccola e media distribuzione; i lavoratori, titolari e dipendenti, chiamati a “sacrificare†il loro riposo festivo e gli imprenditori costretti a sostenere costi e problemi gestionali per adeguarsi ad una, a questo punto inutile, liberalizzazioneâ€.
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