La Consulta boccia norma pacchetto sicurezza
Domenica 19 Dicembre 2010 alle 00:52 | 0 commenti
Rassegna.it - La Corte Costituzionale dichiara illegale una parte della legge sul reato di clandestinità . "Non è punibile l'indigente che non lascia Italia nonostante un ordine di espulsione". La questione era stata sollevata dal tribunale di Voghera
Lo straniero che, nonostante abbia ricevuto un ordine di espulsione, non lascia l'Italia perché si trova in "estremo stato di indigenza" o comunque per "giustificato motivo", non può essere punito.
Lo ha stabilito la Corte Costituzionale, che in una sentenza depositata il 17 dicembre ha bocciato parzialmente una delle norme del pacchetto sicurezza dello scorso anno sul reato di clandestinità "nella parte in cui non dispone che l'inottemperanza all'ordine di allontanamento sia punita nel solo caso che abbia luogo senza giustificato motivo".
La questione era stata sollevata dal Tribunale di Voghera. I giudici l'hanno ritenuta fondata nell'ambito di un procedimento che riguardava una cittadina straniera che aveva ricevuto per la quinta volta dal questore l'invito a lasciare il nostro paese. I giudici censurano il fatto che, nelle modifiche al testo unico sull'immigrazione introdotte nel 2009, non sia stato previsto il "giustificato motivo". Come nel caso appunto di "estrema indigenza, indisponibilità di un vettore o di altro mezzo di trasporto idoneo, difficoltà nell'ottenimento dei titoli di viaggio". La clausola di "giustificato motivo" - sentenziano i giudici costituzionali - esclude la "configurabilità del reato".
Il reato di clandestinità prevede una multa da 5 mila a 10 mila euro e l'espulsione, ma non la reclusione per lo straniero entrato illegalmente in Italia. La permanenza degli immigrati clandestini nei Cie, i centri di identificazione ed espulsione, può variare da 60 giorni fino a 6 mesi. Gli stranieri avranno l'obbligo di esibire agli uffici della pubblica amministrazione il permesso di soggiorno ai fini del rilascio di licenze, autorizzazioni, e altri provvedimenti ma anche per atti di stato civile o per accedere ai pubblici servizi.
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