La buona sanità fa bene all'economia. Il problema vero è nelle differenze tra Nord e Sud
Domenica 26 Dicembre 2010 alle 20:26 | 0 commenti
Rassegna.it, Stefano Cecconi - Oltre a influenzare la salute dei cittadini, il sistema contribuisce alla crescita economica generando valore aggiunto e punti di Pil. L'allarme sulla spesa pubblica troppo alta è infondato, il problema vero è nelle differenze tra Nord e Sud
La sanità in Italia costa poco, se confrontata con gli altri paesi. Il nostro paese ha il finanziamento e la spesa sanitaria, sia pubblica che complessiva, più bassi della media Ue (al di sotto di quella di Francia, Germania, Belgio, Portogallo, Austria, Danimarca, Olanda, Svezia e Grecia) e dei paesi Ocse.
L'allarme spesa sanitaria è dunque totalmente infondato. Non c'è stato, del resto, alcun boom della spesa sanitaria, che si è mantenuta relativamente costante in rapporto al Pil e che anzi è diminuita nel 2006, 2007 e 2008. Assistiamo a una lieve crescita nel 2009, ma per effetto del crollo del Pil durante la crisi. Anche il disavanzo sanitario è in calo: l'anno scorso è stato pari a 3,260 miliardi, lo 0,23% del Pil, ed è il più basso registrato negli ultimi cinque anni. Le stesse previsioni per il futuro, del resto, parlano di spesa sanitaria "dominabile" investendo nella riconversione dei sistemi socio-sanitari: più prevenzione, più integrazione tra sociale e sanitario, cure primarie e servizi alternativi al ricovero ospedaliero.
Il problema vero della sanità del nostro paese è il divario tra le Regioni. Il disavanzo infatti continua a essere concentrato nel Centro-Sud, cui si sono aggiunte nel 2009 Veneto, Liguria, Trentino e Valle d'Aosta. Una parte delle Regioni riesce a coprire il disavanzo, relativamente contenuto, con risorse proprie o manovre straordinarie (addizionali fiscali, ticket ecc). Alcune invece, per l'entità del disavanzo, sono state costrette a ricorrere ai "piani di rientro". E se il valore della spesa sanitaria pubblica nazionale è, nel 2008, pari al 6,78% del Pil, la spesa delle regioni sul Pil oscilla da un 5,17 % della Lombardia a un 10,23 % della Sicilia. Nel Centro-Nord l'incidenza della spesa sanitaria sul Pil resta sotto la soglia del 7%, nel Sud è oltre il 9%. Questa situazione impone, nell'odierna fase di attuazione del federalismo fiscale, una straordinaria attenzione a garantire una reale perequazione, che compensi le diverse capacità fiscali delle singole Regioni, dovute alle diversa ricchezza disponibile, per garantire la fruizione del diritto alla salute e alle cure in tutto il territorio nazionale, come sancisce la Costituzione. Per questo bisogna insistere perché i decreti attuativi il federalismo fiscale assicurino effettivamente il finanziamento integrale dei livelli di assistenza e la perequazione verticale (cioè statale) per compensare le minori capacità fiscali.
Tornando ai critici della sanità pubblica, vorrei sottolineare che essi dimenticano di dire due cose. Primo, che quella che sta aumentando fuori controllo è la spesa sanitaria privata, di cui più dell'80 per cento è rappresentato da quella che in gergo si chiama spesa out of pocket, quella pagata cioè direttamente dai cittadini e non mediata da fondi o assicurazioni. Secondo (ed è l'aspetto che più ci interessa sottolineare qui), è che la produzione di beni e servizi sanitari influenza direttamente la condizione di salute dei cittadini e per questa via contribuisce a riprodurre e ad accrescere "capitale sociale", che da tempo è riconosciuto come un fattore di vantaggio competitivo (vedi il Documento conclusivo del Consiglio Ue di Lisbona del 2000). Ma non solo: la sanità contribuisce alla crescita economica anche generando valore aggiunto. Il sistema sanitario italiano, secondo recenti stime (Cerm 2010) contribuisce infatti a generare un valore aggiunto diretto pari al 5,75% del Pil (a prezzi base). Considerando anche le attività economiche indotte, tramite i consumi intermedi, la sanità raggiunge un valore aggiunto esteso dell'8% sul Pil.
Tra i cosiddetti "settori a monte", il principale fornitore dei sistemi sanitari in Italia, Giappone, Regno Unito e Spagna è il settore della chimica farmaceutica. Anche per questo, in Italia più che altrove, occorre insistere per la sua riqualificazione, sostenendo le produzioni farmaceutiche industriali veramente innovative, contro una tendenza a utilizzare la spesa pubblica come "rendita di posizione" o a incentivare i consumi per via commerciale. Peraltro, innovazione e qualità sono necessari per aumentare la stessa capacità competitiva delle imprese. Negli ultimi dieci anni, accanto alla farmaceutica, vi è stata una notevole crescita dei servizi professionali (+2,4%) e di quelli informatici (+0,5%), delle telecomunicazioni e dei dispositivi medici (+0,6%). A dimostrazione di quanto sia crescente nei servizi sanitari l'intreccio tra il terziario avanzato e i settori ad alta tecnologia, che ha impatti rilevanti sia in termini occupazionali che di remunerazione degli investimenti. Non a caso, rispetto alle ricette "anticrisi" del passato, molti paesi, escluso il nostro, hanno deciso politiche anticicliche con minori interventi nei tradizionali settori delle infrastrutture fisiche, privilegiando piuttosto il comparto dei servizi (compresa la sanità ) e delle infrastrutture digitali (e anche qui la sanità gioca un ruolo importante).
Ciò è avvenuto perché si tratta dei settori che possono produrre maggiore occupazione insieme a maggiore produttività e innovazione, e, contemporaneamente, avere effetti positivi sulla qualità della vita. Questi elementi di analisi forniscono indicazioni utili per individuare quali sono i settori cruciali del nostro sistema produttivo, su cui concentrare gli interventi anticiclici e per stimolare la crescita. Confermando il ruolo fondamentale della sanità nel generare innovazione e crescita. Si dimostra poi quanto importante sia investire di più nella ricerca. Va considerato inoltre che per ogni euro speso in sanità si genera 1,7 euro circa (dato 2005). Nel periodo tra il 1995 e il 2005, il "moltiplicatore" italiano riferito alla sanità è cresciuto da 1,6 a 1,7 collocandosi su livelli intermedi tra i paesi considerati (vedi tabella 2). Nel 2005, l'ultimo anno a nostra disposizione per un'analisi comparativa internazionale, la sanità risulta, in Italia, al sesto posto in termini d'incidenza sul Pil, al quarto in termini di quota sui consumi finali e di retribuzioni erogate e al quindicesimo per consumi intermedi. Il contributo della spesa sanitaria alla crescita economica è quindi fuori discussione.
Ma c'è una peculiarità che va sottolineata: la spesa pubblica, in rapporto al Pil, è al di sotto della media Ocse e rappresenta il 75% della spesa complessiva. Rispetto ad altri paesi Ocse la spesa privata è più bassa, si ferma al 25%. La questione cruciale è mantenere questi effetti positivi della sanità sull'economia, possibili grazie al "modello pubblico e universale" che assicura il diritto alla salute e alle cure, dimostra maggiori capacità di controllo della spesa pubblica e contemporaneamente "frena" l'eccesso di consumismo sanitario privato (una spesa non appropriata alla lunga si rivela un boomerang per la stessa economia). Per questo è decisivo mantenere e adeguare il livello della spesa sanitaria pubblica - che la manovra del governo invece riduce - e usarla in modo virtuoso e appropriato (cioè per rispondere ai bisogni di salute dei cittadini).
Si tratta di investire di più nella prevenzione, che restituisce l'investimento con enormi vantaggi economici, basti pensare agli effetti positivi della riduzione degli anni di disabilità per la non autosufficienza. Si tratta di investire nei servizi territoriali socio-sanitari, che sono a forte intensità di lavoro e producono, a costi più contenuti dell'assistenza ospedaliera, alto valore aggiunto. Si tratta di investire, è il caso del Centro-Sud dove mancano strutture residenziali per la cronicità , alternative all'offerta ospedaliera (e in questo caso si tratta di investimenti anche in conto capitale). Il sistema sanitario italiano, proprio se mantiene il carattere "pubblico e universale", riuscirà a produrre effetti positivi sull'economia e a contenere lo stress per la finanza pubblica.
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