La Jannò, i cinesi e il vero "nemico"
Venerdi 10 Settembre 2010 alle 22:59 | 0 commenti
Le Vetrine del Centro protestano contro il "pericolo giallo". Ma il problema di fondo è aver detto sì alla globalizzazione economica
Anna Jannò, la gioielliera delle Vetrine del Centro, ha dichiarato guerra ai negozi cinesi in centro storico. Concorrenza sleale e licenze irregolari, questa l'accusa mossa dalla commerciante vicina al Pdl.
«Che in contrà Cesare Battisti, a due passi da Piazza dei Signori, ci siano botteghe che vendano borse a dieci euro piuttosto che negozi che commerciano merce varia a partire da 2 euro credo non sia corretto» (Giornale di Vicenza, 8 settembre 2010).
L'assessore allo sviluppo economico, Tommaso Ruggeri, allarga le braccia e minimizza: «Non vorrei che in qualche caso la situazione "invasione straniera" fosse ingigantita e non corrispondesse alla realtà , come nel caso degli acconciatori-estetisti, visto che in città sono 800 gli artigiani attivi e 4 sono le botteghe cinesi, pari all'0,5%. Comunque su questo fenomeno il Comune si è già attivato muovendosi su due fronti: prima di tutto verificare, grazie al lavoro della Guardia di Finanza, la lecita provenienza dei capitali utilizzati per acquistare o affittare i locali, e poi promuovere attraverso la polizia locale e in collaborazione con l'Ulss, controlli sui prodotti utilizzati, sulla merce venduta e sul trattamento del personale impiegato (...). Altro come amministrazione non possiamo fare» (Domenica di Vicenza, 10 settembre 2010).
Il problema che pone la Jannò è molto più grande dell'ottica immediata, seppur legittima, di chi si vede rubare i clienti a colpi di prezzi stracciati. L'infiltrazione, lenta ma continua, dei cinesi nel commercio al dettaglio è una conseguenza della globalizzazione economica. E' questo sconvolgimento di portata storica la chiave per capire le ragioni profonde della colonizzazione delle nostre botteghe, delle nostre città , del nostro quotidiano. La legge che regola la nostra vita, piaccia o non piaccia, è la dura legge del mercato. Che non bada alla razza o al paese di provenienza, ma solo e unicamente alla convenienza in termini di quattrini. In centro storico gli affitti sono alti, lo shopping strada per strada è stato messo fuori gioco dalla transumanza nei mega centri commerciali fuori città , le banche sono avare con chi vuole aprire un'attività . Perciò, se si presenta un compratore senza problemi di soldi e con voglia di rischiare, che abbia gli occhi a mandorla o no, il negozio se lo cucca lui e tanti saluti all'italianità .
Squallido, sia chiaro. Ma è la logica del sistema che ci siamo scelti, basato sul liberismo globale, sul denaro come unico valore. E il denaro non conosce confini né ammette limiti che non siano quelli della domanda e dell'offerta. I cinesi vendono la loro merce a meno, e, fatto salvo il controllo sulla natura legale dei loro capitali, in tempi di crisi come questo, tanto basta al cliente. La soluzione sta nell'invertire rotta e cambiare modello, abbandonando il mito del libero mercato. Non crediamo che questo sia fattibile nell'immediato, ma la direzione è quella, o almeno, se davvero si vuole combattere gli effetti negativi del globalismo, dovrebbe essere quella. Perché portare fino in fondo la richiesta di "protezione" che reclama la Jannò, vorrebbe dire quanto meno fissare una linea oltre la quale la dittatura dell'economico non può andare. Facendo prevalere altri criteri, non più dettati dal laissez-faire caro ai liberisti ma ispirati ad altri valori. Ad esempio, quello della tradizione e del localismo (che non è una parolaccia, anzi). Due anni fa, a Pistoia, il comune ha varato un regolamento secondo cui entro il perimetro della piazza principale della città , Piazza della Sala, gli esercizi commerciali sono tenuti a vendere prodotti esclusivamente del posto. Niente cinesi, ma nemmeno kebabbari o MacDonalds. Piccolo esempio positivo, a nostro parere, di come mettere un freno all'espropriazione dei luoghi storici in nome di un'economia del profitto che distrugge tutto ciò che ad essa non si piega.
Quello che non torna è il fatto che poi i commercianti che gridano all'invasione straniera non alzino altrettanto la voce contro i politici che non solo non muovono un dito contro la globalizzazione commerciale e finanziaria considerata come un fatto compiuto, ma che per giunta la esaltano o se va bene la giustificano. Cioè tutti, perché ad eccezione di qualche oscurata minoranza di tardo-comunisti e vetero-fascisti, privi di credibilità nel loro abbarbicarsi ad ideologie superate dalla storia, l'intera politica attuale è succube del pensiero unico globalista. Al massimo c'è la Lega che fa speculazione elettorale agitando barriere neo-protezioniste proprio contro la Cina e che tuttavia si guarda bene dall'attaccare il modello di sviluppo in sé (che ha portato la Cina nel Wto, per dirne una). E' il classico caso di chi accetta una logica, in questo caso quella di mercato, purchè non tocchi i propri interessi. Troppo facile, così. Cari piccoli commercianti, se è solo una questione di meno schei in cassa, avete poco da lamentarvi: il nemico non sono i cinesi, è il sistema economico - e di vita - che noi bravi occidentali abbiamo reso vincente nel mondo. Ora la stiamo pagando. Quando la Cina era comunista (adesso è un regime di capitalismo selvaggio garantito da uno stato di polizia), concorrenti cinesi qui non li avreste immaginati neanche nei vostri peggiori incubi. Meditate, tossicomani del massimo profitto, meditate.
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