Immigrazione, la via giusta è il rimpatrio
Domenica 14 Marzo 2010 alle 08:13 | 0 commenti
Articolo pubblicato sul numero 186 di VicenzaPiù, in edicola a 1 euro e da oggi nei punti di distribuzione gratuita e scaricabile da questo sito.
Positiva l'iniziativa di Comune e Caritas che finanziano il ritorno ai paesi d'origine di stranieri in difficoltà . Perché contiene il principio che ognuno sta meglio a casa propria.
Ventisette famiglie di immigrati sono tornate in patria
 con l'aiuto economico del Comune e della Caritas vicentina nel 2009. Alcune, imparata la "lezione" qui, hanno anche messo su un'aziendina o un bazar. E' il frutto dei 50 mila euro annui (medi, l'anno scorso sono stati 23 mila) erogati dall'amministrazione di centrosinistra all'organizzazione assistenziale della diocesi. Un'iniziativa, per la cronaca, decisa dalla precedente giunta di centrodestra nel 2004, ma avviata solo con Variati e l'assessore al sociale John Giuliari. Da allora, sono circa duecento le persone che hanno usufruito del programma di assistenza economica e logistica che li segue passo passo fino alla nuova sistemazione nella terra d'origine. Di varia nazionalità , generalmente (ma non tutti) sono soggetti con difficoltà gravi: dall'alcolismo alla droga alle turbe psichiche. Gente che non riusciva a procurarsi una vita decente, riducendosi all'accattonaggio e cercando rifugio nei ricoveri della Caritas.Â
No global
Iniziativa benemerita, perché porta in germe il principio di fondo che dovrebbe ispirare una sana gestione dell'immigrazione: il rimpatrio. Osteggiato sapete da chi? Dalla seconda generazione, dai figli, italiani in tutto, degli stranieri. «Non ne vogliono sapere di lasciare la casa, la scuola, gli amici per affrontare il nulla.... Un Paese di cui non conoscono niente, che non hanno mai visto prima», ha spiegato Ousmane Condè, capo dell'Unione Immigrati berica. «Non solo», ha aggiunto, «ci sono stati immigrati che sono rientrati, dopo vent'anni di lavoro in Italia, in Marocco piuttosto che in Tunisia e non hanno trovato più nulla fatta eccezione di anziani genitori o di qualche parente. E sono tornati indietro sconsolati». Questi sono gli effetti perversi dello sradicamento, dell'impoverimento e della distruzione di società , costumi e modi di vita che la globalizzazione produce in coloro che sognano di diventare come noi occidentali. L'Occidente, che tutto vuole omologare a sé allo scopo di razziare risorse naturali e assicurarsi sempre nuovi mercati di consumo, è la causa prima dell'epocale esodo di masse di diseredati abbagliati dal miraggio del nostro benessere materiale. Le dimensioni del disastro sono tali da non permettere un dietrofront pianificato a tavolino. Le politiche per l'immigrazione messe in campo da noi ricchi sono deboli argini che crollano inesorabilmente all'urto di centinaia di migliaia di poveracci che ogni anno si ammassano ai nostri confini. Le quote, i controlli costieri, i protocolli internazionali: tutti palliativi e mezze misure, il trend è inarrestabile. E così dev'essere, perché fa gioco all'industria che può calmierare i salari, alla politica che può lucrarci consensi giocando a chi fa il duro o chi fa il buono, e soprattutto conviene alla logica del mercato globale perché interconnette sempre più le aree del pianeta, con un immigrato di qua e la famiglia di là . E' il sogno del melting pot universale, dove tutti gli uomini sono cittadini del mondo, ma di un mondo in cui le differenze sono abolite e siamo tutti uguali di fronte alla Virgin o alla Coca Cola. Un'ammucchiata da incubo che fa sfregare le mani alle multinazionali. Ma fa pagare un prezzo altissimo all'umanità , livellata a target unico mondiale senza storia, senza passato, senza cultura: un nulla indistinto in cui per esistere devi arrivare ad ottenere, a tutti i costi, il tenore di vita dei più ricchi.
Noi colpevoli
I colpevoli a monte siamo noi, noi colonizzatori che poi raccogliamo fondi per combattere la fame dei "meno fortunati". Siamo stati noi a volerli convertire, a corrompere col nostro stile di vita e la nostra mentalità da predoni le classi dirigenti locali. Siamo noi che infestiamo i loro paesi coi nostri cellulari, i nostri hamburger, i nostri elettrodomestici, i nostri vestiti e tutta la paccottiglia usa e getta che svetta in imponenti discariche in mezzo a cui grufolano quei poveri bambini che in tv ci fanno tanta pena. Siamo noi i responsabili di quel genocidio culturale che accomuna la corporation che saccheggia alla pestifera Ong che fonda scuole e ospedali per diffondere il nostro credo e combattere le malattie che abbiamo importato noi (come l'Aids). Perciò non dobbiamo scandalizzarci se poi vengono a bussare alla nostra porta per chiederci il conto. Ce lo meritiamo, ed è sommamente ipocrita e vile farne dei capri espiatori per difendere quel poco di presunto benessere a cui siamo attaccati come donnette isteriche. Tanto più che siamo riusciti a far prostituire anche uomini tutti d'un pezzo come gli africani dalla pelle d'ebano o gli indiani dalla mistica saggezza. Popoli che fino a mezzo secolo fa erano ancora liberi e ancorati alla propria identità . L'immigrazione è la figlia malsana della globalizzazione, a sua volta prodotta dal sistema industriale e finanziario occidentale che deve continuamente espandersi e crescere se non vuole crollare su sé stesso. La vera svolta al "problema immigrazione" verrà soltanto quando la bolla mondiale della crescita economica imploderà una volta per tutte vanificando il mito della ricchezza a qualsiasi costo. Forse la prossima crisi globale, che avendo accumulato i debiti dell'ultima sarà ancora più grossa e distruttiva, sarà quella decisiva. Quella che, facendoci perdere tutto, ci salverà .
Alessio Mannino
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