Immigrati: meglio a casa loro
Venerdi 24 Luglio 2009 alle 08:31 | 0 commenti
Coi soldi del Comune, la Caritas aiuta i rimpatri. Un principio da estendere a tutti i poveracci che emigrano. Vittime della nostra colonizzazione economica e culturale
Di recente se n'è occupato anche il Corrierone nazionale, sebbene buttandola un po' a sproposito in politica: l'amministrazione vicentina di centrosinistra dà soldi alla Caritas locale perché aiuti immigrati con particolari problemi a tornare nei paesi d'origine. Come dire: questi veneti, sottopelle, sono leghisti anche quando in tasca hanno la tessera del Pd. Per la verità , i 50 mila euro annui che il Comune gira all'organizzazione cattolica guidata a Vicenza da don Giovanni Sandonà sono frutto di una decisione presa dalla passata giunta di centrodestra nel 2004. Da allora ad oggi, sono stati 75 le persone (15 ogni anno) che hanno usufruito del programma di assistenza economica e logistica che li segue passo passo fino ad una nuova sistemazione in patria. Di varia nazionalità , sono tutti soggetti con difficoltà gravi: dall'alcolismo, alla droga, a turbe psichiche. Gente che non riusciva a procurarsi una vita decente, riducendosi all'accattonaggio e cercando rifugio nei ricoveri della Caritas.
Progresso?
Iniziativa benemerita, perché porta in germe il principio di fondo che dovrebbe ispirare una sana gestione dell'immigrazione: il rimpatrio. Sgombriamo subito il campo da equivoci: non ce l'abbiamo con gli stranieri, il razzismo non è nel nostro dna. Ce l'abbiamo con lo sradicamento, l'impoverimento e la distruzione di società , costumi e modi di vita che la globalizzazione ha prodotto nel cosiddetto Terzo Mondo. L'Occidente, che tutto vuole omologare a sé allo scopo di razziare risorse naturali e assicurarsi sempre nuovi mercati di consumo, è la causa prima dell'epocale esodo di masse di diseredati abbagliati dal miraggio del nostro benessere materiale. Il vecchio colonialismo, praticato sulla punta delle baionette, si limitava al saccheggio di materie prime. Per il resto, in Africa e Asia le potenze coloniali europee lasciavano intatto l'habitat umano, sociale ed economico delle popolazioni assogettate, considerate "primitive". A parte i soliti preti col vangelo in mano, esse continuavano a vivere in santa pace secondo ritmi millenari, campando benissimo grazie ad un'economia di autoproduzione e autoconsumo, mantenendo i propri usi e le proprie tradizioni. Non erano "poveri", primo perché vivevano del loro e sul loro e di bambini denutriti con le mosche sulla faccia non ce n'era l'ombra. E poi perché la povertà è un concetto introdotto da noi occidentali nel Novecento, quando siamo passati al nuovo colonialismo. Il quale, invece di restare politico e militare, ha concesso l'indipendenza agli Stati da loro stessi creati con riga e compasso, sostituendo l'occupazione classica con quella, più subdola e devastante, dell'invasione dei nostri prodotti e dei nostri consumi. In una parola, del nostro sistema di vita. Col bel risultato che ora si sentono le pestifere Ong sostenere la necessità che anche un bravo Boscimano debba possedere un computer e l'allacciamento a internet per non restare tagliato fuori dal "progresso". Non gli passa neanche per l'anticamera del cervello, a questi missionari rompiscatole, laici o no che siano, che quelle poche comunità native non ancora spazzate via dalla loro invadente carità stavano sicuramente meglio quando stavano "peggio".
Incubo
Ma ormai la frittata è fatta. E le dimensioni del disastro sono tali da non permettere un dietrofront pianificato a tavolino. Le politiche per l'immigrazione messa in campo da noi ricchi sono deboli argini che crollano inesorabilmente all'urto di centinaia di migliaia di poveracci che ogni anno si ammassano ai nostri confini. Le quote, i controlli costieri, i protocolli internazionali: tutti palliativi e mezze misure, il trend è inarrestabile. E così dev'essere, perché fa gioco all'industria che può calmierare i salari, alla politica che può lucrarci consensi giocando a chi fa il duro o chi fa il buono, e soprattutto conviene alla logica del mercato globale perché interconnette sempre più le aree del pianeta, con un immigrato di qua e la famiglia di là . E' il sogno del melting pot universale, dove tutti gli uomini sono cittadini del mondo, ma di un mondo in cui le differenze sono abolite e siamo tutti uguali di fronte alla Virgin o alla Coca Cola. Un'ammucchiata da incubo che fa sfregare le mani alle multinazionali. Ma fa pagare un prezzo altissimo all'umanità , livellata a target unico mondiale senza storia, senza passato, senza cultura: un nulla indistinto in cui per esistere devi arrivare ad ottenere, a tutti i costi, il tenore di vita dei più ricchi. Un obbiettivo che se fosse raggiunto, con sei miliardi di individui presenti sulla Terra, farebbe precipitare il collasso ecologico a cui siamo già avviati.
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I colpevoli
I colpevoli a monte siamo noi, noi colonizzatori che poi raccogliamo fondi per combattere la fame dei "meno fortunati". Siamo stati noi a volerli convertire, a corrompere col nostro stile di vita e la nostra mentalità da predoni le classi dirigenti locali. Siamo noi che infestiamo i loro paesi coi nostri cellulari, i nostri hamburger, i nostri elettrodomestici, i nostri vestiti e tutta la paccottiglia usa e getta che svetta in imponenti discariche in mezzo a cui grufolano quei poveri bambini che in tv ci fanno tanta pena. Siamo noi i responsabili di quel genocidio culturale che accomuna la corporation che saccheggia e schiavizza al volontario che fonda scuole e ospedali per diffondere il nostro credo e combattere le nostre malattie (l'Aids, che miete milioni di vittime in Africa, lo abbiamo importato noi). Perciò non dobbiamo scandalizzarci se poi vengono a bussare alla nostra porta per chiederci il conto. Ce lo meritiamo, ed è sommamente ipocrita e vile farne dei capri espiatori per difendere quel poco di presunto benessere a cui siamo attaccati come donnette isteriche. Tanto più che siamo riusciti a far divenire tali anche uomini tutti d'un pezzo come gli africani dalla pelle d'ebano o gli indiani dalla mistica saggezza. Popoli che fino a mezzo secolo fa erano ancora liberi e ancorati alla propria identità . Quella che gli immigrati di oggi, che non vedono l'ora di essere come noi, hanno perduto. Ecco perché va visto con favore ogni residua resistenza, da parte loro, di conservare almeno la propria fede religiosa, come l'Islam, ultimo retaggio che li differenzia dal vuoto occidentale.
L'immigrazione è figlia della globalizzazione, a sua volta prodotta dal sistema industriale e finanziario occidentale che deve continuamente espandersi e crescere se non vuole crollare su sé stesso. La vera svolta al "problema immigrazione" verrà soltanto quando la bolla mondiale della crescita economica imploderà una volta per tutte vanificando il mito della ricchezza a qualsiasi costo. Forse la prossima crisi globale, che avendo accumulato i debiti dell'ultima sarà ancora più grossa e distruttiva, sarà quella decisiva. Quella che ci salverà .
Alessio Mannino
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