Ilva come Tricom e Marlane Marzotto: guadagni privati, danno pubblico
Domenica 29 Luglio 2012 alle 19:02 | 0 commenti
In relazione al caso Ilva di Taranto, il presidente di Confindustria Squinzi ha dichiarato: «Non sono solo a rischio le sorti della prima acciaieria di Europa, di decine di migliaia di lavoratori e di un intero territorio; ad essere a rischio, proprio in un momento così delicato per l'Italia, è la stessa vocazione industriale del nostro paese. Un provvedimento di questo tipo colpisce un'azienda che ha lavorato nel corso degli anni per adeguarsi alle norme ambientali e rappresenta un segnale difficile da comprendere per gli investitori, soprattutto esteri».
Squinzi ha anche manifestato solidarietà e affetto a Emilio, a Nicola Riva e ai manager dell'azienda destinatari dei provvedimenti cautelari.
Ci sarebbero alcune cose da dire al riguardo. Ilva è una grandissima industria siderurgica. Di proprietà pubblica, quando Italsider e Finsider furono messe in liquidazione, nel 1988 fu prima smembrata e quindi privatizzata (ceduta al Gruppo Riva). Questa privatizzazione non ha garantito, evidentemente, la sicurezza né dei cittadini che vivono vicino allo stabilimento, né degli stessi lavoratori. Ilva è una delle maggiori attività produttive italiane e occupa (tra dipendenti diretti e indotto) decine di migliaia di lavoratori. Dopo il noto provvedimento giudiziario di chiusura di importanti reparti produttivi per inquinamento, si è davanti a una scelta dolorosa: difesa dell'ambiente e della salute o difesa del lavoro? Questo è quanto ci vogliono far credere, perché la vera contraddizione è sempre quella tra capitale e lavoro. Nulla impedirebbe di unire sicurezza ambientale e sviluppo del lavoro. Interessi convergenti sia per i cittadini che per i lavoratori che vengono contrapposti, nella realtà , dalla scelta padronale del profitto come principale obiettivo dello sviluppo. Una scelta "stimolata" dalla sciagurata decisione di privatizzare qualsiasi cosa, anche le produzioni e le industrie che dovrebbe essere considerate strategiche per lo sviluppo del paese. Così, con le privatizzazioni e con i mancati controlli da parte dello Stato, è stata sconfitto l'obiettivo di uno sviluppo sostenibile e ha trionfato la scelta di considerare il capitale e l'aumento della ricchezza individuale, il principale (se non unico) risultato da raggiungere. Il principio costituzionale della responsabilità sociale dell'impresa è stato, di fatto, cancellato. In nome del liberismo (vecchio o nuovo poco importa) la sicurezza nel lavoro e del lavoro è stata relegata a un ruolo marginale e secondario. In questa maniera è entrata in gioco un'odiosa competizione, quella tra ambiente, salute e lavoro. Un vero e proprio ricatto che sfrutta la necessità di mantenere, per poter sopravvivere, un posto di lavoro a qualsiasi condizione. Questo ricatto lo abbiamo visto alla Eternit, alla Marlane Marzotto, alla Tricom e in moltissimi altri casi.
Per lorsignori, in discussione non c'è la possibilità di guadagnare qualcosa di meno per rendere il lavoro più sicuro. C'è solamente la possibilità di sfruttare sempre di più l'ambiente o i lavoratori. O entrambi. Tanto, una volta svelata la pericolosità del processo produttivo, qualcuno (lo Stato) dovrà rimediare e intervenire investendo denaro pubblico. Ma, per carità , senza chiedere nulla al privato, senza diventare "proprietario", senza neppure controllare dove andranno i denari (nostri) che vengono impiegati per la "bonifica". In caso contrario (il ricatto continua) il padrone si vedrà "costretto" a delocalizzare là dove potrà continuare a sfruttare ambiente e lavoratori. E chi lavora come dipendente o nell'indotto verrà licenziato.
Dalla vicenda dell'Ilva (così come da tantissime altre) risulta evidente che è il sistema a non reggere. Non solo è ingiusto, è sbagliato. Non reggono le privatizzazioni che altro non sono che una cessione di ricchezza pubblica a qualche capitalista. Non regge la volontà di sfruttare qualsiasi cosa pur di far aumentare le grandi ricchezze private. Prendiamone atto. Il modello di sviluppo liberista ci sta portando alla rovina. Non crea posti di lavoro se non in funzione del profitto personale e, quasi sempre, a scapito della salute dei cittadini.
Non è vero che siamo tutti nella stessa barca e che dobbiamo remare nella direzione che ci indica chi ha in mano le leve del potere. L'ambiente, la salute e il lavoro sono patrimonio di tutti, sono la nostra ricchezza. Sta a noi farli convivere. E allora, perché non proviamo a pensare di cambiare rotta e di avere obiettivi diversi di quelli che ci impongono "lorpadroni"? Proviamo ad essere "visionari" e cominciamo a lottare per un modello di sviluppo diverso dall'attuale. Dobbiamo farlo, perché nessuno ci regalerà il nostro futuro. Sta a noi conquistarlo.
Accedi per inserire un commento
Se sei registrato effettua l'accesso prima di scrivere il tuo commento. Se non sei ancora registrato puoi farlo subito qui, è gratis.