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Il vecchio Borgo Berga se ne va

Di Citizen Writers Domenica 7 Aprile 2013 alle 23:27 | 0 commenti

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Una parte pulsante della vecchia periferia laboriosa di Vicenza lascia il posto a un insediamento moderno e discusso: dopo il presente e il futuro documentato nel numero del 15 marzo ecco la storia del Borgo. Da conservare

di Irene Rui

Borgo Berga, il borgo ai piedi dei colli, tra l'acqua, i fiumi e i monti, si sviluppava lungo due direttrici: la prima dal Porton del Luzo, davanti ai resti del teatro romano Berga, fino al monastero benedettino di San Silvestro, e l'altra dalla confluenza del Bacchiglione e del Retrone in contrà Barche, verso Santa Chiara e Caterina, fino a Porta da Monte, a lambire Monte Berico (qui la photo gallery).

Dietro la chiesa di San Tommaso e Caterina esisteva il portello dei burchi con cui si trasportava il pesce venduto in contrà Pescheria. Il borgo si focalizza sino alla prima metà dell'800 attorno ai complessi di Santa Chiara, di San Tommaso e San Silvestro che costituivano elementi integrativi dell'ospedale di Santa Chiara. Tra il 1870 e il 1875 la zona sarà interessata da una rivoluzione idraulica. All'altezza dell'isola, dove il Bacchiglione si allargava a foce e vi confluiva il Retrone, il fondale prospiciente palazzo Piovene-Palladio è interrato e il percorso dei due fiumi deviato nell'umida e bassa "Piarda Fanton, separato da un argine, sino all'attuale viale Margherita. Qui il Retrone ritorna nell'alveo originale per essere di nuovo deviato alla fine dell'attuale via Belluzzi per finire lungo la riviera, mentre il Bacchiglione prosegue lungo l'attuale percorso. Questo allo scopo di rendere libera dall'ansa originale il campo dove sarebbe sorta la CotoRossi, creando così una penisola. L'opera idraulica fu necessaria per evitare le alluvioni cui era soggetta Vicenza. Il porto si spostò lungo Riviera Berica, dove già nel 1700, furono edificate lungo il fiume le classiche abitazioni portuali in stile veneziano dai colori pastello. Con il porto nacque anche la dogana del sale al lato della quale una scala scendeva al fiume e le lavandaie facevano il bucato.
La caratteristica socio-figurativa del borgo era la netta divisione tra la plebe e i nobili. Il popolo, infatti, viveva sotto, lungo la riva del fiume, e i nobili, col clero, sopra il monte a dominare con le loro ville, conventi e seminari, il borgo e la città. Poi fu la volta del Conte Rossi a dominare la sua fabbrica e le scalette per accedere dal borgo ai piani superiori. Il paesaggio era spettacolare: si poteva notare un borgo che si affacciava sull'ampia ansa del Bacchiglione, che lambiva Porta Padova e costituiva una forma serpenteggiante che passava tra la Piarda Fanton e il Campo del Gallo; tra Monte Berico e il borgo si estendeva a prato la zampa del monte, che scendeva sul borgo e per Santa Libera, dove esisteva un ampio campo verde, Campo Marzo.
Questa cartolina fu deturpata della ferrovia, inaugurata nel 1845, che separò di netto Vicenza da Monte Berico e impresse un solco nel piede collinare.
Le modificazioni attuate tra la prima metà dell'800 dalla deviazione dei fiumi e dalla tratta ferroviaria cambiò i connotati alla zona. I successivi interventi di ampliamento di viale Risorgimento e la tranvia, dismessa poi nel 1979, che salendo da Santa Libera si incuneava tra il monte e le case della riviera, fecero il resto. Il traffico fu deviato tutto lungo la riviera berica e Porta da Monte venne demolita.
La ferrovia si pose come nuovo confine tra la città e il monte, i binari interruppero la sinergia delle ville con la città e con il fiume. A fine ottocento le attività artigianali si trasformarono in industrie e lo stesso borgo vide crescere in quel che era il Campo del Gallo, dove oggi c'è l'università, una fonderia e la Montecatini, ma anche la più grande industria di Vicenza, il cotonificio Rossi. L'Amministrazione Comunale nel 1877, per risolvere la questione della povertà delle campagne dell'est vicentino, deliberò di destinare incentivi e di mettere a disposizione una parte del Campo del Gallo per la costruzione di un'azienda che impiegasse almeno 600 addetti. È così che nel 1885, su spinta di Alessandro Rossi, i figli Gaetano e Francesco conclusero la convenzione con il Comune di Vicenza per la concessione di una parte della penisola, al di là della ferrovia, e la costruzione del ponte di accesso.
Con la costruzione del cotonificio il tessuto sociale del borgo, che aveva una connotazione monastico-doganale, cambiò radicalmente e il borgo crebbe con la fabbrica diventando parte integrante della stessa sino al 1990, quando l'azienda chiuse definitivamente per fallimento. Ogni giorno circa 1800 persone, provenendo dalle campagne dell'est vicentino, ma anche da Isola Vicentina, da Arzignano e dallo Scledense, transitavano con biciclette e carrette, poi con i "californi" e le corriere a motore, per il quartiere, entravano nell'accesso sul ponte e al suono della sirena sul camino iniziavano il loro turno: si udivano per tutto il quartiere il martellare dei telai, il fiume si tingeva dei colori usati in tintoria, i lavoratori si trovavano all'osteria da Fiore per giocare a carte tra una sigaretta e un bicchiere di buon vino. E a discutere del lavoro, ciò che non si faceva all'interno e nel dopo lavoro dell'azienda, dove invece negli anni ‘50 gli operai andavano a ballare, mentre i dirigenti partecipavano alle feste sopra in villa. Quei lavoratori che tenevano su l'economia di un borgo dopo il 1990 non si vedono più, non si udiva più né la sirena della ciminiera né il caratteristico ticchettio dei telai. E il fiume aveva finito di tingersi. I negozi aperti grazie alla presenza dell'opificio con il tempo chiusero per lasciare posto a spazi vuoti e a garage, ai kebab e al compra oro. L'osteria Fiore diventa spaghetteria. Lo spaccio dei tessuti, il calzolaio, il negozio di abbigliamento, il meccanico di biciclette, delle moto, il casolin chiudono.
Sull'area cade la desolazione, ma è già pronta un'altra trasformazione, da industriale a zona commerciale, servizi e residenziale. Il piano urbanistico Ceccarelli-Carta prevedeva un'edificazione massima di 200 mila metri cubi, di cui 30 mila a residenziale e 170 mila commerciale-amministrativo con un'altezza massima fuori terra di quattro-cinque piani, da destinarsi al commercio, all'artigianato, alla cultura e alle associazioni. Sergio Carta, vicesindaco della prima Giunta Variati, accennava ad un maxi struttura commerciale di 1000 metri quadri, c'è chi ipotizzava la nascita della nuova Standa, essendo stata acquistata l'area dal gruppo Fininvest. Nel 2000 le escavatrici demoliranno la fabbrica, per poi lasciare spazio all'edificazione del nuovo tribunale, che ora quasi domina, per la sua mole, su monte Berico. Ma è solo l'inizio, tra il 2010 e il 2012 saranno edificate quasi tutte le cubature prefissate, la fabbrica si trasforma in centro commerciale e in un blocco di cemento. E la manodopera impiegata è ancora quella del sottoproletariato della campagna e non del centro cittadino. E pensare che nel 1875 l'amministrazione aveva bloccato la costruzione del grande opificio dalla parte opposta a Campo Marzo, lungo la ferrovia, proprio per non deturpare il cono di visuale della città con Monte Berico. Eppure a circa 140 anni di distanza la giunta Hüllweck diede il via a quello che Variati definì uno scempio pur portandolo a compimento. E il borgo continua a rimanere l'accesso trafficato, e pericoloso, per i residenti con una viabilità discutibile mentre al posto degli operai ora all'area accedono gli avvocati, il neoproletariato commerciale dell'Interspar, gli utenti del tribunale e i clienti delle aree commerciali. Questo fa, o si spera faccia, vivere il nuovo insediamento ma è visibile, anche dalla vista aerea, il contrasto dell'inserimento chirurgico dei nuovi edifici ultramoderni senza alcun intervento plastico per saldarli architettonicamente col vecchio borgo, condannato all'agonia. Come i suoi anziani abitanti.


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Commenti degli utenti

Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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