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Il terremoto della riforma Bcc si abbatte sul credito a Nordest
Domenica 22 Marzo 2015 alle 20:34 | 0 commenti
Buona parte della riforma del credito cooperativo passa da Nord-Est. È questa l’area del Paese che presenta la maggiore concentrazione di istituti (138 su un totale 379) ed è da qui che arrivano le maggiori resistenze a un processo aggregativo radicale, che ipotizza la creazione di una sola capogruppo a livello nazionale.
Il processo di riforma
Le ragioni sono di diversa natura, economiche, storiche e di specificità dei territori, ma per inquadrare bene quello che sta accadendo occorre fare un passo indietro. La crisi degli ultimi anni e la difficoltà a far ripartire il credito hanno convinto i legislatori a rafforzare la vigilanza sugli istituti di credito. Alla fine del 2014, la Bce ha assunto la responsabilità della vigilanza su 120 gruppi bancari europei, di cui 15 italiani. A cascata, il Governo italiano ha emanato un decreto che impone alle banche popolari italiani con attivi superiori a 8 miliardi di euro (sono dieci in tutto), la conversione in società per azioni nell’arco di 18 mesi. L’idea è che banche più aperte al mercato (con la fine del voto capitario) possano avere spalle più robuste per rilanciare il credito. Il vento di riforma è arrivato fino alle banche di credito cooperativo: in questo caso l’esecutivo ha deciso di non intervenire direttamente, ma di attuare una moral suasion – con la collaborazione di Bankitalia – affinché il sistema cambi dal suo interno. Da qui è partito il dialogo con la federazione di settore (Federcasse) e presto si arriverà a un progetto di autoriforma.
I nodi territoriali
Governo e Bankitalia spingono per l’adozione di un modello simile a quello olandese, che vede la presenza di una capogruppo a livello nazionale, con adesione obbligatoria delle banche di credito cooperativo, aperta a capitali esterni e quotata in Borsa. L’istituto di Via Nazionale avrebbe il compito di definire le regole del contratto, vigilare sull’attività dei singoli istituti e fissare i requisiti patrimoniali minimi. Su quest’ultimo punto, le ultime voci indicano una soglia minima di 20 milioni di euro. Considerato che molti istituti sono ben al di sotto, sarebbe inevitabile l’avvio di un processo di aggregazione.
Le resistenze arrivano soprattutto da Nord-Est. Qui è nato il sistema italiano delle Bcc, con la prima cassa rurale costituita nel 1883 a Loreggia (Padova) sul modello tedesco ideato da Federico Guglielmo Raiffeisen. Con l’avvio del Ventesimo secolo gli istituti di credito cooperativo si sono moltiplicati nel Nord-Est, con la Cassa Centrale Banca di Trento e la Cassa Centrale Raiffeisen dell’Alto Adige (Bolzano) che hanno sempre mantenuto un’ampia autonomia nel sistema federativo nazionale. Ecco perché nei piani di autoriforma di Federcasse si spinge per la creazione di un sistema a tre teste, con una holding nazionale (evoluzione dell’attuale Iccrea), in forma di società per azioni, ma senza prevederne lo sbarco in Borsa, affiancata da due soggetti aggreganti per le province di Trento e di Bolzano, per salvaguardarne le specificità di quei territori. Anche in Veneto le resistenze non mancano: la regione ha un sistema diffuso di piccole e medie imprese che non ha pari nel resto del Paese e il timore della miriade di artigiani e piccoli imprenditori è di perdere punti di riferimento territoriali. A maggior ragione alla luce della riforma delle banche popolari, che coinvolge il Banco Popolare, Veneto Banca e la Popolare di Vicenza. Senza dimenticare i travagli del Montepaschi, fortemente radicato nel territorio per l’eredità di Antonveneta.
Vi è poi anche un aspetto tecnico. L’80% delle bcc venete e molte di quelle friulane utilizzano Phoenix, il sistema informatico della trentina Cassa Centrale, per cui spinge per la soluzione con tre holding, che consenta di evitare nuovi stanziamenti sul fronte delle infrastrutture It. Lo sbocco trentino, inoltre, consentirebbe loro di contare di più rispetto all’aggregato nazionale, ben più consistente. Ma convincere Bankitalia non sarà facile, anche perché a quel punto altri territori potrebbero reclamare soluzioni in deroga al piano nazionale.
I numeri della cooperazione territoriale
Il Veneto è la ragione più importante dell’area dal punto di vista economico, ma anche quella caratterizzata dalla minore frammentazione sul fronte del credito cooperativo, con 33 istituti (erano 38 alla fine del 2012) per un totale di 640 sportelli, presenti in 550 comuni (su un totale di 580) e 5mila dipendenti. La crisi ha pesato molto sul sistema, tanto che i primi dati del 2014 indicano alla voce accantonamenti per rischi sui crediti ben 393,1 milioni di euro, mentre  l’utile aggregato (che non comprende il risultato di esercizio delle due Bcc in amministrazione straordinaria) è stato di 18,5 milioni di euro. Gli impieghi si sono attestati a 19,8 miliardi di euro, pari a circa il 12% del totale regionale, in calo di 300 milioni rispetto al 2013.
In Trentino, dove ci sono 43 istituti con 372 sportelli per un totale di 2.300 dipendenti, il 2014 (dati preliminari) dovrebbe essersi chiuso con un rosso di 32 milioni di euro, rispetto a un risultato positivo per 8,5 milioni conseguito nel 2013. In realtà la situazione è molto variegata, con 30 istituti che dovrebbero aver registrato il segno positivo all’ultima riga di bilancio, ma gli altri 13 in profondo rosso, senza contare la commissariata Cr Folgaria. Così, la federazione provinciale è già da tempo all’opera per valutare possibili aggregazioni capaci di dimezzare il numero degli istituti presenti sul territorio.
In Alto Adige  il sistema delle banche Raiffeisen è composto da 47 casse rurali con 191 sportelli in 107 comuni. In questo caso i numeri si fermano al bilancio 2013, che si è chiuso con un attivo di 11,6 miliardi di euro, impieghi per 9,4 miliardi di euro, e una raccolta di 9,6 miliardi. Nel 2013 il sistema locale ha sommato 58,3 milioni di utile netto, nel 2014 (i bilanci verranno approvati entro aprile) si va verso i 90 milioni.
Infine, in Friuli Venezia Giulia le bcc sono 15, con 238 sportelli in 213 (su 218 che compongono la regione) e una quota di mercato pari al 24%. La massa operativa ha raggiunto, a fine 2013, quota 13,3 miliardi di euro, con impieghi per 5,2 miliardi di euro.
Nell’insieme, e in attesa dei bilanci relativi al 2014 che si annunciano in peggioramento un po’ ovunque, il quadro che emerge è quello di un sistema molto frammentato e piuttosto fragile. Due aspetti sui quali fanno leva i sostenitori della riforma che – in ogni caso – non potrà essere condotta in porto in tempi brevi per la complessità delle questioni in gioco.Â
Le ragioni sono di diversa natura, economiche, storiche e di specificità dei territori, ma per inquadrare bene quello che sta accadendo occorre fare un passo indietro. La crisi degli ultimi anni e la difficoltà a far ripartire il credito hanno convinto i legislatori a rafforzare la vigilanza sugli istituti di credito. Alla fine del 2014, la Bce ha assunto la responsabilità della vigilanza su 120 gruppi bancari europei, di cui 15 italiani. A cascata, il Governo italiano ha emanato un decreto che impone alle banche popolari italiani con attivi superiori a 8 miliardi di euro (sono dieci in tutto), la conversione in società per azioni nell’arco di 18 mesi. L’idea è che banche più aperte al mercato (con la fine del voto capitario) possano avere spalle più robuste per rilanciare il credito. Il vento di riforma è arrivato fino alle banche di credito cooperativo: in questo caso l’esecutivo ha deciso di non intervenire direttamente, ma di attuare una moral suasion – con la collaborazione di Bankitalia – affinché il sistema cambi dal suo interno. Da qui è partito il dialogo con la federazione di settore (Federcasse) e presto si arriverà a un progetto di autoriforma.
I nodi territoriali
Governo e Bankitalia spingono per l’adozione di un modello simile a quello olandese, che vede la presenza di una capogruppo a livello nazionale, con adesione obbligatoria delle banche di credito cooperativo, aperta a capitali esterni e quotata in Borsa. L’istituto di Via Nazionale avrebbe il compito di definire le regole del contratto, vigilare sull’attività dei singoli istituti e fissare i requisiti patrimoniali minimi. Su quest’ultimo punto, le ultime voci indicano una soglia minima di 20 milioni di euro. Considerato che molti istituti sono ben al di sotto, sarebbe inevitabile l’avvio di un processo di aggregazione.
Le resistenze arrivano soprattutto da Nord-Est. Qui è nato il sistema italiano delle Bcc, con la prima cassa rurale costituita nel 1883 a Loreggia (Padova) sul modello tedesco ideato da Federico Guglielmo Raiffeisen. Con l’avvio del Ventesimo secolo gli istituti di credito cooperativo si sono moltiplicati nel Nord-Est, con la Cassa Centrale Banca di Trento e la Cassa Centrale Raiffeisen dell’Alto Adige (Bolzano) che hanno sempre mantenuto un’ampia autonomia nel sistema federativo nazionale. Ecco perché nei piani di autoriforma di Federcasse si spinge per la creazione di un sistema a tre teste, con una holding nazionale (evoluzione dell’attuale Iccrea), in forma di società per azioni, ma senza prevederne lo sbarco in Borsa, affiancata da due soggetti aggreganti per le province di Trento e di Bolzano, per salvaguardarne le specificità di quei territori. Anche in Veneto le resistenze non mancano: la regione ha un sistema diffuso di piccole e medie imprese che non ha pari nel resto del Paese e il timore della miriade di artigiani e piccoli imprenditori è di perdere punti di riferimento territoriali. A maggior ragione alla luce della riforma delle banche popolari, che coinvolge il Banco Popolare, Veneto Banca e la Popolare di Vicenza. Senza dimenticare i travagli del Montepaschi, fortemente radicato nel territorio per l’eredità di Antonveneta.
Vi è poi anche un aspetto tecnico. L’80% delle bcc venete e molte di quelle friulane utilizzano Phoenix, il sistema informatico della trentina Cassa Centrale, per cui spinge per la soluzione con tre holding, che consenta di evitare nuovi stanziamenti sul fronte delle infrastrutture It. Lo sbocco trentino, inoltre, consentirebbe loro di contare di più rispetto all’aggregato nazionale, ben più consistente. Ma convincere Bankitalia non sarà facile, anche perché a quel punto altri territori potrebbero reclamare soluzioni in deroga al piano nazionale.
I numeri della cooperazione territoriale
Il Veneto è la ragione più importante dell’area dal punto di vista economico, ma anche quella caratterizzata dalla minore frammentazione sul fronte del credito cooperativo, con 33 istituti (erano 38 alla fine del 2012) per un totale di 640 sportelli, presenti in 550 comuni (su un totale di 580) e 5mila dipendenti. La crisi ha pesato molto sul sistema, tanto che i primi dati del 2014 indicano alla voce accantonamenti per rischi sui crediti ben 393,1 milioni di euro, mentre  l’utile aggregato (che non comprende il risultato di esercizio delle due Bcc in amministrazione straordinaria) è stato di 18,5 milioni di euro. Gli impieghi si sono attestati a 19,8 miliardi di euro, pari a circa il 12% del totale regionale, in calo di 300 milioni rispetto al 2013.
In Trentino, dove ci sono 43 istituti con 372 sportelli per un totale di 2.300 dipendenti, il 2014 (dati preliminari) dovrebbe essersi chiuso con un rosso di 32 milioni di euro, rispetto a un risultato positivo per 8,5 milioni conseguito nel 2013. In realtà la situazione è molto variegata, con 30 istituti che dovrebbero aver registrato il segno positivo all’ultima riga di bilancio, ma gli altri 13 in profondo rosso, senza contare la commissariata Cr Folgaria. Così, la federazione provinciale è già da tempo all’opera per valutare possibili aggregazioni capaci di dimezzare il numero degli istituti presenti sul territorio.
In Alto Adige  il sistema delle banche Raiffeisen è composto da 47 casse rurali con 191 sportelli in 107 comuni. In questo caso i numeri si fermano al bilancio 2013, che si è chiuso con un attivo di 11,6 miliardi di euro, impieghi per 9,4 miliardi di euro, e una raccolta di 9,6 miliardi. Nel 2013 il sistema locale ha sommato 58,3 milioni di utile netto, nel 2014 (i bilanci verranno approvati entro aprile) si va verso i 90 milioni.
Infine, in Friuli Venezia Giulia le bcc sono 15, con 238 sportelli in 213 (su 218 che compongono la regione) e una quota di mercato pari al 24%. La massa operativa ha raggiunto, a fine 2013, quota 13,3 miliardi di euro, con impieghi per 5,2 miliardi di euro.
Nell’insieme, e in attesa dei bilanci relativi al 2014 che si annunciano in peggioramento un po’ ovunque, il quadro che emerge è quello di un sistema molto frammentato e piuttosto fragile. Due aspetti sui quali fanno leva i sostenitori della riforma che – in ogni caso – non potrà essere condotta in porto in tempi brevi per la complessità delle questioni in gioco.Â
di Luigi dell'Olio da VeneziePost
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