Il nuovo ospedale con gli occhi di chi ci lavora
Martedi 3 Aprile 2012 alle 10:53 | 0 commenti
Da VicenzaPiù n. 231
I neodipendenti di Santorso: "bello, ma è un labirinto, fatichiamo ancora ad orientarci". Il nuovissimo e chiacchieratissimo ospedale di Santorso (ancora in attesa di un nome: Santa Bakhita? Polo Altovicentino?) ha aperto i battenti da un mese e mezzo e, al suo interno, il lavoro dei dipendenti trasferiti dalle strutture di Schio e Thiene è oramai quasi a regime. Per il momento, in attesa dell'avvio dei traslochi dal Boldrini previsto proprio in questo week-end, sono in funzione solo i reparti trasferiti dal nosocomio scledense ed il pronto soccorso.
«Muoversi dal De Lellis ai nuovi locali di Santorso - ci dice G.S., un dipendente del reparto chirurgia che per 31 anni ha lavorato a Schio - è stata veramente un'operazione molto impegnativa, faticosa e soprattutto delicata. Trasferire un reparto d'ospedale significa trasportare apparecchiature molto fragili e costose, che richiedono quindi la massima cura ed attenzione nell'essere maneggiate. Pertanto è stata necessaria un'attenta opera di supervisione ed organizzazione per dirigere al meglio il lavoro di quel gran numero di operai che sono stati impiegati per portare a termine questa mastodontica operazione. Il trasloco in realtà non è ancora finito, infatti ogni giorno qui arrivano da Schio enormi TIR carichi di materiale sanitario ed attrezzature. Per quanto mi riguarda, il mio lavoro non ha subito enormi cambiamenti a livello logistico ed organizzativo; le uniche difficoltà che ho incontrato sono quelle, a mio avviso fisiologiche, relative all'ambientamento, al prendere confidenza con nuovi ambienti ed apparecchiature, anche perché le novità fanno sempre un po' di paura. E' ancora presto per dare un giudizio a livello globale sulla buona riuscita del progetto, intanto dobbiamo aspettare che arrivino anche i reparti del Boldrini, che porteranno ulteriori difficoltà . Credo sarà molto difficile inglobare in un unico nucleo operativo il personale proveniente da due realtà così diverse. Anche la coordinazione di tutti i reparti, che tra breve faranno capo ad una sola organizzazione, sarà una sfida complicata e solo fra qualche anno, quando l'intera macchina avrà girato per un po', si potrà dire se effettivamente il progetto è riuscito. Per quanto riguarda il vecchio ospedale di Schio, avendoci lavorato per gran parte della mia vita era diventata un po' la mia seconda casa e devo ammettere che mi è dispiaciuto parecchio lasciarlo. Penso sia una struttura ancora valida e funzionante, in una splendida posizione. Non ho idea di che cosa ne verrà fatto ma di certo non sarà semplice dare al De Lellis una nuova destinazione, poiché per un'opera del genere occorre un impegno economico grandissimo, ed in questo periodo, sia a livello pubblico che privato, se c'è una cosa che manca sono proprio i soldi.»
Una struttura ancora in fase embrionale quindi, che solo fra qualche tempo mostrerà tutte le sue potenzialità e, se ce ne saranno, le sue lacune e i suoi problemi.
«Per quanto mi riguarda durante la fase di trasloco non ho notato particolari difficoltà o problemi, anzi mi sembra sia filato tutto liscio - spiega P.F., un infermiere - L'unica disagio che personalmente ho con questo nuovo ospedale, è quello relativo alla sua vastità , alla gestione degli spazi che sono così diversi da un ospedale tradizionale: ho qualche difficoltà ad orientarmi al suo interno. Dopo un mese e mezzo che ci lavoro ho memorizzato soltanto il mio tragitto quotidiano, cioè dall'entrata agli spogliatoi del mio reparto e dagli spogliatoi al mio posto di lavoro. Non mi sono mai avventurata oltre perché ho paura di perdermi. Comunque mi sembra che la segnaletica sia chiara e posizionata bene in vista, una cosa fondamentale, soprattutto per l'utenza, in una struttura come questa. Non ho idea di cosa verrà fatto dell'ospedale di Schio. Sicuramente, ora che la vita media si è allungata, trasformarlo in un residence per anziani potrebbe essere una buona alternativa.»
«Penso che l'apertura dell'ospedale di Santorso - dice A.R., ferrista in sala operatoria - sia stata un tantino affrettata. Capisco che se si fosse dovuto aspettare che tutto fosse stato al suo posto sarebbero trascorsi ancora degli anni prima di arrivare all'apertura, tuttavia non mi sembra bello per un paziente, che magari arriva al pronto soccorso in uno stato di salute precario, dover attendere il proprio turno in un luogo poco accogliente con operai ancora al lavoro. Anche l'assenza di un bar e di un edicola contribuisce a creare un'atmosfera di cantiere ancora aperto che può far storcere il naso a molti utenti. Per quanto riguardo il vecchio ospedale scledense, a mio avviso, credo avesse delle parti, come l'ala nuova costruita da solo pochi anni, ancora molto funzionali e all'avanguardia, altre invece, come tutta la parte vecchia, assolutamente obsolete e da rifare completamente. Per riutilizzare questa struttura il problema principale è, come al solito, l'attuale scarsità di risorse economiche. A mio avviso sarebbe utile fare del De Lellis e del Boldrini degli ospedali di comunità , cioè dei luoghi dove far completare il ricovero ai pazienti in fase non acuta provenienti da Santorso. Questo servirebbe anche a sopperire ad un grave difetto del nuovo ospedale che, pur essendo grandissimo, non ha molti posti letto.»
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