Il Fatto Quotidiano: Visco e Boccia, le due facce gemelle del declino italiano
Lunedi 5 Giugno 2017 alle 09:19 | 0 commenti
Il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco e, in scala minore, il presidente della Confindustria Vincenzo Boccia, rappresentano loro malgrado i tratti peculiari del declino italiano. Il più scoraggiante è l'incapacità di autocritica. Decenni di selezione al contrario - meritocrazia per gli outsider, cooptazione per gli yesmen - hanno portato al vertice dell'economia uomini incapaci di riconoscere gli errori e di spiegare a milioni di disoccupati come è potuto accadere questo disastro. Visco e Boccia ripropongono il copione malinconico del cantante spompato che sollecita l'antico affetto del pubblico con i suoi vecchi cavalli di battaglia.
Ma cercando l'applauso dei giornali ci ricordano solo le responsabilità di un sistema dell'informazione che per troppi anni è stato solo lo specchio delle brame di una schiera di irresponsabili. Visco dovrebbe spiegare come mai migliaia di funzionari della Banca d'Italia, strapagati per vigilare sulla solidità e corretta gestione della banche, non si sono accorti di Mps, Banca Marche, Etruria, Vicenza e Veneto Banca. Invece intima il suo "vade retro critica" brandendo il crocifisso a cui furono inchiodati Paolo Baffi e Mario Sarcinelli. Una trovata capace di intimidire solo qualche politico ignorante. Baffi e Sarcinelli furono schiantati nel 1979 da un complotto politico-giudiziario perché avevano messo nel mirino le banche di Michele Sindona. In quella vicenda drammatica, in cui un uomo come Giorgio Ambrosoli si giocò la vita solo per fare il suo dovere, la Banca d'Italia fu un baluardo per la parte pulita della politica impegnata in una lotta mortale contro P2 e andreottismo. I risparmiatori rovinati anche dalle distrazioni della vigilanza bancaria hanno il diritto di rimpiangere Baffi e Sarcinelli. Visco no. Invece è lui a brandire il glorioso precedente per esorcizzare le critiche o, peggio, assimilarle alle trame giudiziarie e piduiste degli anni ‘70. Sarebbe meglio che spiegasse i suoi errori anziché autoproclamarsi erede di Baffi e Sarcinelli. Anche perché a loro toccò Giulio Andreotti, e ne furono sconfitti, per Visco il nemico è Matteo Renzi, e non ha mai avuto il coraggio di sfidarlo. Non c'è proporzione.
Boccia è riuscito a fare anche peggio, mettendo in campo uno dei totem più logori degli industriali italiani: il costo del lavoro. Forse stizzito perché l'ultima assemblea ha confermato lo scivolamento della Confindustria verso il malinconico limbo dell'irrilevanza, ha chiesto soccorso al conduttore della confindustriale Radio24 Giovanni Minoli che gli ha riservato per la seconda volta in sei mesi la finestra in prime time domenicale su La7. E lì ha fatto un autogol dei più maldestri.
Ha rivendicato che la Confindustria si era accorta da tempo del crac incipiente del Sole 24 Ore ma, ha spiegato, "la chiave di lettura era di salvaguardare l'occupazione, e quindi fino a quando si è potuto non si è attivato un piano di risanamento". Dire che i maggiorenti di Confindustria hanno finto di non vedere il disastro per salvare posti di lavoro non è solo una provocazione - alla quale i giornalisti del Sole hanno replicato con asprezza inusitata. È anche un significativo riflesso pavloviano.
Lorsignori conoscono una sola medicina per qualsiasi malattia: licenziare. I manager del Sole - come ipotizza la procura di Milano - hanno derubato per anni la società e i suoi azionisti? Boccia conosce un solo rimedio: licenziare. Peccato che nessuno gli abbia fatto notare che dal 2009 al 2016 il costo del lavoro al Sole 24 Ore si è dimezzato, da 203 a 103 milioni. Chi glielo dice a questi distruttori seriali di aziende e posti di lavoro che il problema sono loro e non i loro dipendenti?
di Giorgio Meletti - Il Fatto Quotidiano
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