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Il Fatto Quotidiano: Il ritorno del Veneto indipendentista che sfida il governo

Di Rassegna Stampa Venerdi 9 Dicembre 2016 alle 10:01 | 1 commenti

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Da presidente del Consiglio in carica, Matteo Renzi aveva due difetti difficili da digerire per quel popolo veneto che da martedì pomeriggio,grazie a una sgangherata proposta di legge ispirata dalla Lega Nord e approvatadal Consiglio regionale, può fregiarsi dell'ambigua patente di "minoranza nazionale". Roba da riserva indiana, comunque rivelatrice diuna rivendicazione d'identità, anche linguistica, che ha radici antiche, se è vero cheda queste parti decine digruppi venetisti si ostinato a sconfessare, 150 anni dopo, il plebiscito che sancì l'annessione all'Italia. Con la sua riforma costituzionale, Renziera esattamente agli antipodi.

O perlomeno è stato vissuto come il portatore di un neocentralismo statale chetoglieva autonomia alle Regioni, proprio mentre blindava quella del Trentino Alto-Adige, sirena dorata pertanti Comuni di confine che ambiscono a trasmigrare, senza riuscirci, ingolositi dai ricchi bilanci delle comunità a statuto speciale. Aggiungiamoci (secondo difetto) che è il segretario di un seppur annacquato Pd. Il che fa ancora effetto in unaterra a vocazione di centro-destra, in un passato lontano in truppata sotto lo scudocrociato e fieramente anticomunista, al punto da far poi eleggere per tre lustri quale proprio presidente quel galantuomo di Giancarlo Galan e a sostenere ora il leghismo diffuso che ha trovato la suasintesi nel governatorato vagamente ecumenico ("Primai veneti") Luca Zaia.
Il Sì ha dimensioni lillipuziane
Ecco spiegate (includendo anche la rampante variabile 5 Stelle in forte crescita e che ha corso pancia a terra per portare la gente a votare) le premesse del fenomeno Veneto, code ai seggi come non accadeva datempo e urne straripanti di "no". Un record nazionale, con affluenza del 76.66%, superiore a quella dell'Emilia Romagna e della Toscana a trazione renziana. Primo posto, nelle Regioni a nord di Roma, nella bocciatura del progetto riformatore, con il 61.94% di voti contrari. La mappa elettorale è di una uniformità perfino monotona. Hanno vinto i "sì" soltanto in cinque Comuni lillipuziani, pari allo 0.85% delle 576 amministrazioni comunali,con una popolazione complessiva di 4.434 abitanti, lo 0.09% dei quasi cinque milioni di veneti. Sempre in zone di montagna, a Lorenzago di Cadore, Zoppè di Cadore e Soverzene nel Bellunese, Pedemonte nel Vicentino e Brenzone sul Garda nel Veronese. Non c'è andamento a macchia di leopardo. Perché i"Sì" hanno perso ovunque, toccando il fondo a Vicenza con il 36,87% e l'apice a Rovigo con il 39,67%. Non ci sono state neppure grandi differenze tra i capoluoghi e la provincia. A Padova città è risultato palpabile l'effetto del disastro Bitonci, sindaco leghista rimasto senza maggioranza a metà del guado, visto che i "no" hanno conosciuto il punto minimo con il 52.9%. A Verona, il sindaco Flavio Tosi che si è schierato con Renzi, ha limitato i danni rispetto al 54.34% di voti contrari, mentre la provincia è schizzata a quota 61%. "Eppure mi sarei aspettato il 45 per cento in più, se ci limitiamo a considerare i risultati nella prospettiva della questione veneta", interpreta il politologo Paolo Feltrin , docente all'Università di Trieste, uno degli studiosi più attenti non solo ai fenomeni della Lega e dintorni, ma anche alle dinamiche dei partiti vecchi e nuovi. "È vero che il 62% dei No è un dato importante, ma tutto sommato è in linea con l'andamento nel Nord Italia. Stavolta il Veneto si è uniformato alle altre regioni e l'elettorato ha seguito le direttive degli schieramenti". Che si chiamino Movimento 5 Stelle, Lega Nord o Forza Italia. "A ben guardare Renzi ha ottenuto il 38 per cento, non molto lontano da quel 40 per cento delle Europee. E non è poco". L'esito di domenica in Veneto un milione 756 mila i "no", un milione 78 mila i "sì" richiede, quindi, anche altre chiavi interpretative.
Il peso della spinta autonomista
"Un dato che non viene preso in considerazione, ma questo vale in generale -continua Feltrin- è che ogni 2-3 anni il presidente delConsiglio -si chiami Renzi o Berlusconi- va di traversoagli italiani. Che gliela fannopagare. Non accade la stessa dinamica con i sindaci o ipresidenti di Regione. Gli e-lettori, anche quelli veneti,hanno voluto dare una le-zione a Renzi. Le ripetutecrisi di governo in Italia sispiegano anche così. E la seconda repubblica non ha ovviato ai problemi della prima, se pensiamo che dal 2011 ad oggi ci sono stati cinque governi, compreso quello che verrà". Eppure la variabile indi pendentista non può essere sottovalutata. Vent'anni fa erano i veneti delle partite Iva che si ribellavano. Poi venne la secessione padana. La Lega di lotta e di governo. Quindi la Lega dei governi locali, capace di creare classe dirigente, ma anche problemi di stratificazione clientelare. Adesso la parola d'ordine, riproposta non a caso dal governatore Luca Zaia subito dopo i risultati, è l'autonomia. "Noi la invochiamo da anni e Renzi pretendeva di imporci una riforma centralista. È stato cacciato. Ed è solo l'antipasto di ciò che accadrà in primavera". Il governatore avrebbe voluto fare del 4 dicembre l'election day, referendum costituzionale e referendum per il Veneto. Soltanto che quest'ultimo avrebbe fatto da traino alla bocciatura del primo, e così non è stato concesso. Il ritornello che Zaia ripete da anni dei troppi soldi che il Veneto versa a Roma e che non ritornano in periferia da queste parti suggestiona e induce ai paragoni con altre realtà italiane più spendaccione. Tutto ritorna, a partire dal referendum costituzionale. Anche se c'è qualcuno che da sempre fatica a declinare il verbo autonomista, come il Pd.
La sintonia del M5S con le priorità padane
Prendete invece i 5 Stelle che possono a ragione mettere il sigillo sul successo in Veneto e che stanno manifestando grande duttilità trasversale nel catturare consensi. Jacopo Berti, padovano e capogruppo in Regione, non si lascia scappare l'occasione per ribadire: "Sono assolutamente d'accordo con il referendum sull'autonomia, ce l'avevamo anche nel nostro programma elettorale"
Di Giuseppe Pietrobelli, da Il Fatto quotidiano


Commenti

Inviato Venerdi 9 Dicembre 2016 alle 18:40

.....gruppi venetisti si ostinato a sconfessare, 150 anni dopo, il plebiscito che sancì l'annessione all'Italia..........con 647.426 votanti e 69 voti contrari se a lei sembra sancire !!!!!!
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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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