Il Fatto: "Nuove Province, servizi tagliati e più spese di gestione"
Venerdi 4 Agosto 2017 alle 12:07 | 0 commenti
La riforma delle province, conosciuta sui media come "abolizione" delle province, semplicemente non funziona. Non è u n'opinione del Fatto Quotidiano, ma quanto si desume dall'analisi svolta, a tre anni dalla cosiddetta legge Delrio, d el l'Ufficio valutazione impatto del Senato (vedi box nella pagina accanto). La sostanza può essere riassunta così: sono state abolite le elezioni per le province; sono stati tagliati in modo inaudito i finanziamenti per i compiti fondamentali (cosette come l'edilizia scolastica, le strade e la tutela del territorio); ma incredibilmente - ci dice l'Uvi - è aumentata la spesa di gestione degli enti "aboliti".
ANDIAMO CON ORDINE. Le vecchie province, ancora previste in Costituzione, erano 107 e gestivano cose di una certa rilevanza: la sicurezza di 5.179 edifici che ospitano 3.226 scuole superiori (il 70% non ha certificazioni antincendio, il 41,2% è in zona a rischio sismico, il 9,8% a rischio idrogeologico) frequentate da 2,6 milioni di studenti; la manutenzione di 130mila chilometri di strade e 30mila tra ponti, viadotti e gallerie; la difesa del territorio e la tutela dell'ambiente, più altre cose di minor rilievo. Chiarito questo, passiamo alla riforma. All'inizio del 2014 la legge intitolata al renziano Graziano Delrio, quand'era ministro del governo Letta, ha trasformato le 107 province in dieci "città metropolitane" (Roma, Milano,Napoli, etc)e in decine di "enti di area vasta" (tutte le altre): contestualmente sono diventate "enti di secondo livello", nel senso che non si vota più per eleggere il presidente e i consiglieri, perché il personale politico se lo scelgono, tra di loro, gli eletti dei comuni della zona. La legge prevedeva anche che fossero le Regioni a decidere cosa far fare e a che tipo di enti. Risultato: le province ci sono ancora, ma ogni Regione ha fatto un po'come gli pareva, anche se in generale la tendenza è stata all'accento delle responsabilità in capo ai governatori e alle loro giunte. Particolarmente complesso, infine, è stato l'assorbimento del personale delle province ritenuto in eccesso. E cosa fanno ora i nuovi enti di area vasta? Le stesse cose che facevano (e non facevano)prima, ma con qualche incertezza normativa in più e tanti, tantissimi soldi in meno. Questo non ha direttamente a che fare con la legge Delrio, ma la mancanza di legittimazione popolare può aver influito sulla capacità contrattuale degli enti. Come che sia, i trasferimenti statali alle province dal 2011a oggi si sono più che dimezzati: "costavano" oltre 11 miliardi di euro sei anni fa, oggi siamo a meno di 6. La progressione dei tagli dettagliata dai tecnici del Senato nel loro dossier è incredibile: si parte con 300 milioni nel 2011, che diventano 1,76 miliardi l'anno dopo e 2,6 miliardi nel 2013. Solo per quest'anno la potenza geometrica dell'austerità ha portato i tagli a 5,75 miliardi: in sei anni fanno 21,6 miliardi di risparmi solo in capo alle province. E qui si arriva al capolavoro: "L'unica componente di spesa corrente cresciuta tra il 2013 e il 2015 è quella destinata alle funzioni amministrative", scrivono i funzionari di Palazzo Madama. In numeri: una riforma nata per alleggerire l'apparato burocratico, nel biennio 2014-2015 ha fatto aumentare le spese di gestione del 38%,mentre "la spesa per alcune funzioni fondamentali - istruzione pubblica, gestione del territorio e tutela ambientale -è significativamente diminuita". Ora, ricordate i ponti che cadono? Si registra, dice l'Uvi, "un crollo della spesa in conto capitale (investimenti, ndr) riguardante i trasporti pari al -65% tra 2013 e 2015".
A QUESTO PUNTO, uno sguardo sul futuro: dice la legge che le province sono enti autonomi e devono vivere dei loro tributi (pezzi di imposte su Rc auto, rifiuti, spazi pubblici, etc), fatti salvi i radi interventi perequativi dello Stato. Problema: questo è impossibile a parità di funzioni. Dice Sose -società di ministero dell'Economia e Bankitaliachesi occupa, tra le altre cose, di definire i fabbisogni standard - che "la stima delladifferenza tra spesa efficiente, calcolata tenendo conto dai fabbisogni standard, e il gettito potenziale, calcolato ipotizzando il massimo incremento delle aliquote dei tributi propri(peraltro bloccate per legge, ndr), è pari a 651 milioni nel 2017". Questo squilibrio - grazie a una serie di stanziamenti ad hoc, l'ultimo dei quali di un centinaio di milioni questa settimana - è comunque di 371 milioni, dice Sose, e solo nel mondo della "spesa efficiente". Quando le riforme sono solo bandierine per i media finiscono per creare danni. Fortunatamente ce lo ricorda una istituzione pubblica. Â
Di Marco Palombi, il Fatto Quotidiano
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