I numeri del fallimento italiano spiegano le ragioni della speculazione internazionale
Domenica 22 Luglio 2012 alle 11:13 | 0 commenti
Di Roberto Ciambetti, Assessore regionale Lega Nord
L'Italia nata nell'Ottocento entra in procedura fallimentare
Nell'agosto dello scorso anno fu pubblicato uno studio commissionato dall'Unione Europea sull'evasione fiscale in Europa: i Paesi più virtuosi, con i contribuenti più fedeli, erano Lussemburgo, Irlanda e Spagna, mentre in coda trovavamo Ungheria, Slovacchia e Grecia rispettivamente con il 23, 28 e 30% di evasione. L'Italia con il 22 % di evasione era al quartultimo posto assieme a Lettonia e Lituania.
Spagna e Irlanda si sono trovati in situazioni prossime al default nonostante la lealtà fiscale dei suoi contribuenti e ciò ci dice che l'evasione fiscale, da sola non basta a spiegare i mali dei Pesi dell'Eurozona.
In Italia il sommerso da vale il 17,5% del Pil e l'economia che sfugge al fisco determina un'evasione fiscale di 150 miliardi: questo tesoro è riconducibile, non solo a tanti furbi e furbetti che vanno stanati, ma in larga parte alla criminalità organizzata, che controlla intere Regioni. Il problema, posto da questa angolazione, pone la sfida italiana in maniera ben diversa da quella prospettata nei mesi del governo Monti.
Monti non ha inciso nei mali dell'Italia a iniziare dalla lotta alla cultura dell'illegalità : ha sfiancato il motore che poteva assicurare il rilancio, mantenendo intatti i fondamentali negativi del Paese.
L'attacco all'Italia della speculazione che venerdì scorso ha manifestato la sua veemenza ha fondate ragioni. Gli speculatori non giocano, ma analizzano e sanno che tutte le manovre del governo Monti saranno vanificate: la Spagna, che vive giorni drammatici, ha emesso in media 10 miliardi di € di Bonos al mese; l'Italia 20 miliardi di Btp al mese. Come Paese siamo costretti a impegnare 80 miliardi per gli interessi che servono a finanziare un debito al 123% del Pil, tendenzialmente in crescita al 126%, e con la pressione fiscale che si avvia a superare il nominale 45%, tasso effettivo oltre il 55 per cento, i margini di manovra paiono esigui, ancor più labili se consideriamo che, per effetto del Fiscal Compact, approvato dalla Camera il 19 luglio scorso, subiremo un ridimensionamento della spesa pubblica per 45 miliardi all'anno per i prossimi vent'anni: per capire la portata della cifra, basti pensare che la famigerata spending review di Monti prevede una cura di 29 miliardi spalmati su tre anni.
Con queste cifre, con intere regioni in cui l'economia è sommersa e controllata dalla malavita, possiamo dire che l'attuale sistema Italia non ce la può fare e questo scenario spiega il differenziale aggiuntivo calcolato da Confindustria in circa 300 punti base tra Bto e Bund decennali: lo spread teorico, stando agli analisti confindustriali, dovrebbe essere di 164 punti., visto che in fin dei conti siamo, grazie al bacino padano-veneto-emiliano, sempre tra i principali paesi manifatturieri al mondo: chiediamoci pure dove schizzeremmo senza il peso del Mezzogiorno. Quei 300 punti di differenza dello spread determinano una perdita del Pil dello 0,9 per cento, che si traduce in 144 mila posti di lavoro in meno, concentrati al Nord, maggiori oneri nel bilancio pubblico per 12,4 miliardi, tagliati alle Regioni settentrionali, 12.1 miliardi per le famiglie e 23.7 miliardi per le imprese anche in questo caso in massima parte settentrionali. Questi numeri minano ogni possibilità di ripresa e vanificano ogni ipotesi di riforma strutturale della spesa: i sacrifici imposti non verranno premiati né con l'abbattimento della pressione fiscale, né con la diminuzione dei tassi di interesse e l'allentamento del credit crunch. Piaccio o no la cura Monti è fallita e con essa anche l'Italia nata nell'Ottocento.
Accedi per inserire un commento
Se sei registrato effettua l'accesso prima di scrivere il tuo commento. Se non sei ancora registrato puoi farlo subito qui, è gratis.