Grillo, l'azione è nulla senza pensiero
Sabato 6 Marzo 2010 alle 14:23 | 0 commenti
Lettera aperta sui limiti di un tentativo positivo ma senza sbocchi. Pubblicata su VicenzaPiù n.185, da oggi in edicola a 1 euro e da domani nei consueti punti di distribuzione.
Caro Beppe,
ti do del tu perché in questi anni, leggendo quotidianamente il tuo blog, mi sei diventato amico. Ho condiviso molte tue battaglie, il V-Day 1 e 2, la denuncia della corruzione mai morta e della partitocrazia sempre viva, l'appoggio ai genuini movimenti popolari No Tav, No Discariche e naturalmente No Dal Molin, l'appello per una democrazia dal basso, la sensibilità verso la decrescita. Meno il tuo approccio tecnologico al problema ambientale (l'idrogeno, che stupidaggine), il tuo fiancheggiamento dell'Italia dei Valori finito, com'era prevedibile, in una cocente delusione, la tua amnesia del criminale signoraggio bancario, un generale "minimalismo" che ti porta a occuparti di questioni specifiche senza affrontare quella centrale e decisiva: la rivolta contro un sistema per intero sbagliato, folle, oppressivo, che ha nell'economia del profitto la sua logica e nella tecnologia, soprattutto informatica, la sua arma più forte. Ma, comune cittadino incazzato come sono, mi starai sempre simpatico perché sei uno dei pochi che chiama le cose col loro nome e dà voce all'anelito di liberazione da questa farsa altrimenti nota come Italia.
Pifferai magici?
Ti scrivo, però, per ragionare e fare un bilancio della tua attività , secondo la mia modesta opinione. Beppegrillo.it è la punta di diamante di un antisistema d'opinione che sfrutta la libertà e l'economicità di internet per fare il controcanto all'establishment politico e giornalistico. I vari Travaglio, Gomez e Corrias, i Giulietto Chiesa e il suo Megachip, i Massimo Fini e il suo Ribelle (anche nostro, visto che ci scriviamo), le Randazzo, i Blondet, i Ricca, i Comedonchisciotte, Luogocomune e Disinformazione sono i nomi e le sigle più note di questo vasto arcipelago di guastatori dell'agorà mediatica. C'è chi li chiama "professionisti dell'indignazione". Intenti a lucrare onori, gloria e quattrini dall'industria della denuncia, facendo credere che basti non perdersi un'invettiva web contro lo scandalo del momento per avere la sensazione di essere "presente" nella lotta alle ingiustizie e mettersi così la coscienza a posto. E' l'accusa che l'ex inviato della trasmissione Report, Paolo Barnard, muove ai "paladini dell'antisistema", secondo lui colpevoli di atrofizzare il bisogno di cambiamento dell'uomo comune ingolfandolo di libri, inchieste, dvd e articoli a tambur battente. Una gran cassa oziosa e controproducente per Barnard, che invece vorrebbe vedere informazione capillare sul territorio e riconquista da parte del singolo cittadino a farsi da sé la propria idea della società , togliendone la delega a pochi pifferai magici. Indubbiamente, questa dell'individuo indignato e impotente è una realtà . Abbeverarsi a fonti che divulgano ma non quagliano, è un esercizio frustrante. Ma ci sono due contro-obiezioni. La prima è che tutto ciò che smaschera, demistifica, destabilizza crea l'humus fertile per allargare le maglie della sfiducia. Dopotutto siamo in guerra contro un nemico inafferrabile e insidioso, il mito, sapientemente fatto introiettare fin da piccoli, che non esiste miglior modello di vita e miglior organizzazione politica all'infuori di questi a cui offriamo ogni giorno le terga.
Azione!
La seconda obiezione ci porta dritto all'altra faccia della medaglia: l'azione. Grazie a internet non siamo mai stati così ricchi di informazione critica, con un clic sul computer si aprono enciclopedie di sapere e di protesta. Eppure tutto scorre e resta così com'è. E noi, ancorchè ribollenti di sdegno, in fin dei conti siamo tutti intenti a sbrigare le nostre faccende: fine dell'impegno. Eppur qualcosa si muove. La nostra penisola è costellata di volonterosi attivisti che si battono per un problema preciso (gli ambientalisti, ad esempio) o per una battaglia-cardine (la decrescita, il signoraggio) o è disseminata di ribelli, i più agguerriti e intrisi di spirito comunitario, che lottano per l'autonomia (gli indipendentisti sardi, siciliani, veneti, friulani, ecc) o che fronteggiano la grande opera piombata dall'alto con la resistenza di popolo, i vari movimenti del No. E' soprattutto a questi ultimi che si deve guardare, a queste sentinelle del no che è un sì: sì alle piccole patrie e alla dignità della vita. Perché sono la prima, grezza e informe base di una nuova coscienza libera dalla gabbia della destra e della sinistra. Perché, indignati come sono, agiscono, scendono in strada e si riprendono la piazza, luogo principe della democrazia. Sono vivi, per dio. E fanno circolare il sangue non solo nel cervello, ma là dove ce n'è più disperatamente bisogno: nei muscoli, nelle braccia, nelle gambe.
Il salto
Il movimentismo dei cento comuni e dei mille borghi d'Italia è benedetto. Così come è benemerita la spinta a riappropriarsi della politica, messa in campo anche da te, Beppe, con le liste civiche ispirate al tuo blog e innestata sui tuoi meetup attivi un po' dappertutto. E' il bisogno di democrazia diretta - ovvero l'unica e vera democrazia. Ma, caro Beppe, se prendiamo il programma a cui si ispirano i candidati del MoVimento a 5 Stelle per le regionali di fine marzo, leggiamo dell'acqua pubblica, del verde urbano, della mobilità ecosostenibile, del risparmio energetico, della connessione gratuita, di "rifiuti zero", di favorire le produzioni locali e del telelavoro. Molto di condivisibile (il primato del pubblico, l'ottica di decrescita, l'attenzione all'ambiente) e qualcosa no. Lavorare attaccati al pc di casa, per dire, incatena il poveraccio alla macchina, quando lo scopo finale dovrebbe essere liberarsi della macchina. Ma è pur vero che qui si sta parlando di punti programmatici per delle elezioni regionali, non di una palingenesi sociale. E allora ok, incoraggiamo i giovani grillini che, scusate il berlusconismo, scendono in campo. Sono per lo più ragazzotti acerbi che del "nemico" (i partiti e il clientelismo locale) sanno poco o nulla. Si faranno le ossa, ma tu, Beppe, e la potente Casaleggio Associati che ti consiglia, dovreste sapere che molti di loro se le sono rotte già alle amministrative del 2008, quando la loro impreparazione ha dovuto fronteggiare i mastini della partitocrazia. Classico esempio di come l'azione senza il pensiero non porti da nessuna parte. Tanto è vero che poi, scegliendo di non scegliere l'opposizione radicale a questo sistema, sei rimasto d'un botto deluso da Antonio Di Pietro che si allea - questa volta "strategicamente" - col repellente Partito Democratico e accetta candidature rivoltanti come quella dell'inquisito De Luca in Campania. Da Travaglio, che è un liberaldemocratico tutto d'un pezzo, possiamo aspettarci la sfuriata sul solo peccato di lesa legalità . Ma da te, Beppe, che te la prendi, a ragione, coi partiti in quanto tali e che dici chiaro e tondo che la nostra non è una democrazia, inseguire ancora un certo collateralismo con l'Italia dei Valori conferma che il salto d'immaginazione non l'hai fatto. Non è che poi ci voglia molto: finchè la baracca parlamentarista starà in piedi, ogni reale opposizione rimarrà tagliata fuori. E' il totem delle elezioni in mano ai partiti-mafie a renderla impossibile, poiché ad ogni voto scatta l'obbligo a-morale di parteciparvi. Con questo non vogliamo dire che fra i grillini così come fra i dipietristi non vi siano persone di tutto rispetto, anzi. Sono forse il meglio che c'è nel recinto partitocratico. Ma sempre dentro quel recinto operano e si dannano, puntellandolo anziché abbatterlo.
Uomini veri
Ecco perché ci sembra di dover dire che il grande limite dell'esercito mediatico da te simboleggiato, caro Beppe, è involontario, storico, umano: l'assenza di idee forti e alternative a tutto questo sistema di vita. E idee forti non ce n'è perché a mancare sono gli uomini. Gli uomini veri: forti e animati da ideali, con la passione per il senso ultimo delle cose. Di qui il fatto che di azione se ne veda poca, o rimanga circoscritta alle questioni locali e settoriali. Per forza: le fa difetto una direttrice di pensiero, un retroterra culturale (un'ideologia, si sarebbe detto una volta). Non c'è una visione del mondo realmente alternativa. Non c'è una prospettiva a lungo termine. Sia chiaro: non siamo nostalgici degli "ismi" otto-novecenteschi. Ma ci manca, e tanto, la nobiltà di aspirazioni che solo obiettivi più importanti delle nostre piccole, misere esistenze, possono infondere.
Alessio Mannino
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