Gomorra nell'incubatrice veneta
Martedi 24 Luglio 2012 alle 15:26 | 0 commenti
Pochi minuti fa Andrea Zanoni, eurodeputato dell'Idv, ha dato notizia dell'incendio doloso del bosco dietro casa sua a Paese nel Trevigiano. A Mantova tra il 4 e il 5 luglio una bomba è esplosa davanti all'abitazione del pm Giulio Tamburini. Quest'ultimo però è anche applicato alla procura antimafia di Brescia. Alcuni mesi fa la stampa veneta ha dato notizie delle pressioni al limite della intimidazione su alcuni personaggi pubblici che a Vedelago si oppongono ad un maxi insediamento industriale nella frazione di Barcon.
E ancora, situazioni simili sono state ravvisate da diversi esponenti dei comitati che si battono nel vicentino contro la Spv, sulla quale sono accesi anche i riflettori di Zanoni, il quale peraltro da anni ha messo sotto accusa il sistema malato delle cave nel Trevigiano unitamente al suo impegno animalista. Il 20 luglio Sette, il magazine del Corsera dedicava un intero reportage alle infiltrazioni del crimine organizzato sul lago di Garda. Il titolo dice tutto: «I tentacoli delle mafie sul Garda: tra droga e affari immobiliari». Il 20 aprile Roberta Polese, stimata cronista del Corveneto, sul network dei blog de ilfattoquotidiano.it così titolava: «Allarme mafia nel Veneto, qui la prima banca si chiama ‘ndrangheta».
C'è un filo rosso che lega tutto quanto o si tratta di eventi sì preoccupanti ma non organicamente correlati? Difficile a dirsi. Intanto però pesano come pietre le parole che Franca Equizi ha usato ai primi di marzo su vicenzapiu.com: «Dai quotidiani veneti apprendiamo in queste ore una notizia di una gravità inaudita. All'inizio del processo Crisci nell'aula bunker di Mestre sono solo otto gli imprenditori veneti che si sono costituiti parte civile. Otto su sessanta i quali erano stati oggetto di malversazioni da parte di un clan che operava nella galassia dei Casalesi. Difficile dire se si tratti di paura o del timore di altre rivelazioni magari per magagne fiscali. Sia quel che sia, il mitico Nordest pronto ad a zittire i clandestini, a calare contro Roma e a promettere tumulti sociali di fronte ad uno Stato centrale, spesso a ragione, accusato di vessazioni e inefficienze, si è rivelato un semplice ologramma, uno specchietto per allodole e tordi. Nel Veneto con le prudenze verso la Camorra, come in Lombardia con la 'Ndrangheta la permeabilità delle aziende verso la criminalità organizzata è un fatto: che sia da addebitarsi ad una buona dose di malafede e opportunismo o alla sola capacità di penetrazione delle cosche la sostanza non cambia. I veneti si stanno dimostrando un popolo che non sa e non vuole porre barriere. I silenzi sul caso Pedemontana la dicono lunga. Lor signori della classe dirigente regionale stiano però in guardia. Quando certi soggetti si insinuano, o perchè chiamati o perchè arrivati da soli poi non se ne andranno più via».
Zanoni intanto mette le mani avanti: «Sono talmente tante le questioni che ho denunciato che non saprei nemmeno dove cominciare per provare ad immaginare una traccia investigativa. Mi domando però se nella nostra regione sia o non sia in atto una escalation. Almeno sul piano di certi episodi che qui non si erano mai vissuti, se non ai tempi della mala del Brenta».
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