Gli anni '90: la transizione dall'informatica di bottega a quella di massa
Domenica 4 Novembre 2012 alle 10:49 | 1 commenti
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Di Alessandro Sartori
Dopo le innovazioni che hanno caratterizzato i tumultuosi anni '70 ed '80 e fatto arrivare l'informatica nelle case di tutto il mondo, gli anni '90 hanno rappresentato un momento di crisi e di selezione. Grandi aziende, come Commodore, Atari, Sinclair, Acorn ed Amstrad, avevano proposto in passato macchine basate su circuiti elaborati in proprio ("chip custom" per gli addetti ai lavori) allo scopo di incrementare le prestazioni dei propri computer, assolvendo specifici compiti nell'elaborazione grafica, sonora e di altre funzioni al posto del processore principale ( CPU ), le cui prestazioni variavano da sistema a sistema, a seconda del diverso grado di "creatività " dei team di progettisti che li concepivano.
L'arrivo delle nuove architetture IBM-PC compatibili decretò però un cambio radicale nei processi di sviluppo da parte delle grandi aziende, che incominciarono a proporre macchine basate su componenti standard prodotti da aziende terze parti, permettendo un notevole abbattimento dei prezzi per il consumatore finale.
Un'importante caratteristica delle piattaforme IBM-compatibili era inoltre l'architettura modulare, che permetteva di espandere, aggiungere o togliere funzionalità al sistema (teoricamente anche di mantenere aggiornata una macchina, ma queste spesso diventavano obsolete nel giro di un anno o anche meno, rendendo più semplice comprare un nuovo sistema completo) semplicemente aggiungendo una o più schede, invece di riprogettare da capo l'intera circuiteria di un modello. Erano gli anni in cui da noi arrivavano i grandi centri commerciali (prima "Trony", poi "Mediaworld" etc.) e l'informatica entrava - impossessandosi d'ampie porzioni di scaffali - anche nei supermercati.
A questa rivoluzione molte società , spiazzate dalla marea "PC-Compatibile", si trovarono dapprima incapaci di opporre sistemi che reggessero la sfida delle prestazioni e soprattutto della convenienza di questi "Cloni"; successivamente esse cercarono di stare a galla utilizzando un mix di strategie spesso discutibili, fatte di tagli sui costi per la produzione dei propri modelli di punta, riduzione di risorse da dedicare alla pubblicità (ed alla propria visibilità ), finendo spesso per seguire la corrente realizzando sistemi completi PC-Compatibili che si presentavano però sul mercato già vecchi.
Fu perdendo così la propria identità che, senza riuscire più ad offrire - ad un prezzo competitivo - qualcosa d'esclusivo ai propri utenti se non l'immagine storica del proprio marchio, una ad una tali aziende finirono per scomparire.
Alcuni computer storici, soprattutto gli ultimi esemplari di Commodore (con la sua divisione Amiga), Atari (con la linea di prodotti ST, STE, XE ed infine Falcon), Acorn (con i sui Archimedes, basati su processori RISC), riuscirono a ritagliarsi nicchie di eccellenza (Atari nella musica, Amiga nel montaggio Video) od a sopravvivere come macchine da gioco. Purtroppo però l'emergere prepotente di una nuova generazione di console ad alte prestazioni (Sega, Nintendo, e da ultimo la Sony) e l'aggrapparsi a supporti di memorizzazione obsoleti come il floppy disk (e pensare che la tecnologia di supporto su compact disk o CD risaliva già agli ultimi anni '70) le tagliò fuori anche da questo lucroso mercato.
Società che avevano di fatto creato dal nulla il mercato dell'informatica di consumo, abituate a sviluppare e presentare un nuovo modello ogni 4-5 anni, si trovarono di colpo con in mano prodotti obsoleti.
Commodore, che fino ai primi anni ‘90 produceva ancora ostinatamente il suo modello (un tempo) di successo a 64 Kbyte di memoria, andò in liquidazione controllata nel '94 dopo aver cercato di ritagliarsi uno spazio con sistemi PC-Compatibili; i suoi brevetti hardware (legati principalmente alla linea di prodotti Amiga) andarono rapidamente dispersi o vennero presto superati da nuovi prodotti sul mercato (si veda la console Amiga CD32, presto soppiantata sul mercato dalla Playstation della Sony), mentre attualmente sopravvive uno dei suoi sistemi operativi (AmigaOS) curato da aziende terze parti. Oggi il marchio della Commodore, passato di mano in mano attraverso poco chiare operazioni commerciali, si rifà vivo ogni tanto con qualche prodotto di ispirazione vintage o con piccole periferiche rimarchiate come lettori audio o video.
Atari abbandonò ogni interesse per lo sviluppo di piattaforme hardware nel 1996, dopo il fallimento della sua linea di computer Falcon, della console da casa Jaguar e delle varianti portatili della linea Lynx. Attualmente il marchio sopravvive esclusivamente legato allo sfruttamento di alcune licenze nell'ambito dei videogiochi. Stesso discorso vale per la Sega, dopo il fallimento della console Saturn.
Curioso il declino d'altri marchi, le cui avventure si intrecciano spesso con il nostro bel paese. La divisione computer della Sinclair (casa madre dello Spectrum) venne acquistata dalla Amstrad; il marchio fece un'ultima apparizione col modello Sinclair PC-200, un PC compatibile rimarchiato e commercializzato anche dalla nostra Olivetti.
Con la casa informatica di Ivrea, anch'essa al crepuscolo di una storia gloriosa, si intrecciano negli anni '90 anche i destini dell'inglese Acorn: quest'ultima, dopo essere stata temporaneamente sotto il controllo appunto dell'Olivetti, tentò di sopravvivere vendendo sistemi a basso costo e dispositivi per il collegamento ad internet, per poi svanire alla fine degli anni '90. Non fu così per la sua divisione di chip "custom": al tempo della produzione dei suoi sistemi Archimedes i chip RISC, sui quali erano realizzate tali piattaforme, venivano realizzati da una divisione a se che, per motivi fiscali, fu separata dalla casa madre e denominata ARM, acronimo di "Acorn RISC Machine". Quando la Acorn fallì ARM, ormai indipendente, si concentrò sullo sviluppo di CPU per dispositivi portatili: i suoi processori sono oggi il cuore di molti degli smartphone che stanno nelle nostre tasche...
Degli altri marchi soltanto la Apple, con fortune altalenanti, è sopravvissuta fino ad oggi. Anch'essa ebbe la sua crisi nel 1996, con vendite e prodotti ridotti al lumicino, e fu quasi sul punto di fallire anch'essa. Fu salvata dal ritorno al timone del suo fondatore, Steve Jobs, che portò in essa l'esperienza ed il know-how sviluppato nel frattempo sotto l'etichetta "Next" (la quale finanziariamente versava anch'essa in cattive acque). Egli riportò al successo la casa della mela, ne riconquistò ed allargò la platea degli estimatori, tornando però a fare quello che altri marchi avevano da tempo dimenticato: fornire prodotti unici ed innovativi, indicando la rotta al mercato informatico invece di subirla adeguandosi semplicemente alla massa.
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