Galan e Lega, il potere per il potere
Mercoledi 23 Settembre 2009 alle 16:05 | 0 commenti
Dovrebbero vergognarsi. Tutti. L'osceno mercato messo in piedi fra Partito della Libertà e Lega Nord intorno alla candidatura per la presidenza della Regione Veneto è uno di quegli scempi della volontà popolare che dovrebbe far passare la voglia di votare alle elezioni regionali del 2010 anche ai più accaniti fan di Galan e del Carroccio, trattati come mandrie di buoi. Ossia come una variabile di poco conto, un dettaglio contingente, inerte massa di manovra nella lotta fra due apparati cui preme soltanto la conquista delle poltrone.
Ricapitoliamo. L'anno scorso il gran sultano Berlusconi, per prendere tempo, s'era inventato la regola: in Veneto, chi prende una sola preferenza in più fra i due partiti alleati ma concorrenti si prenota il posto di candidato a governatore. Alle politiche il PdL veneto supera di un punto percentuale l'armata leghista. Ma questa non se ne dà per inteso, e imperterrita continua a reclamare la sostituzione di Giancarlo Galan. Costui ha ormai accumulato ben tre mandati di fila, e il quasi pareggio sprona la Lega a proporsi come forza trainante della coalizione. Beghe interne, affari loro? No, affari nostri. Perché il cambio della guardia a Palazzo Balbi significa lo smantellamento di tutta un'architettura di interessi costruitisi attorno all'attuale presidente (ad esempio nella ricca greppia della sanità , in cui molta voce in capitolo ha finora avuto la vicentina Lia Sartori, galaniana di ferro).
Il Partito Democratico, l'esangue opposizione, cerca maldestramente di infilarsi nella contesa seminando zizzania. Di qui l'intervento di Enrico Letta dell'altro ieri, secondo il quale l'uomo a cui Bossi sta pensando per il trono di Venezia è il ministro dell'agricoltura Luca Zaia. In realtà , il Pd sta alla finestra, impotente. Talmente impotente che c'è stato persino qualcuno che ha ipotizzato un patto Pd-PdL contro la marea montante della Lega. Un'idea comica che rende alla perfezione lo stato pietoso in cui versa la cosiddetta sinistra nelle nostre padanissime lande.
I punti fermi sono due. Il primo è che un Galan che mira al Ventennio è uno schiaffo in faccia a tutta la retorica democratica del ricambio, della politica come servizio e non come mestiere e a tutte le suadenti balle che ci propina questa classe feudale di partitocrati. Il secondo è che una Lega che si autorappresenta come movimento di popolo e che poi ha come unico pensiero l'assalto al palazzo, si conferma per l'ennesima volta per ciò che è: un partito di potere come tutti gli altri. C'è ancora qualcuno che se la sente di votare, l'anno prossimo?
Alessio Mannino
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