Foto di gruppo con lavoratori: cappi al collo alla Mcs
Sabato 6 Luglio 2013 alle 00:26 | 0 commenti
Il caso MCS è salito, come si dice, agli onori della cronaca, alla metà di giugno, quando si annunciò un vertice tra la proprietà dell'azienda e i sindacati. In quel vertice si sarebbero esaminate le nuove intenzioni della Emerisque Brand, la proprietà internazionale che dall'aprile 2012 detiene la lontana erede della creatura del conte Marzotto.
È ancora nella «sua» Valdagno - sua, del conte -, la creatura; o meglio, fisicamente, nella frazione di Maglio di Sopra dove ha sede lo stabilimento.Â
Il piano della proprietà non piacque e subito partirono gli scioperi. Più di una volta i lavoratori della MCS hanno sfilato tra lo stabilimento e il comune del paese, dove il sindaco Alberto Neri ha cercato di mediare tra le parti in causa. Ciò che non è piaciuto e che necessariamente non è potuto piacere ai sindacati è stata la decisione di trasferire all’estero una parte della produzione locale e lasciare quindi senza lavoro 99 persone. Un danno per loro, ma anche per le rispettive famiglie. Ma era chiaro a tutti, lo si confermò anche a VicenzaPiù, che il pericolo era per tutti gli operai e non solo per i 99 al momento più in pericolo di altri: si creava un precedente pericoloso in cui si sacrificavano le logiche sociali a quelle economiche, per non dire finanziarie. La Valdagno che un tempo era stata la culla di una ben diversa visione dell’economia e della fabbrica, che teneva conto anche degli effetti sociali dell’economia, diventa ora la culla di una nuova finanza che fende dritta senza paura sulla vita delle persone e sui loro disagi.
A un certo punto, tanto per dare l’idea, uno striscione con i disegni di tante corde da impiccato è comparso su un muro, attirando l’attenzione persino del maggiore foglio locale, Il Giornale di Vicenza. Quel disegno illustra bene come si sentono gli operai della MCS, e non solo i 99 interessati.
Gli scioperi attirano nello spazio di qualche giorno l’attenzione delle autorità : in regione l’assessore al lavoro Daniela Donazzan fa sapere di voler prendere personalmente in cura i 99, garantendo loro tutta l’assistenza possibile, e lancia un grido d’allarme per la difesa del Made in Italy. Si attiva, tanto a livello regionale quanto a livello più locale, Rifondazione comunista, incontrando le maestranze e criticando anche lei l’attuale legge sul Made in Italy, che sarebbe solo una tendina dietro cui nascondere con un titolo rassicurante e affidabile un prodotto in realtà internazionale e made around the world. Parlamentari vicentini del Pd visitano i luoghi del disagio e si impegnano a portare la causa dei lavoratori fino alle istituzioni centrali. Che in quel di Roma vengono effettivamente interrogate: cosa intendono fare? Lo stesso fa il Movimento 5 Stelle. Ma i sindacati, ringraziando, rilevano: «Crediamo e ribadiamo che non ci sia comprensione fino in fondo del nodo, prettamente politico, che riguarda la nostra azienda e che, con una mobilitazione di territorio riteniamo opportuno ribadire». E aggiungono: «La battaglia MCS è quindi un emblema dell’abbandono della nostra centralità industriale». La risposta dei sindacati è resa pubblica appena il 25 del mese, una decina di giorni dopo il primo vertice tra sindacati e proprietà . Nel mezzo, gli scioperi e gli incontri tra le parti, in varie sedi e in diverse città , a diversi livelli; con diversi esiti, pure altalenanti, con i presidi rimossi temporaneamente in segno di avvicinamento e poi ripresi in segno di nuova incompatibilità . L’unica certezza rimane la paura per i 99 e la tensione per tutti gli altri lavoratori, che ricevono anche la solidarietà di altre realtà lavorative e sindacali della Valle dell’Agno.
Un editoriale del nostro direttore, Giovanni Coviello, il 17 giugno bacchettava anche i sindacati, e nella fattispecie la Cgil, perché avevano lasciato troppo correre in altre precedenti situazioni, quando i guai finanziari dei Marzotto venivano timidamente affrontati perché comunque i discendenti del conte ancora a Valdagno danno da lavorare a parecchia gente e a scuotere troppo l’albero c’è il rischio che con le foglie cadano anche i frutti. Il pezzo aveva riscosso pubblici apprezzamenti ma anche qualche mormorio di scontento, vista la situazione.
Le ultime notizie di questo luglio entrante danno il caso Valdagno proiettato anche in Europa grazie all’impegno dell’Europarlamentare Sergio Cofferati, nuovi incontri cercano di aggiustare la situazione mediando tra la necessità dell’impresa di dislocare e quella dei lavoratori di continuare a essere tali: si sono individuati quattro siti che potrebbero, dopo effettive verifiche, fare al caso: ma tra questi quello di Trissino suscita già le prime perplessità , perché uno spostamento porta a una modifica importante di un’intera zona, non è detto senza disagi per gli altri già presenti sul sito.
Tutto questo dura più o meno da tre settimane. L’impressione che se ne ha a ripercorrere tutto, sia detto senza il minimo dubbio sulla buona fede di chi è intervenuto e con la consapevolezza che a battere su una tastiera non si ha un impatto certo maggiore, è che la politica nazionale, regionale compresa, poco possa nei confronti di una finanza sempre più internazionale e sempre più abituata a vedere dall’alto le realtà locali su cui agisce, così dall’alto che le persone, i lavoratori, nulla sono più che puntini invisibili.
I sindacati si battono, i lavoratori scioperano, i politici denunciano in parlamento, a Roma si fatica a rispondere alle interrogazioni. Si chiama in causa anche l’Europa, e si aspetta anche da lì una risposta.
A ogni livello il parlamentare, il politico, il partito, incontra i lavoratori, sensibilizza, denuncia. Ma poi tutto sembra cominciare, inesorabilmente da capo, in questa sorta di sfocata foto di gruppo con lavoratore.
Ma di concreto la politica, con questa nuova economia finanziaria, cosa può fare?
Nel frattempo rimane come assoluta certezza quello striscione con i cappi pronti a stringere i colli. Dei lavoratori.
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La foto è di Eva Dallari, Giornale di Vicenza
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