Formazione, non scherziamo col futuro delle imprese
Giovedi 17 Marzo 2011 alle 13:43 | 0 commenti
Maurizio Pini, Presidente Federmanager Vicenza - Quando si parla di formazione in Italia, si tocca sempre un tasto dolente. E la realtà industriale e imprenditoriale non fa eccezione: il 70% delle aziende italiane dichiara di organizzare lezioni e seminari per i dipendenti o i manager solo se sostenuti da finanziamenti pubblici (nella foto Maurizio Pini). A Vicenza e provincia si conferma il dato nazionale: considerando la spesa complessiva per la formazione, ben il 30% non viene in alcun modo supportata.
Non solo: di tutte le imprese aderenti a Fondirigenti, soltanto 385 hanno devoluto ad attività formative lo 0,3% dei contributi dei dirigenti previsto dalla legge 388 del 2003, e soltanto il 38% delle risorse messe a disposizione nella Fondazione vengono utilizzate a questo scopo.
Come non bastasse, risulta che metà della quota totale che deriva in Italia da quello 0,3% e che viene prelevata dall'Inps, invece di essere destinata alla formazione, rimane dormiente nelle casse dell'istituto previdenziale.
Pochi dati ma significativi per capire la necessità di operare al più presto un cambio di rotta. Si deve passare attraverso la consapevolezza che la formazione non può essere una scelta da prendere solo "quando si ha il tempo" o senza alcuna spesa: la formazione rappresenta sicuramente un costo, ma non a perdere, perché contribuisce alla crescita delle persone che compongono l'azienda, e quindi alla crescita dell'azienda stessa. Ci dimentichiamo troppo spesso che la formazione è un investimento, e in quanto tale rappresenta una delle uscite che poi "ritornano" sotto forma di fatturato.
Se l'Italia è da considerarsi un Paese povero di materie prime, ciò che non le manca, e di cui anzi è ricca, sono i "cervelli", i talenti, le conoscenze. Ma, affinché abbiano un'utilità , devono essere coltivati, valorizzati, motivati.
Vista in quest'ottica, la formazione diventa il pilastro portante dell'intero sistema economico e produttivo: decidere di formare i propri collaboratori significa scegliere di credere nelle loro possibilità , e di muoversi in modo strategico nella gestione delle risorse.
Qualcuno ha detto che la formazione è uno dei pochi biglietti indispensabili per salire sul treno che ci porta verso il futuro. In un momento di crisi e di difficoltà come quello che stiamo vivendo, acquistare quel biglietto è quanto mai fondamentale perché, pur essendo oneroso, lo è sicuramente meno dell'ignoranza e degli effetti che questa produce!
Ecco perché sosteniamo da sempre non solo la preparazione in seno alle aziende, ma anche il rafforzamento del legame che unisce il mondo del lavoro a quello della scuola e dell'università . E qui il connubio tra Federmanager e Confindustria può fare la differenza.
Infatti nella mia esperienza professionale ho notato che, se sollecitata, la scuola risponde, e risponde bene. A Schio, per esempio, è già attivo il progetto "Alternanza scuola-lavoro", che negli scorsi anni ha permesso agli studenti dell'Istituto tecnico industriale "De Pretto" di svolgere degli stage all'interno di un pool di imprese del territorio. I risultati sono stati davvero positivi, e la risposta dei ragazzi entusiasta.
"Costruire" delle conoscenze è anche questo: superare le barriere che esistono tra le aziende e la scuola e abbattere quel pregiudizio che vorrebbe il sistema scolastico italiano in costante carenza.
Gli esempi virtuosi ci sono, ma devono essere supportati attraverso una collaborazione solida con le Associazioni di categoria. In questo senso potrebbe rivelarsi prezioso l'inserimento di una rappresentanza di manager all'interno del Comitato tecnico-scientifico di ciascuna scuola, così da alimentare una sinergia sul campo e facilitare il dialogo e le procedure a livello logistico.
Certo, è difficile che una simile concezione della formazione possa attecchire lì dove manca etica: se guardiamo all'Italia oggi, vediamo un Paese dove vengono evasi 120 miliardi di euro all'anno, e dove solo 77 mila contribuenti dichiarano di percepire più di 200 mila euro. La latitanza di un capitalismo responsabile, unita al sentimento di rassegnazione («Tanto le cose non cambiano»), spinge i più giovani a volgere lo sguardo altrove, e a immaginarsi il proprio avvenire all'estero. Come biasimarli?
Anche quando si parla di formazione, dunque, il problema rimane a monte, radicato nell'assenza di una classe dirigente politica ed economica ispirata, attenta, che con competenza e coraggio dia la spinta per mettere in moto un processo di cambiamento.
Senza gli approfondimenti adeguati, senza una professionalità che nasca dallo studio e dalla ricerca, e che rinunci a spicci ma rovinosi metodi "fai da te", non potremo andare molto lontano.
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