Figli di un'industria "minore"
Martedi 28 Luglio 2009 alle 08:00 | 0 commenti
Le piccole imprese alzano la voce. Dalla crisi ("la ripresa sarà lentissima") alla nuova Aim ("bene il taglio dei cda"), intervista al presidente di Apindustria Filippo De Marchi: "La politica ci ignora"
È uno dei presidenti di categoria più combattivi del vicentino, spesso in prima linea nel denunciare le promesse mancate della politica o le cattive abitudini delle banche. Filippo De Marchi da poco più di un anno è alla guida di Apindustria, una delle associazioni di piccole e medie imprese più numerose e strutturate a livello regionale, con le sue 1400 aziende iscritte per un totale di quasi 30 mila addetti. Tanto che viene naturale chiedergli quali siano le differenze reali con i "fratelli maggiori" di Assindustria, visto che anche loro sono costituiti in gran parte da imprese piccole e medie (oltre il 90 per cento degli iscritti di Assindustria è nel Comitato piccola impresa).
"Io dico spesso che siamo gemelli con una madre diversa. Nel senso che le differenze sono molto piccole. Per assurdo, anzi, loro hanno una media di dipendenti che è di qualche decimale più bassa della nostra. Io ritengo sciocco che ci siano più rappresentanze datoriali in Italia, quando in moltissimi paesi esteri non è così. È vero però che, soprattutto a livello nazionale, Confindustria è ancora legata alla grande e grandissima azienda. È questa la madre diversa a cui facevo riferimento. Ma è soprattutto un discorso nazionale, perché a livello vicentino, e anche veneto, potremmo già essere una cosa sola".
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Il problema principale, per tutti, è la crisi. Come si sta evolvendo la situazione?
"Il mercato si è fermato. Sta soffrendo molto il settore del metalmeccanico, che finora aveva lavorato con gli ordini di fine 2008 e di inizio 2009. Adesso, invece, è molto, molto rallentato; ed era il settore trainante, quello che in passato non aveva mai subito crisi. Altri settori, come il tessile o l'orafo, erano già abituati agli alti e bassi, il metalmeccanico no, e ancora nel 2008 aveva avuto un anno positivo. Il 2009 si annuncia invece molto negativo: però siamo a luglio, e molto dipenderà dai prossimi mesi".
Tra tanti indicatori preoccupanti, c'è anche ci comincia a parlare di segnali di ripresa. Lei ne vede?
"Qualche segnale si vede, ma bisogna capire se si consolideranno. Mi spiego. Negli ultimi mesi si è bloccata tutta la catena produttiva: le aziende non hanno più fatto ordini, e hanno fatto fronte alle richieste esaurendo le scorte che avevano in magazzino. Adesso siamo al minimo, i magazzini sono vuoti, e basterebbe poco per ripartire: qualcosa si muove, bisogna vedere se questo indica che davvero il meccanismo sta ripartendo. La ripresa, comunque, sarà molto lenta".
Lei aveva detto che i piccoli imprenditori si sentono inascoltati dalla politica e beffeggiati dal sistema bancario. Conferma?
"Confermo. La politica non sta facendo niente per le piccole imprese. Prendiamo ad esempio la Tremonti ter (sgravi fiscali per gli investimenti, ndr). Dall'ultima indagine congiunturale che abbiamo svolto tra i nostri associati, su oltre duecento imprese non ce n'era nemmeno uno che avesse in programma investimenti per il 2009. Nessuna. A cosa serve allora la Tremonti ter? O ancora gli sconti Ires (agevolazioni sull'aumento di capitale, ndr). In sé non sono una cattiva idea, ma è come se uno stesse affogando e tu gli dicessi; 'prima vieni a riva che ti do il salvagente'. Invece le imprese sono in mezzo al mare e sono senza salvagente. Oppure lo scudo fiscale. Il teorema di Visco era: le aziende evadono, portano i capitali all'esterno e si indebitano qui. Tremonti non lo ha cambiato, anzi, lo ha proseguito, progettando lo scudo fiscale per ricapitalizzare l'impresa. Ma sono i presupposti ad essere sbagliati: non è vero che gli imprenditori hanno capitali all'estero, e si ce ne sono metteteli in prigione. Per come la vedo io lo scudo fiscale serve solo ai grandi evasori".
La moratoria sui mutui?
"Va bene, ma non serve a niente se non è un decreto imposto per legge".
Perché?
"Perché se la discrezionalità viene lasciata alla banca, la banca non la concede a nessuno o la concede solo a chi è alto, bello e biondo, cioè ai soliti noti. Vediamo tutti com'è la storia: se hai 500 mila euro di debiti ti fanno fallire, se ne hai 500 milioni trattano".
Sulle banche il presidente di Unindustria Treviso Alessandro Vardanega ha detto ad alta voce quello che molti pensano. E cioè che le banche non concedono credito e aumentano i costi per le imprese. Condivide?
"Sulla questione banche ci sono due aspetti. Il primo è quello che riguarda i costi, le commissioni di massimo scoperto e via dicendo. Io dico che è meglio fare finta che questo problema non ci sia, e concentrarsi sull'unico vero problema, che è quello dell'accesso al credito. Non è l'1 o il 2 per cento di interessi sull'affidamento in più che mi cambia la vita; quello che mi fa la differenza è se mi concedono il prestito o no".
E lo fanno?
"Se guardiamo le statistiche gli impegni bancari sono crollati. E se dal conteggio venissero tolte le megaoperazioni come quelle per la Fiat, il crollo sarebbe ancora più forte. Il problema è che le banche hanno perso la capacità di fare le banche, facendo business con operazioni derivate dal sistema finanziario, invece che con il prestito di denaro. Se il tasso di interesse per il prestito di denaro è del 2 per cento, gli utili di una banca dovrebbero essere del 2 per cento, o no? Invece c'era Unicredit che faceva il 20 per cento di Roe (indice di redditività , ndr). Adesso quel mondo è morto, però le banche non investono più nelle piccole imprese: perché non sanno più cosa sono, non ne conoscono il mercato, il management, la situazione. Non basta guardare i bilanci per capire se un'azienda ha un futuro oppure no: invece, nel silenzio generale, le banche hanno buttato fuori decine di migliaia di persone con grande esperienza e che conoscevano il territorio, assumendo al loro posto ei giovani che sanno fare benissimo il controllo informatico. Ma questo non basta".
Tutte le banche?
"Tutte. Anche le banche del territorio, anche se in questo caso non proprio tutte: qualcuna è stata più attenta, qualcuna meno, qualcuna ha corretto la rotta. Avrete visto che ci sono stati molti cambi di dirigenti negli ultimi tempi, no? Poi io dico anche che si dovrebbero ammorbidire i parametri di Basilea 2 per gli istituti di credito: io non giustifico le banche, ma capisco che anche loro devono rispettare parametri molto rigidi. Invece bisognerebbe togliergli tutte le giustificazioni".
A livello vicentino, il Comune ha appena approvato la ristrutturazione di Aim, in cui viene inglobata anche Amcps. Come la giudica?
"Non l'ho seguita da vicino, ma in termini generali noi non abbiamo mai visto di buon occhio il proliferare delle municipalizzate. Quindi vedo positivamente il tentativo di riaccorparle sotto un unico cappello, anche solo per eliminare qualche cda".
Una parte del mondo imprenditoriale, ad esempio una parte di Assindustria, ha visto in questa decisione una chiusura al mercato e teme una riduzione degli appalti distribuiti sul territorio.
"Il punto è che molti investimenti sono bloccati dal patto di stabilità , è quello che andrebbe rivisto. L'ho già detto e lo ripeto: ci sono tanti piccoli lavori, su scuole, strade, infrastrutture, ospedali, per cui i soldi ci sarebbero, ma sono fermi. Invece di pensare a megaprogetti come il ponte sullo Stretto pensiamo a rimettere in moto questi, e allora ci sarebbero anche tutti quegli appalti di cui si parla".
In tema di appalti e cantieri, adesso gli occhi si spostano sul Pat. Qual è la vostra posizione?
"Abbiamo seguito soprattutto la discussione che riguarda la zona industriale ad ovest. Che dovrà lentamente de-industrializzarsi. Io non dico che dovrebbe essere trasformata in una zona commerciale, però bisogna cominciare ad immaginare un percorso per un futuro in cui si rinuncerà anche ad una quota di settore secondario. E mi sembra che ci sia un ragionamento in questo senso. Per il resto ho delle idee su alcuni punti, ad esempio avrei visto bene l'università dove ora c'è la fiera, come centro di ricerca, e la fiera in un altro posto, inserita in un sistema di servizi più ampi. Ma questi sono ragionamenti già fatti e che ora sono superati dai fatti e bloccati dalla crisi".
Rispetto ad Assindustria, che ha un'influenza molto forte sulla città , vi sentite un po' tagliati fuori dal salotto buono?
"L'importante è avere buoni rapporti. In passato ci sono state delle difficoltà , ma con Zuccato i rapporti sono ottimi, e siamo stati pienamente coinvolti nella scelta di Mincato alla Camera di commercio, oltre che su altri temi. Poi bisogna anche saper riconoscere i propri limiti e le differenze di bilancio. In ogni caso vediamo positivamente come i piccoli imprenditori stiano guadagnando spazio anche lì, e non solo a livello vicentino, perché questo vuol dire una maggior vicinanza di interessi".
Voi siete un'associazione apartitica. C'è qualche forza politica in cui vi riconoscete maggiormente? Lo stereotipo che vuole il piccolo imprenditore del nordest vicino alla Lega è vero?
"Noi sentiamo molto vicini i politici che ci stanno seguendo, e in questa zona significa quasi solo deputati leghisti. Del resto se sono stati eletti qualcuno li avrà pur votati, no? Ma io alla Lega ho detto anche attenzione, perché alle ultime elezioni vi aspettavate di stravincere e invece non avete vinto. E questo vuol dire che certe richieste sono ignorate dalla sinistra, ma poco capite anche dalla Lega"
Con la sinistra, o con il centrosinistra del Pd, non c'è nessun punto di contatto?
"Io non mi sento molto vicino, ma Calearo dice spesso cose vere e collaboriamo anche con lui. Quanto alla sinistra, se è sparita dal parlamento è perché non ha raccolto voti, il che vuol dire che ha perso la capacità di rappresentare la realtà . Io credo che non dobbiamo ragionare in termini di tutela dei lavoratori o tutela delle aziende, ma di tutela dei posti di lavoro: se tuteliamo quelli, facciamo contenti tutti".
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