Euro in crisi, Berlino è la soluzione o il problema?
Giovedi 19 Gennaio 2012 alle 00:25 | 0 commenti
Secondo Eurointelligence.com il fallimento dell'Unione monetaria nasce "alla radice" dalla politica economica tedesca. Fin dall'inizio hanno puntato alla "concorrenza tra nazioni", ostacolando invece la coesione
La Germania è un modello al quale guardare per tirarsi fuori dalla crisi dell'euro, o non è piuttosto la causa, l'origine stessa della crisi? Sulla questione, che divide sempre più l'Europa e la sua opinione pubblica, interviene con un nuovo contributo Eurointelligence.com, un sito da sempre molto critico nei confronti della politica economica praticata da Berlino.
A 12 anni dalla sua nascita, l'Unione monetaria europea naviga "in acque agitate e capitan Merkozy sta conducendo la nave verso rocce pericolose, che potrebbero segnare la fine di una navigazione lunga e pacifica in una regione un tempo lacerata dalla guerra". La metafora dolorosa, nei giorni del naufragio della Concordia al Giglio, fa parte di un'analisi firmata su Eurointelligence dall'economista Heiner Flassbeck, direttore della sezione Strategie di sviluppo e globalizzazione dell'Unctad (agenzia delle Nazioni Unite).
"Molto è stato detto - ricorda Flassbeck - su quanto sia folle spingere i paesi a tagliare la spesa pubblica, aumentare le tasse e fare pressione sui salari nel mezzo di una delle più profonde recessioni della storia moderna". Ma secondo l'economista il problema non sta solo nella politica contingente adottata da Merkel e Sarkozy, quanto, alla radice, nelle scelte fatte da Berlino: "La Germania è considerata da molti come il modello per il resto dell'Unione. Questo - sostiene Flassbeck - è l'errore più grande e la vera ragione per cui l'Europa sta commettendo un suicidio economico, invece di affrontare il suo problema alla radice".
"Sin dalla fine di Bretton Woods - osserva Flassbeck -, la politica economica della Germania si è basata su due pilastri principali: la concorrenza tra le nazioni e il monetarismo. Entrambi sono in contrasto con una unione monetaria", che è "in sostanza l'unione fra paesi disposti ad armonizzare i propri tassi di inflazione e a sacrificare le rispettive politiche monetarie nazionali. Un paese come la Germania, in lotta per quote di mercato sempre più elevate sui mercati internazionali, cerca di ottenere l'esatto contrario", e fa affidamento "esclusivamente sulla flessibilità dei prezzi, in particolare dei salari".
L'economista (egli stesso tedesco) non esita a parlare di "fallimento" dell'unione monetaria, perché, a suo modo di vedere, "fin dall'inizio i politici tedeschi hanno messo un'enorme pressione sui sindacati perché contribuissero a realizzare un incremento del costo unitario del lavoro e dei prezzi che fosse inferiore a quello degli altri paesi. Dal momento che gli Stati membri non potevano più svalutare le loro monete per mantenere la competitività ", il compito è stato piuttosto facile. E "dopo dieci anni si è creato un divario di competitività enorme a favore della Germania". Sostenuta dalla politica monetaria della Bce, Berlino ha "accumulato considerevoli surplus" mentre Europa meridionale e Francia hanno accumulato solo deficit.
Il risultato è stato "disastroso" per le economie dell'Europa meridionale, che hanno perso quote di mercato "senza essere in grado di reagire all'attacco tedesco". Per riprendersi e tornare sui mercati, osserva sempre Flassbeck, questi paesi (cioè noi) "avrebbero bisogno di ridurre i salari per molti anni". Ma non c'è né il tempo né la forza economica e sociale per sostenere uno sforzo simile.
"Riduzione dei salari significa calo della domanda interna e recessione, soprattutto in paesi come l'Italia o la Spagna", che hanno basse esportazioni, non superiori al 25% del Pil. Una politica di riduzione dei salari, insomma, sarebbe "insostenibile" e porterebbe alla depressione.
Da questa situazione non si uscirà , conclude l'economista, fintanto che la Germania (ancora lei) non smetterà di bloccare "le indispensabili misure di sollievo a breve e medio termine". La ricetta è nota: occorre "un intervento diretto della Bce" per ridurre il rendimento dei titoli di Stato. E servono gli Eurobond che consentano alle "economie in deficit di recuperare competitività ". Tutte misure "bloccate dalla dottrina politico-economica tedesca", incalza Flassbeck. Dunque, fino a quando nessuno oserà "sfidare" Berlino con gli argomenti e la logica dell'unione monetaria, non ci sarà soluzione alla crisi della zona Euro. "La nave di capitan Merkozy - conclude l'analisi - si avvicina alle rocce ad alta velocità ".
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