Di anniversario in anniversario (ma adesso stiamo esagerando...)
Lunedi 21 Marzo 2011 alle 22:13 | 0 commenti
Roberto Ciambetti, Assessore regionale Lega Nord - "Tripoli, bel suol d'amore,/ti giunga dolce questa mia canzon!/Sventoli il tricolore/ sulle tue torri al rombo del cannon!" cento anni dopo decollano i Tornado italiani da Trapani direzione Tripoli e per l'aviazione italiane è un tornare nel luogo del battesimo del fuoco: il cielo libico, infatti, fu il primo teatro di guerra che vide impegnata l'aereonautica italiana a pochi mesi dalla costituzione della Sezione Aviazione del Regio Esercito.
Si era nel 1911 e il 1 novembre di quell'anno il capitano ingegnere Giuli Gavotto sganciò la prima bomba aerea italiana, a dire il vero per l'esattezza tre bombe Cipelli su di un accampamento turco ad Ain Zara e una sull'oasi di Tripoli, impresa cantata anche da D'Annunzio nella sua "Canzone della Diana".
Così dopo il centocinquantesimo (quest'anno gli amanti dei numeri tondi si sprecano) andiamo a celebrare anche questo centenario e una terra, la Libia, che vide purtroppo tra i protagonisti anche quel Pietro Badoglio figura emblematica di quell'apparato costruito sul culto della centralità e romanicità dello stato che ci portiamo ancor oggi dietro. Proprio in Libia Badoglio viene decorato per la prima volta al valor militare per aver organizzato l'azione di Ain Zara e promosso Maggiore per merito di guerra, per aver pianificato l'occupazione dell'oasi di Zanzur.
Qualche anno dopo, siamo nel 1928, Badoglio viene nominato governatore della Tripolitania e Cirenaica e in queste vesti si distingue per la deportazione di oltre 100 mila persone dalla Cirenaica in tredici campi di concentramento nel centro delle Libia in una sorta di pulizia etnica ante litteram in cui i deportati furono costretti ad una marcia forzata di oltre mille chilometri. Ne uscirono vivi soltanto 60 mila. Quale sia la concezione della vita umana altrui per questo militare (senza offesa alcuna per i veri militari) lo dimostrano gli anni che seguono: nel novembre del 1935 viene inviato a guidare l'occupazione dell'Eritrea e, contravvenendo le norme del Protocollo di Ginevra sottoscritto anche dal Regno Sabaudo nel 1925, Badoglio di propria iniziativa usa l'iprite, proibita dalle convenzioni internazionali, irrorata su soldati e popolazione inerme da aerei in volo a bassa quota: dopo la Seconda Guerra Mondiale l'Etiopia presentò all'Onu una lista di dieci presunti criminali di guerra e tra questi in testa proprio il nostro buon Pietro Badoglio e la sua iprite; ovviamente quando fu avviata l'inchiesta ufficiale fatta dall'Italia il nome di Badoglio scomparve dall'elenco. Non era la prima volta: il nome di Badoglio era già scomparso dagli atti relativi alla disfatta di Caporetto dove il generale era stato responsabile del più sconcertante errore tattico commesso dai comandi italiani, errore grazie al quale le truppe tedesche riuscirono a passare indenni e a sfondare la linea del fronte italiano. Non parliamo poi di quanto accadde nell'estate del 1943 con la vergognosa fuga a Brindisi, già di per sé marchio d'infamia, e la ricaduta sul popolo italiano degli esiti della disfatta militare: lo stato fugge e a morire rimangono gli italiani. C'è chi muore, chi rimane ai vertici e continua nonostante tutto a comandare.
La Commissione d'inchiesta incaricata di studiare la mancata difesa di Roma 8-9-10 settembre 1943, guidata dal comunista Palermo, non sfiorò nemmeno per sbaglio il generale Badoglio né considerò il problema (e le conseguenze per il popolo italiano) dell'eroica fuga a Pesaro.
Tre commissioni d'inchiesta per fatti gravi e drammatici che oggi finirebbero davanti ad un'Alta corte di Giustizia, tre assoluzioni: un record. Ma non basta: dichiarato decaduto dalla carica di Senatore dalla Corte di Giustizia nel 1946, Pietro Badoglio fu reintegrato nel 1948 nel ruolo parlamentare dalla Corte di cassazione che annullò la sentenza del 1946.
Badoglio passò così indenne dalle stragi africane e maghrebine al fascismo, dalla Monarchia alla Repubblica diventando campione di quella continuità , filo conduttore dell'unità non dell'Italia bensì dello stato e dei suoi gruppi di potere che si rinnovano, mutando casacca nel tempo, rimanendo però sempre a galla. Badoglio ebbe funerali di Stato, esempio straordinario di camaleontismo, soldato di quelle guerre sporche combattute purtroppo anche dagli italiani, galantuomo capace di fuggire da ogni responsabilità ma pronto, prontissimo ad assumersi ogni onore e gloria, proprio come chi inneggia all'Unità ma non vuole mai pagare il conto.
Accedi per inserire un commento
Se sei registrato effettua l'accesso prima di scrivere il tuo commento. Se non sei ancora registrato puoi farlo subito qui, è gratis.