Crisi dei Partiti: in Italia è una lenta eutanasia, ma il problema non è solo italiano
Sabato 24 Dicembre 2011 alle 21:03 | 0 commenti
Di Roberto Ciambetti, Assessore regionale Lega Nord (da VicenzaPiù n. 225)
Tutti gli istituti di rappresentanza, non solo i partiti politici, sono in profonda crisi, una crisi che ha molteplici cause: la velocizzazione dei flussi informativi, la circolazione di idee e capitali, la frammentazione dei cicli produttivi in catene internazionali di produzione, la perdita di sovranità degli stati-nazione, tecnologie che consentono nuove forme di aggregazione e partecipazione, una devastante crisi economica, hanno fatto invecchiare i partiti tradizionali.
I partiti muoiono se non sono in grado di rinnovarsi e adeguarsi alle nuove esigenze: quanto sta accadendo in Italia è una lenta eutanasia annunciata. Basti un esempio: parliamo tutti di qualità , di far avanzare i migliori, ma il primo luogo dove non esiste meritocrazia sta proprio nei partiti, quasi tutti guidati da burocrazie e apparati gerontocratici il cui fine è la sopravvivenza e non l'essere di servizio ad un progetto o ideale.
La Lega un suo progetto ce l'ha: nessuno può dire che l'impegno per la riforma federale e la riorganizzazione dello stato nazione non sia un obiettivo degno di una battaglia democratica. In Italia, i vecchi partiti romanocentrici non hanno progetti o visione strategica ed è per questo che siamo giunti al commissariamento dello stato attraverso eurobanchieri, burocrati ed esponenti legati al mondo dell'industria bellica.
Ma la crisi dei partiti non è solo italiana: a metà degli anni Novanta Ralf Dahrendorf lo aveva già intuito parlando di difficile quadratura del cerchio tra benessere economico, coesione sociale e libertà politica in quanto i rischi di una involuzione erano già evidenti e chiaro il pericolo per lo stato democratico basato sulla solidarietà sociale.
La crisi degli strumenti (i partiti) della democrazia ha aperto dei vuoti colmati da élite che stanno rimodellando gli equilibri geopolitici internazionali, facendo pagare ovunque alla classe lavoratrice e ai ceti medi il costo di speculazioni abnormi e l'arricchimento di pochi attraverso la finanza derivata che ha inquinato l'economia reale. Da questo punto di vista, potremmo dire che la crisi dei partiti è conseguenza anche della crisi del capitalismo che si pensava potesse prosperare solo in un sistema democratico: Cina o Russia, sembrano dimostrare che il totalitarismo può convivere con il capitalismo più aggressivo e sordo alla tutela dei diritti dei lavoratori e dell'ambiente. Questa è una tesi (e un pericolo) da non sottovalutare, né bisogna sottovalutare la crisi della (vecchia) sovranità nazionale e di conseguenza, degli strumenti che operavano nei limiti della nazione appunto partiti, sindacati, organizzazioni varie: Habermas chiama ‘politica interna mondiale' lo scenario in cui ci troviamo a vivere e che ha bisogno, a mio dire, di nuovi strumenti ad iniziare da un forte governo locale che sappia guardare al mondo. Glocal, dunque, anche per la politica: pensare globalmente, agire localmente. L'esatto contrario della ricetta romanocentrica o dei governi tecnici al soldo (e al servizio) non del popolo.
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