Crac del Veneto dietro quello di BPVi e Veneto Banca. Il Fatto: un fallimento politico e culturale di chi avrebbe dovuto accorgersi e obiettare, ma non l'ha fatto
Domenica 16 Luglio 2017 alle 14:16 | 0 commenti
 
				
		
Nel Veneto bianco il territorio è sacro. Non quello vero, violentato in ogni modo dai capannoni, dalle concerie e dal progresso scorsoio di cui parlava il poeta Andrea Zanzotto: è sacra la retorica del territorio. Le "realtà produttive del territorio", garantite e supportate in primo luogo dagli istituti di credito locali, piccoli, belli e sicuri. Volano della "nostra" economia. È ormai acclarato che alcune di queste banche ammannivano al territorio (e ai loro strapagati CdA) denari e utili che non avevano; e da molti mesi ormai, accanto a chi ha perso tanto o tutto, si vedono legioni di piccoli risparmiatori non sinistrati che corrono ad aprire negli istituti superstiti - fiducia o non fiducia - conti correnti di piccolo taglio, sotto i 100mila euro, quelli che dovrebbero essere al riparo da ogni sorpresa.
Ma il fallimento del modello veneto non è stato solo bancario  (propiziato, quello, dai mancati o tardivi controlli di Consob e  Bankitalia): è stato in primo luogo un fallimento politico e culturale  di chi avrebbe dovuto accorgersi, o almeno obiettare, e non l'ha fatto.
Montebelluna  è un borgo piccolo, a lungo governato da un politico di rilievo  nazionale, Laura Puppato: nel 2008, come sindaco, la "pasionaria"  antirenziana - persona di sicura integrità, sia ben chiaro - conferì la  cittadinanza onoraria al "coraggioso ed esperto timoniere" Vincenzo  Consoli, per 16 anni grande capo e stratega di Veneto Banca, e dunque  vero artefice del castello di carta sfaldatosi pochi anni dopo sotto i  colpi delle ispezioni della Banca d'Italia e poi del decreto Renzi che  obbligava alla trasformazione delle banche popolari in SpA. L'inchiesta  romana che ha portato in cella lo stesso Consoli nell'agosto 2016  ipotizza vari reati, ma è un fatto indiscutibile che l'istituto è finito  al disastro, ed è un fatto che a livello politico né il Pd né la Lega  (ancora nel 2014, il governatore Luca Zaia difese platealmente Consoli e  il vecchio management dal primo intervento di Bankitalia) hanno mai  seriamente combattuto o messo in dubbio un sistema, un'idea di sviluppo  bancario "territoriale" che ha portato alla catastrofe odierna. E gli  intellettuali delle università hanno - nella migliore delle ipotesi -  guardato altrove: Francesco Favotto, ordinario a Padova, sedeva  direttamente nel CdA (e ha avuto per questo le sue grane); Loris Tosi,  ordinario a Venezia, è uno dei Grandi soci della banca; nel 2011  Vincenzo Consoli fu l'ospite d'onore nella cerimonia di consegna dei  diplomi ai neolaureati di Ca' Foscari, la cui Fondazione ha il suo conto  proprio presso Veneto Banca, che nel 2015 finanziava con 1.250 euro una  lezione veneziana di Vittorino Andreoli, dopo avere sponsorizzato nel  2013 un ominoso concorso "Ambizioni per un mondo migliore". Il Veneto è  piccolo, la rete è tutta una. Sarebbe facile seguire, tramite una fitta  serie di holding e di partecipate, i fili che menano da Veneto Banca ad  alcuni maggiorenti veneziani, anzitutto quelli implicati nello scandalo  del Mose (nella banca avevano grandi interessi l'ex governatore  Giancarlo Galan e il manager Roberto Meneguzzo, creatore della Palladio  Finanziaria), ma anche i più modesti proprietari di una società come  EstCapital, che propiziò tra l'altro la devastazione di una parte del  Lido in nome del nuovo Palacinema.
Ma torniamo in terraferma, 50  chilometri più in là: a Vicenza, gli ultimi vent'anni della Banca  Popolare di Vicenza hanno un nome solo, quello del presidente Gianni Zonin:  riverito dalla politica e dalla città, senza eccezioni (nemmeno il Pd di  Alessandra Moretti, già vicesindaco), trattato coi guanti bianchi  financo dopo la caduta (a lui, benché accusato dei medesimi reati di  Consoli - aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza - è stato fin qui  risparmiato ogni provvedimento cautelare), l'ex presidente avrebbe  goduto, secondo il suo predecessore Giancarlo Ferretto, di appoggi  importanti dal Quirinale al Vaticano.
Per le università, anche qui,  briciole: oltre a un'altra passerella per educare i neolaureati  veneziani nel 2012 (stavolta del vicedirettore Emanuele Giustini, oggi  indagato), spiccano il Master honoris causa in banche e finanza  ammannito a Zonin nel 2005 dalla "Fondazione consorzio universitario di  organizzazione aziendale" (con dentro tutti gli atenei del Nordest: ne  parla Sergio Rizzo ne La repubblica dei brocchi), e un convegno  organizzato da BpVI a Verona nel 2009 su "Evoluzione dei controlli di  vigilanza e implicazioni gestionali per le banche". Colpisce che rimanga  beatamente impunito il responsabile primo (al di là dei risvolti  penali) di una strategia imprenditoriale che, secondo ogni evidenza, ha  puntato a gonfiare l'ego e le azioni dei vicentini tramite un vasto  sistema clientelare, anziché ad avviare una più lungimirante fusione  virtuosa con altre banche sane del territorio. Chi voglia seguire i  dettagli dei molti procedimenti in cui Zonin è stato coinvolto e  singolarmente prosciolto negli anni (sul Fatto si è parlato del tristo  destino dell'inflessibile giudice Cecilia Carreri), o più in generale  farsi un'idea delle reti di potere sviluppate negli anni dalle due  banche venete, può leggere gli articoli impeccabili sul sito  Lettera43.it.
Nel marzo scorso, l'azione di responsabilità finalmente  intentata contro Zonin e la precedente gestione della Popolare di  Vicenza ha molto irritato uno degli ex-componenti del CdA di tale banca  (dal 2007 al 2012), Paolo Bedoni. Al netto del suo passato (è stato  anche presidente nazionale di Coldiretti dal ‘97 al 2006), Bedoni è un  uomo molto importante, dal 2006 presiede la veronese Cattolica  Assicurazioni, uno dei più grandi gruppi italiani (lo Ior è tra i  maggiori azionisti), che tra l'altro assicura buona parte delle  parrocchie italiane. Assai restio a trasformare la Cattolica in una SpA  (ma pronto a investire decine di milioni in un controverso progetto  universitario con l'incubatore H-Farm e l'università Ca' Foscari),  secondo alcuni Bedoni potrebbe risentire della recente caduta dell'ex  sindaco Flavio Tosi, il quale nel 2011, all'apice del suo potere, aveva  "scalato" il gruppo coi suoi uomini.
La questione però non è tanto né  solo veronese, ma nazionale, e tocca i più delicati equilibri della  finanza cattolica, che ha in Veneto uno dei suoi fulcri. Il 16 giugno,  nel silenzio della stampa nazionale, sono finiti in cella per ordine  della procura di Venezia (tanto per cambiare, un filone del Mose) il  direttore amministrativo di Cattolica Giuseppe Milone e l'ex dirigente  Albino Zatachetto, insieme ad altre 14 persone: tutti accusati di un  episodio (che secondo gli inquirenti sarebbe solo "la punta di un  iceberg") di corruzione alla Guardia di Finanza, volta ad ottenere, in  cambio di Rolex, assunzioni e favori, uno "sconto" di 6 milioni di euro  su una multa fiscale, e - così si legge nelle intercettazioni pubblicate  sul sito del Fatto - a "tener fuori il presidente dal penale". Sebbene  Bedoni non sia indagato, e sebbene il CdA di Cattolica abbia  immediatamente sospeso gli amministratori coinvolti, c'è da chiedersi  cosa possa pensare papa Francesco, che tanto tuona contro la corruzione,  di sospetti così pesanti che gravano su un gruppo assicurativo centrale  per le finanze della Chiesa.
di Filippomaria Pontani, da Il Fatto Quotidiano Â
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