Cotorossi: una storia da non dimenticare
Martedi 5 Giugno 2012 alle 09:38 | 0 commenti
Tratto da VicenzaPiù n. 235 (abbonati alla moderna versione online sfogliabile e dal prossimo numero con articoli leggibili anche in formato testo: VicenzaPiù Edicola è ora disponibile in abbonamento con due modalità . Abbonamento standard: 18 Euro all'anno Iva di legge inclusa. Abbonamento sostenitore: 30 Euro all'anno Iva di legge inclusa). Di Irene Rui
Nel 1875 la Società Veneta per le Imprese e Costruzioni Pubbliche chiese la cessione di una striscia di terreno in Campo Marzo, lungo la cancellata della ferrovia, per installarvi un laboratorio che avrebbe dato lavoro a 600 persone.
La Giunta si dichiarò contraria poiché i muovi stabilimenti avrebbero deturpato il panorama dei colli Berici. A 10 anni di distanza, nel 1885, il Consiglio Comunale di Vicenza su pressione di Alessandro Rossi, adotta un provvedimento favorevole. Il 21 maggio del 1885 fu stipulato una convenzione tra il Comune di Vicenza, Gaetano e Francesco Rossi. Con la convenzione Vicenza cede ai tessili di Schio, un'area fabbricabile di 29.000 mq nei pressi di Porta Monte, esenta i Rossi dal pagamento per 30 anni del dazio comunale su materie industriali e costruisce un ponte sul Retrone per l'accesso da Borgo Berga, a profitto esclusivo della Cotorossi.
Nel 1891 lo stabilimento disponeva di 520 telai, 400 dei quali destinati esclusivamente alla produzione di cotone e 120 al misto lana-cotone; era dotato di 3 caldaie a vapore da 138 hp, che servivano al riscaldamento e all'azione di un motore da 80 cavalli. L'azienda occupava 360 operai: 25 uomini, 5 fanciulli, 260 donne e 70 fanciulle.
Lo stabilimento, pur essendo all'avanguardia, affrontava problemi di alimentazione idrica e di politica occupazionale, una manodopera quasi esclusivamente femminile e rurale. Questioni che porteranno nel 1891 a progettare lo stabilimento di Chiuppano e nel 1902 quello di Lisiera.
Il paternalismo dei Rossi si manifestò anche in Gaetano che lo unì alla ortodossia religiosa, tanto da imporla alle maestranze, non tanto per un controllo come fece il padre, ma per una manifesta e morbosa religiosità tale da far collocare in fabbrica la statua della Vergine.
Nell'ambito del suo paternalismo troviamo la distribuzione dei pasti di Natale e di 500 mt. di cotone alle famiglie operaie povere; ma non pensava di innalzare i miseri salari o di abbassare gli orari e i ritmi di lavoro. Al cotonificio Rossi le operaie prendevano meno di 1,12 lire per 11 ore di lavoro diurno e 9 notturno, in un ambiente rumoroso, assordante, e malsano, ove si inalavano profumi di agenti come l'arsenico e il cromo misti alla polvere del cotone. La paga delle donne e dei fanciulli era la metà rispetto quella dei maschi. Con un salario giornaliero da filatrici si poteva acquistare 1 kg di pane e mezzo di farina. Non sufficiente quindi, a sfamare l'operaia e la sua famiglia. Il cotonificio prevedeva premi per le lavoratrici che non perdevano nemmeno un'ora in 15 giorni, regali in occasioni della maternità o del matrimonio; tant'è che le stesse operaie erano grate al cav. Gaetano Rossi. Così il cavaliere, da un lato accontentava con poco le lavoratrici, e dall'altro si manteneva la possibilità della intercambiabilità della forza-lavoro, senza però evitare serrate poliziesche o, tal volta, con l'uso della milizia nei casi di scioperi. Ciò nonostante il 31 luglio del 1922 fu proclamato uno sciopero per l'aumento salariale e le libertà politico-sindacali.
Nell'ambito della politica rossiniana tra il 1889 e il 1910 sorsero nei pressi del cotonificio 8 fabbricati a 2-3 piani con 37 appartamenti da destinarsi agli operai.
La Cotorossi fu purtroppo, uno degli obiettivi dell'aviazione angloamericana, il fuoco amico che in varie incursioni distrusse Vicenza. Nella notte del 26 marzo del 1944 bombardò duramente il cotonificio.
L'azienda risorse, ma non senza grandi difficoltà dovute anche alle vicissitudini della famiglia Rossi. Negli anni sessanta la Cotorossi, fu assorbita dall'Eni e poi dall'Imi, e sottoposta a commissariamento. Nel 1983 il gruppo genovese Camelli tenta l'acquisizione delle quote, ma il Tar Veneto dispone l'annullamento del decreto Prodi che autorizzava la cessione. La Camelli ricorre al Consiglio di Stato e nel 1986, dopo tre anni di amministrazione controllata, ne acquisisce la direzione detenendo con la finanziaria Geralimich il 70% delle azioni; il restante 30% rimase all'Unione Manifatture. Sino al 1989, le prospettive occupazionali e produttive del cotonificio non sembravano destare preoccupazione essendo gli ultimi 5 bilanci in utile, e non vi erano in corso ancora conflitti o vertenze con i dipendenti. Le cose cambiano dopo il 1990 quando la Cotorossi con una manovra speculativa è rilevata dalla famiglia Dalle Carbonare che grazie a crediti bancari acquista la partecipazione di 40 aziende. Alla famiglia, però, interessava poco il mantenimento della attività , e la gestione dell'impresa porto presto il cotonificio alla crisi e alla messa in cassa integrazione dei lavoratori. Nel 1992 le banche bloccano la fideiussione e si assiste ad un tracollo finanziario della famiglia Dalle Carbonare, la quale trascina con sé anche il cotonificio che finisce in stato fallimentare. Prima della chiusura dell'attività l'archivio della Cotorossi, insieme agli storici provini, scompare dalla sede e non è risaputo dove sia finito. Lo storico cotonificio acquistato dal gruppo Finivest-Standa è ormai "ex" e l'area considerata dismessa, sarà messa in vendita nel 1998.
Il resto è cronaca di oggi.
Fonti:
Atti Parlamentari;
Emilio Franzina: "Operai e sindacato a Vicenza";
Emilio Franzina: "La classe, gli uomini e i Partiti";
Giovanni Luigi Fontana: "Mercanti, pionieri e capitani d'industria".
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