Corriere Economia: Veneto & Vicenza, il più grande crac bancario di sempre
Lunedi 5 Dicembre 2016 alle 09:26 | 0 commenti
				
		Le due ex popolari del Nordest hanno bruciato valore per oltre 15 miliardi di euro, coinvolgendo 200 mila risparmiatori. Il più grande crac bancario della storia della repubblica italiana. Il buco che si è venuto a creare nei conti della Banca Popolare di Vicenza non ha eguali nel passato. L’unico caso che si avvicina è il contemporaneo crac della vicinissima Veneto Banca: una voragine di 8,75 miliardi sotto Monte Berico (6,25 miliardi di capitalizzazione; 1,5 da Atlante, 1 di perdite a bilancio); un’altra pari a 6,5 miliardi a Montebelluna (5+1+0,5). Assieme hanno bruciato – secondo stime prudenziali – 15,25 miliardi, con il coinvolgimento di 205 mila risparmiatori. Il tutto in meno di tre anni.
In  questa classifica degli orrori, lo straordinario caso Parmalat – era il  2003 – con i bilanci sistemati a suon di fotocopie false, arrivò a  bruciare 6 miliardi coinvolgendo 110 mila risparmiatori. Ventimila in  più che a Veneto Banca, ma per una cifra minore. Le quattro  banche del centro Italia che sono state salvate nel novembre 2015, hanno  bruciato 786 milioni di euro in obbligazioni a cui è stato necessario  aggiungere 3,8 miliardi  cash  versati dal Meccanismo di risoluzione  (ovvero le banche sane del sistema italiano). Il totale riconducibile a  Etruria, Marche, CariChieti e CariFerrara è di 4,586 miliardi, con il  coinvolgimento di 10.559 obbligazionisti, solo in minima parte  ristorati. Si tratta, ha sottolineato la Banca d’Italia, «di banche di  dimensione piccola o media, aventi nel complesso una quota del mercato  nazionale dell’1 per cento circa in termini di depositi». È comunque  evidente a tutti che anche un solo euro bruciato dal malgoverno delle  aziende bancarie scotta tra le mani e va evitato, ma è anche evidente  che le dimensioni contano. E non c’è nessuno che ha eguagliato i 16 e  passa miliardi delle due venete. Le ventennali gestioni delle due banche  riconducibili alle figure apicali di Gianni Zonin a Vicenza e di  Vincenzo Consoli a Montebelluna hanno portato a un inarrivabile falò  delle vanità personali e bancarie, che si è consumato in meno di tre  anni, tra l’estate del 2013 e la primavera del 2016. Bisogna  risalire indietro di 15 anni, al dicembre 2001, per imbattersi nel  fallimento della repubblica argentina e al  default  dei bond emessi da  Buenos Aires. Furono coinvolti 440 mila obbligazionisti italiani per  complessivi 2,5 miliardi di euro investiti. Una cifra doppia rispetto  all’altro crac delle obbligazioni in quegli anni, quello legato alla  Cirio: 1,2 miliardi di euro e circa 35 mila risparmiatori coinvolti.  Dopo anni, alcune somme sono state restituite: furono rimborsati il 67  per cento dei piccoli obbligazionisti Parmalat, il 33 per cento dei  piccoli investitori in Tango bond e il 10 per cento dei piccoli  obbligazionisti Cirio. Un epilogo a cui può legittimamente aspirare chi  ha investito negli aumenti di capitale di Veneto e Vicenza del  2013-2014. Con molte maggiori difficoltà tutti gli altri, perché al di  là delle vuote distinzioni semantiche tra «soci» e «azionisti» e tra  «prezzo» e «valore» delle azioni, l’investimento nel capitale di quelle  due banche era a tutti gli effetti investimento in capitale di rischio. E  la dimensione del rischio era capitale. Nella classifica dei  grandi crac della repubblica italiana siamo risaliti fino a 40 anni fa,  ma nulla di simile è stato trovato. L’implosione del Banco di Napoli nel  1994 bruciò circa 4 mila miliardi di lire. Trasformati in euro del  2001, diventano 2,504 miliardi da dividere tra circa 14 mila  risparmiatori. Una cifra  monstre , per l’epoca, ma che non si avvicina a  quanto si è realizzato in Veneto. Il buco più grande di tutti, ingigantito nella percezione comune dagli  intrecci con le finanze vaticane e con centri di potere paralleli e  contrapposti allo stato, fu quello che nel 1982 vide protagonista il  Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Venne distrutto valore per 1,3  miliardi di dollari dell’epoca, circa 2,427 miliardi di euro del 2001,  con il coinvolgimento di circa 25 mila risparmiatori. Veneto e  Vicenza sono andate molto oltre. I delitti che abbiamo richiamato si  sono giocati nelle gelide stanze del potere finanziario. In Veneto si è  imbrogliato sui numeri e con le parole, si è abusato della credulità  popolare e si è guidato con miopia un esercito di risparmiatori verso il  baratro del loro futuro. A cui ora si aggiungerà il computo delle  aziende che, chiamate a rientrare dei fidi, stanno saltando come grilli.
Di Stefano Righi, da Corriere Economia
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