Corriere della Sera: l’impero del vino da 186 milioni di euro di Gianni Zonin trasmesso ai figli
Domenica 26 Giugno 2016 alle 15:08 | 0 commenti
				
		
		Vicenza Numero  di repertorio 116.60, numero di raccolta 23.190. Dal notaio Giovanni  Rizzi di Vicenza, sono depositati gli atti con cui Gianni Zonin, 78  anni, si è «spogliato» di gran parte del suo patrimonio. «Patti di  famiglia» si legge nelle carte. Sono i contratti firmati dall’ex  presidente della Popolare di Vicenza per girare ai suoi tre figli tutto  l’impero del vino, 186 milioni di fatturato, mentre ovunque si alzava  forte il coro di chi invocava l’azione di responsabilità e il  risarcimento danni per il crac da 6 miliardi della banca. Qualcuno prima  o poi busserà da quel notaio. Forse già entro l’estate.
		
Il 7  luglio, infatti, l’assemblea targata fondo Atlante nominerà il nuovo  consiglio di amministrazione che al primo punto dell’agenda ha proprio  la richiesta di danni ai manager ritenuti corresponsabili della  disastrosa gestione. Sulla quale, tra l’altro, è aperta l’inchiesta  della procura di Vicenza con sei indagati, tra cui Zonin e l’ex  direttore generale Samuele Sorato. Secondo fonti legali la procura  avrebbe già formalmente esteso agli indagati anche l’ipotesi di falso in  bilancio (a marzo il capo della procura l’aveva indicata come  possibilità).
Comunque per l’azione di responsabilità occorrerà  tempo. Se tutto fila liscio solo in autunno verrà presentato il conto  agli ex manager.
Tirava già una brutta aria più di un anno fa per  la vecchia dirigenza. Zonin si è dimesso solo il 23 novembre. A  dicembre con un aumento di capitale sulle due casseforti di famiglia che  controllano la Casa Vinicola Zonin, ha fatto salire i figli appena  sopra il 50%. Ma tenendosi ancora quasi la metà del gruppo, l’usufrutto  sul resto delle azioni e le prerogative da accomandatario, cioè tutte le  leve del potere. Intanto montava la rabbia intorno al dissesto. Così  alle 17 di lunedì 7 marzo, Gianni Zonin, la moglie, i loro tre figli e  due testimoni hanno suonato al campanello del notaio Rizzi. E lì hanno  siglato i contratti sulle holding al vertice del gruppo: la «Gianni  Zonin Vineyards sas» e la «Zonin Giovanni sas».
«Il sig. Zonin  Cav Lav. dr. Giovanni – è scritto – dichiara di trasferire ai propri  figli (…) la propria quota di partecipazione (…) sia per la piena  proprietà che per il diritto di usufrutto vitalizio, e ciò mediante la  stipula di un patto di famiglia», istituto giuridico disciplinato dal  codice civile. Sulle quote delle due società viene stabilito un valore  di 12,5 milioni che però resta sulla carta, non è una contropartita. Di  fatto è come una donazione e Gianni Zonin garantisce che le sue azioni  sono «libere da pegni, oneri, sequestri, pignoramenti e vincoli di  qualsiasi genere». Nulla impediva all’imprenditore, con una manovra  lesta e lecita, di cedere, senza incassare un euro, il suo principale  asset patrimoniale. Se qualcuno un giorno chiederà soldi a Zonin, deve  sapere che è molto più povero.
di Mario Gerevini dal Corriere della Sera
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