Conti dormienti, tra 3 mesi i risparmi vanno allo Stato: tesoretto da oltre 600 milioni di euro, speranza per ex soci BPVi e Veneto Banca
Mercoledi 8 Agosto 2018 alle 22:19 | 0 commenti
Mancano meno di tre mesi all’ora X, quando dopo un sonno lungo 20 anni si sveglieranno migliaia di conti dormienti. Ma non ci sarà nessun lieto fine come nella favola della Bella Addormentata. Un tesoretto da oltre 600 milioni di euro, composto da conti correnti, libretti bancari e postali, depositi di denaro, azioni, obbligazioni, certificati di deposito, fondi d’investimento e assegni circolari finirà nelle casse dello Stato e i legittimi titolari non potranno più richiederlo indietro.Â
È il ministero del Tesoro che ha fatto suonare la sveglia in un giorno di mezza estate ricordando la deadline fissata dalla legge Finanziaria 2006.
Un passo indietro per capire. Con il termine conto dormiente ci si riferisce a depositi di denaro e strumenti finanziari di importo superiore a 100 euro sui quali il titolare non esegue operazioni da 10 anni. Di solito si tratta di quattrini appartenenti a defunti dei quali i familiari non sanno nulla e che, dunque, nessuno ha mai reclamato. Fino al 2006, i soldi non riscattati restavano alle banche e alla Posta. Poi, l’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, pensò di utilizzare questo calderone per mettere una pezza a un’emorragia che in quei mesi affliggeva il Paese: i crack finanziari Cirio, Parmalat, tango bond che coinvolsero milioni di italiani. Nella Finanziaria 2006 venne, così, istituito un fondo per le vittime di quelle truffe alimentato dalle somme dei conti dormienti che passarono dalle banche allo Stato. Il meccanismo prevedeva che l’erario li tenesse pronti per quanti li avessero reclamati nei successivi 10 anni. Termine che scade tra tre mesi, quando i primi afflussi al Fondo, risalenti a novembre 2008, diventeranno ufficialmente dello Stato.
Dal 2010 è la Consap, società partecipata del Mef, che si occupa di gestire le domande di rimborso e offre assistenza a titolari ed eredi. Ma di certo non avrà avuto la fila alla porta. La legge non prevede che gli eredi vengano informati. Banche o Poste, 5 mesi prima del raggiungimento dell’inattività decennale, hanno solo l’obbligo di avvisare il titolare tramite una raccomandata presso l’ultimo indirizzo conosciuto, pena l’estinzione del rapporto e il passaggio del denaro nel fondo in cui – certifica la Corte dei Conti nella sua relazione sul Rendiconto Generale – al 31 dicembre 2016 erano parcheggiati 1,4 miliardi di euro, mentre in 10 anni i rimborsi si sono limitati a 223 milioni di euro. Inoltre, da quando ha cominciato a incamerare le risorse, il fondo non è mai stato operativo né nei confronti dei risparmiatori coinvolti nei crack del 2007 né di quelli dei prodotti bancari di Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Ed ora, forse, le loro speranze sono riposte nella quota finita nelle casse pubbliche nel 2008, la prima – circa 600 milioni di euro – che sarà disponibile dal 1 gennaio 2019.
Destino migliore hanno avuto 190mila proprietari di polizze dormienti che l’Ivass (l’Istituto di vigilanza sulle assicurazioni), dopo una lunga indagine con vari richiami alle compagnie, è riuscito a contattare restituendo a titolari ed eredi 3,5 miliardi di euro.
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