Claudia Pepe, la lettera di una precaria della scuola ai suoi figli
Domenica 4 Novembre 2012 alle 17:50 | 1 commenti
Giro per conoscenza una storia di vita, reale, vera, al di sopra della politica politicante, del sindacato e che dovrebbe far riflettere moltissimo docenti di ruolo e precari, genitori, cittadini... Claudia Pepe è una collega vicentina...
Francesco Casale, Rsu Cgil
Oggi, ragazzi, non ci siete. Tutti e due siete ad incontrare la vostra vita, siete presi con un futuro da costruire e un bagaglio in più: una mamma che non smette di lottare. Tante volte mi chiedo se è giusto che mi vediate sempre così: assurdamente giovane e caparbia. Tante volte troppo arrabbiata per essere una madre di due splendidi ragazzi.
Non sono qui per chiedervi scusa ma per spiegarvi perché avete una mamma così diversa, una mamma che qualche volta pensa più alla scuola che a stirare bene le camicie o a rattoppare un buco nei vostri jeans o a infornare torte di mele.
Essere precaria non è da tutti, ci vuole forza, ci vuole carattere, ci vuole il cuore gonfio di passione e di memoria. Io non vi ho raccontato molte favole, sarà perché non ci credo: sono così tristi, così staccate dalla nostra vita che è invece piena di momenti potenti che possiamo riempire album di ricordi senza dover attaccare fotografie. Non ho potuto accompagnarvi sempre a scuola o fare i compiti con voi, perché ero in un'altra scuola e sempre diversa. La mia vita non è mai stata tranquilla: il giorno dopo non so se avrei trovato sempre i miei allievi, la mia musica, la mia cattedra le mie impronte sui quei banchi rotti e traballanti ma così cari, che quando non li ho è come non trovassi una parte della mia vita. Non vi ho potuto accompagnare a tutte le feste dei vostri compagni. No, ma vi ho accompagnato con gioie diverse a capire gli insegnanti, la scuola, la bellezza del ritrovarsi a parlare, a discutere, a suonare e sognare. Con una mamma precaria non si può dire dove si trascorrerà l'estate, perché la vostra mamma l'estate non è più nulla se non una lavoratrice violata. Violata come le donne: perché la scuola è donna. Grandi intellettuali hanno accomunato la scuola ad una massaia: la provvidenza per i figli, sempre. E così, tutti sono bravi ad accusare la donna senza esserlo: sono prese a botte, umiliate, ridotte a schiave ma sempre zitte. La denuncia non è mai presa in considerazione, le sue volontà sono sempre subordinate al volere maschile, la sua valenza non sarà mai alla pari con un mondo che le mette in un angolo in attesa di folata di speranza. Essere precarie vuol dire essere violate come le donne sedotte e abbandonate, con un seno ancora grondante di latte che duole. Silenziosamente e senza arrecare danni, lo dobbiamo levare e buttare nel lavandino come fosse cibo avariato. E come le donne, la scuola è la prima ad essere derubata sempre: perché lo siamo sempre state. Essere precaria vuol dire non sapere mai se potrò aiutarvi nel vostro cammino, se i soldi basteranno , se i soldi arriveranno. Io vi ho sempre accompagnato, e lo sapete, con quell'amore che sa delle nostre vite, delle giornate passate con tanto lavoro e poche carezze chiuse in un pugno di rabbia e di solitudine. E' proprio vero che la vecchiaia incomincia quando dici che ti senti come un'adolescente . Sapete perché? Perchè ti rifiuti di pensare che la tua vita data per educare, per amare, per formare, per aiutare, non possa essere legittimata da parte di chi non sa cosa sia la scuola. Voi lo sapete, perché mi vedete tutte le mattine alzarmi all'alba piena di spartiti, di fotocopie, di dischi, di emozioni da dare. Emozioni che vi faccio vostre quando parlo delle mie giornate, di quello che è successo e di quello che vorrei che rimanesse nei ricordi dei miei studenti. Essere precari, vuol dire essere un numero in una graduatoria che cambia quando cambiano le persone, i loro interessi e i loro affari. Il precario è solo una pedina che possono spostare nella scacchiera quando cambia il vento, e che si deve aggrappare alla riva per non annegare. Ma questo a chi dispone delle nostre vite non interessa. Loro non pensano che qualche volta, tornando la sera, ti piacerebbe entrare , sederti a tavola, ed essere una persona che ritrova il profumo della sua casa e l'allegria del suo disordine. Loro non pensano e non conoscono il profumo delle cose semplici e antiche, come quelle che i nostri padri costituenti hanno legiferato, perseguito e reso leggi.
Figli miei, sappiate che le loro leggi cambiano come cambia il vostro aspetto: ieri eravate bimbi, oggi giovani uomini di cui il futuro non è certo. Tutti i giovani hanno avuto una grande problematica nella loro vita. Se penso ai miei genitori, penso alla guerra ma poi, subito, alla resistenza e ai partigiani. Se penso a me penso alla guerra ma non ad una pace. Se penso a voi, non penso. So che avete le basi per essere migliori perché sapete cos'è il peggio. Essere precaria, ragazzi miei, vuol dire essere madre di molti figli illegittimi: perchè non esiste più il saper amare e non esistono più responsabilità a cui non puoi sottrarti. Siamo trattati come in certi canili: aspettando per poter mangiare , aspettando che arrivi il nostro turno, aspettando che si accorgano di noi. Ma non è mai il nostro momento. E allora, dobbiamo abbaiare più forte per farci sentire, dobbiamo arrampicarci, dobbiamo darci fuoco per dire che ci siamo e qualche volta prendiamo anche bastonate, ci danno dei viziati e decidono che siamo da buttare. Qualche volta un maestro viene ricoverato in un ospedale psichiatrico e viene trovato morto, qualche volta un'insegnante finisce le sue serate con la sua bottiglia nascosta e qualche volta una precaria butta tutto dalla finestra, regalando alla notte la sua fantasia e il suo dolore. Miei adorati figli , oggi non ci siete e nella vostra mancanza rispecchio il mio dolore e il mio rimpianto. Ma forse, essere precari oggi, è diventato un dovere: perché non c'è nulla di così noioso che rimanere fissa nel cuore di qualcuno. Io in questo non sono precaria, questo non sono riusciti a togliermelo. Il mio amore per voi e nel vostro esistere, è la mia forza . Mi accompagna ogni giorno nel difficile ma esaltante amore per la vita: con la scuola e i miei studenti.
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Ciao Claudia