Cile, un altro e precedente 11 settembre: in quel giorno del 1973 tra socialismo e barbarie vinse la barbarie. Non possiamo dimenticare!
Domenica 11 Settembre 2016 alle 11:45 | 0 commenti
Io ho memoria.
Oggi, 11 settembre 2016, voglio ricordare che in questo stesso giorno del 1973 un sanguinario colpo di stato fomentato, finanziato e appoggiato dagli Stati Uniti distrusse la democrazia in Cile. Quel giorno vinse la barbarie. Ricordo gli aerei che bombardavano il palazzo presidenziale di Santiago (qui la photo gallery coin la sequenza delle foto citate, ndr). Ricordo le esplosioni, il rumore dei jet. Le urla dei vivi, i silenzi dei morti. Ricordo il presidente socialista Salvador Allende, la fotografia che lo ritraeva mentre imbracciava un fucile mitragliatore pronto a difendere la democrazia del suo Paese. Simbolo di chi resiste alla protervia e alla brutalità del fascismo in ogni parte del mondo. Ricordo che lottò fino alla morte contro la violenza fascista scatenata dalle forze armate. Ricordo le sue ultime parole: "Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole e ho la certezza che il mio sacrificio non sarà vano. Ho la certezza che, per lo meno, ci sarà una lezione morale che castigherà la vigliaccheria, la codardia e il tradimento."
E ricordo il generale Augusto Pinochet. Il carnefice. Lo possiamo vedere in fotografia con gli occhiali scuri, le braccia conserte, le labbra serrate. Il suo volto è privo di umanità , simbolo emblematico di quel fascismo sudamericano da sempre al servizio delle multinazionali e dall'imperialismo statunitensi.
Ricordo, quindi, che tra i mandanti del golpe c'era il segretario di stato statunitense Henry Kissinger. Lo rivedo ancora, sorridente, che stringe la mano al carnefice dimostrando evidente soddisfazione per il "buon lavoro svolto" dal fedele esecutore del massacro.
E voglio ricordare che Kissinger, a proposito dell'elezione di Allende, disse "non vedo perché dovremmo restare con le mani in mano a guardare mentre un Paese diventa comunista a causa dell'irresponsabilità del suo popolo. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli." Dimostrazione inequivocabile della determinazione del governo statunitense di imporre quel suo modello imperialista che esclude la libertà di autodeterminazione dei popoli.
Ricordo con estremo dolore i democratici cileni deportati nello stadio di Santiago. Ricordo le armi degli aguzzini che li controllavano.
Ricordo il volto del cantautore comunista Victor Jara che in quello stadio fu assassinato dai militari perché era un uomo di cultura, libero. Un cervello che pensava. Gli ruppero le dita delle mani e lo assassinarono perché non potesse più suonare e cantare il diritto del popolo alla ribellione di fronte alla violenza e alla crudeltà del capitalismo che lo aveva oppresso. Lo uccisero perché con la sua voce e le sue poesie cantava la speranza di riscatto che il governo popolare aveva fatto crescere in Cile.
Ricordo le decine di migliaia di "desaparecidos". E non posso dimenticare le esecuzioni sommarie, le torture, i massacri, le persecuzioni imposte al popolo cileno con cieca brutalità .
E, infine, ricordo anche la stretta di mano, avvenuta anni dopo, tra un Wojtyla sorridente e un soddisfatto Pinochet. Simbolo di quell'ambiguità , che era di fatto connivenza, che esisteva tra chiesa e dittatura cilena.
Ecco, in questo 11 settembre che è dedicato a ricordare l'attentato terroristico del 2011 alle torri gemelle di New York, voglio che si abbia memoria che quarantatre anni fa, in Cile, l'imperialismo e il fascismo scatenarono l'inferno per bloccare il tentativo di un governo legittimamente eletto dal popolo, di trasformare la società e renderla migliore e più giusta. Finalmente umana.
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