Ciambetti: c'è un fuggi fuggi generale dalla paternità delle politiche di austerità
Lunedi 14 Gennaio 2013 alle 22:19 | 0 commenti
Riceviamo da Roberto Ciambetti, assessore regionale Lega Nord, e pubblichiamo
Redde rationem
Ora c'è il fuggi fuggi: fra poco le politiche di austerità che hanno mandato al massacro l'economia di intere nazioni, dalla Grecia in poi con l'Italia non ultima, non avranno più padri o genitori.
In una vergognosa gara allo scaricabarile Josè Barroso cerca di spiegare che la Commissione Europea non ha mai avallato gli attacchi al welfare, il presidente uscente dell'Eurogruppo, il lussemburghese Claude Juncker, arriva a dire che "Occorre ritrovare la dimensione sociale dell'Unione economico-monetaria, con misure come il salario minimo in tutti i paesi della zona euro, altrimenti per dirla con Marx perderemmo credibilità verso la classe operaia".
In Italia, da Mario Monti per giungere a Bersani, c'è la gara nelle promesse a smantellare quel sistema di polizia-oppressione fiscale che hanno realizzato negli ultimi mesi.
Cosa si cela dietro questo fuggi fuggi? Partiamo dall'analisi del Fondo Monetario Internazionale che ammette i suoi stessi clamorosi errori di valutazione nelle politiche di riduzione della spesa pubblica e aumento della tassazione. Nel loro "Growth Forecast Errors and Fiscal Multipliers" Olivier Blanchard, uno dei maggiori economisti mondiali, e Daniel Leigh del Fmi spiegano come le politiche di austerità e rigore partivano da presupposti sbagliati ed errori si sono sommati ad errori.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti e investe buona parte dell'Europa: disoccupazione giovanile insostenibile, perdita di potere d'acquisto delle famiglie, la contrazione del Pil.
I bilanci delle banche, nel frattempo, sono stati gonfiati da immensi flussi di denaro pubblico, ma il credito a imprese e consumatori è sempre più in picchiata. Lo spostamento al 2019 degli obiettivi di Basilea 3 potrebbe liberare risorse da investire nell'economia reale. Ma avverrà ? Le grandi istituzioni finanziarie ormai sembrano di vivere in una loro dimensione, in un mercato dove l'economia reale, e gli esseri umani, non hanno più valore.
Le banche, grazie ai soldi pubblici, hanno esteso il loro controllo su intere nazioni (in Italia il 60 per cento del debito pubblico è nelle mani del sistema creditizio, il quale poi controlla interi settori strategici ad iniziare da quello dell'informazione) e dunque possono imporre politiche e scelte ai governi, manovrare le tendenze di mercato, manipolare i prezzi delle commodities dall'oro ai cereali.
Nei bilanci delle banche, alimentati da una espansione monetaria incredibile, si trova il motivo per cui in tanti, troppi, cercano di farci credere di non avere alcuna responsabilità nelle politiche di rigore che hanno portato a smantellare lo stato sociale, impoverire le famiglie e mettere in ginocchio l'economia indirizzando proprio nei forzieri degli istituti di credito quanto si è rastrellato attraverso le tasse; il rischio di inenscare una spirale inflattiva devastante da tutti negato è in verità una possibilità ben viva.
La paura dei Juncker, dei Barroso, dei Monti, dello stesso Fmi, non è la perdita di credibilità verso la classe operaia e lavoratrice, ma il terrore davanti al rischio reale dell'esaurimento della capacità dei governi di sostenere l'espansione monetaria con le entrate fiscali e il dover fare i conti con la rabbia della popolazione. Per tanti si profila il giorno della resa dei conti o per dirla con san Luca si profila il "redde rationem villicationis tuae: iam enim non poteris villicare: rendimi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare.
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