Cgil, Green Valley: rischio fiasco
Martedi 30 Ottobre 2012 alle 18:00 | 0 commenti
È mezzodì in punto quando Marina Bergamin, Gianni Dalla Riva e Ferdinando Dal Zovo si trovano nella sede arzignanese della Cgil a pochi passi da villa Brusarosco. I tre sono rispettivamente segretario provinciale, responsabile concia e responsabile del settore pensionati proprio della Cgil. Dal Zovo per di più è la memoria storica del sindacato nel comprensorio.
Motivo del rendez-vous? Fare il punto delle situazione, o meglio le pulci, dopo la conclusione della prima parte del progetto Green Valley, il concept-plan per il futuro della Valchiampo, avviato da enti pubblici e soggetti privati dopo il ciclone Dirty Leather.
Il prologo. Ieri infatti giustappunto a villa Brusarosco il presidente della Camera di Commercio Vittorio Mincato aveva tirato le somme della prima fase del progetto Green Valley. Un progetto pensato dalle imprese e dallo stesso ente camerale per cercare di risollevare le sorti del distretto della pelle, sia in ragione della crisi che sta attraversando, sia in ragione del «grave danno d'immagine patito» dopo la deflagrazione del caso Arzignano; uno scandalo divenuto di portata nazionale dopo i reportage di Rai Tre. Mincato ieri è stato affiancato dall'assessore regionale alla formazione Elena Donazzan (Pdl), dal coordinatore del progetto Susanna Magnabosco, ex presidente degli industriali arzignanesi nonché dal sindaco della città del Grifo Giorgio Gentilini (Pdl). I quattro si sono detti soddisfatti soprattutto per la partecipazione da parte dei giovani ai forum proposti durante gli ultimi mesi. Assai più tiepida, sostengono i quattro, è stata invece la partecipazione delle imprese.
La critica. Ed è proprio da questa considerazione che Bergamin, Dalla Riva e Dal Zovo hanno cominciato la loro contro-analisi spiegando che dalla piattaforma voluta dalla Camera di commercio «sono spariti temi nevralgici come lavoro e legalità » mentre anche «l'aspetto ambientale come quello strategico sono finiti in secondo piano».
La preoccupazione. In questo contesto i tre ricordano i numeri del comparto concia che fattura ancora oltre due miliardi di euro all'anno e dà da lavorare a 8.000 persone. «Manca completamente - spiegano i sindacalisti - un approccio innovativo da parte delle cinque sei maggiori imprese affinché, ad esempio si torni ad approvare il contratto aziendale, scaduto dal 2004, si torni a parlare di incentivi correttamente calcolati senza ricorrere alle furbate del nero e di un approccio soft alle tematiche ambientali. Un approccio che ha fatto male alla concia».
E dal Zovo ha le idee chiare a riguardo. «Se fino ad una quindicina di anni fa la concia di dritto o di rovescio faceva campare il 90% della popolazione, oggi siamo al 50% con una presenza di immigrati notevole. Ora se la concia vuole farsi accettare sul piano sociale, al di là dei cambiamenti radicali che urgono, non si capisce a che pro il progetto Green Valley cerchi il consenso della stessa concia presso i ragazzi e non presso gli adulti che quel sistema a seconda delle circostanze lo utilizzano o lo patiscono». Ma l'ultima bordata della Bergamin è indirizzata ai vertici di Confindustria e al presidente di Assoconcia Valter Peretti: «Ai tempi del maxi scandalo della concia le organizzazioni datoriali sono venute a chiedere il nostro sostegno affinché non si gettasse la croce addosso all'intero settore. Ora che c'è da riprogettare non solo un intero settore ma un pezzo degli assetti sociali e territoriali del comprensorio noi del sindacato, come è avvenuto ieri, veniamo considerati dei meri uditori». La segretaria fa poi un appunto al progetto dell'impianto per il trattamento dei fanghi che dovrebbe prendere forma proprio ad Arzignano: «Sospendiamo ogni giudizio perché non ci hanno dato le carte». Una circostanza di cui si è lamentata anche la giunta di Montecchio Maggiore, che a differenza di quella di Arzignano, è ostica nei confronti dell'«inceneritore» (in foto da sinistra a destra Dalla Riva, Dal Zovo e Bergamin).
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