BPVi, oltre seimila richieste di risarcimento. Ma sulle conciliazioni per ora c’è un muro
Martedi 2 Agosto 2016 alle 09:52 | 0 commenti
Una banca, si sa, deve fare i conti. Metti la Popolare di Vicenza: è alle prese con un futuro tutto da costruire, nelle mani di Atlante, Quaestio e del nuovo Cda guidato da Gianni Mion, ma deve fare i conti con il passato ereditato da Zonin e soci. Che non significa solo capitale azzerato, ma anche una montagna di contestazioni, reclami, richieste di risarcimento. I dati più recenti parlano di 1,4 miliardi di euro di richieste di risarcimento da parte dei soci, a fronte dei quali la banca ha effettuato accantonamenti per 736 milioni di euro.
Al momento della trasformazione in Spa, ne aveva previsti 489, a copertura delle spese di contenzioso: ha dovuto poi aggiungerne altri 250 vista la valanga di reclami. Già nel prospetto informativo per l'aumento di capitale la banca scriveva che le «richieste economiche avanzate in sede giudiziale sono pari a 647,4 milioni di euro», e si era ad aprile. Oggi i reclami, che erano 4.752, sono più di seimila, e aumentano di giorno in giorno. Dice Luigi Guiotto, presidente di Federconsumatori: «Solo noi ne abbiamo presentati più di cinquemila». Poi ci sono le altre associazioni cui si sono rivolti i soci defraudati: Federcontribuenti, il Coordinamento di Don Torta, l'Adusbef, e infine coloro che corrono da soli. E questi sono i reclami presentati direttamente in via Battaglione Framarin. Poi ci sono le cause già aperte, distribuite fra i tribunali di Vicenza, Padova, Verona, in Friuli, a Prato. Difficile tenere il conto complessivo, a Vicenza sono già più di 2.500, depositate sia in procura (penali) che al tribunale civile. Per questo il procuratore Antonino Cappelleri ha chiesto e ottenuto rinforzi.
I 2.500 soci che hanno già iniziato il contenzioso in sede legale fanno comunque parte, ma non del tutto, dei seimila e passa reclami conteggiati. Questo per dire che non è facile chiudere i conti con il passato. Ci vorranno anni e denaro, molto denaro. E avvocati: sono già un piccolo plotone quelli che difendono i soci impoveriti, e anche la banca, fin dal gennaio 2016 con il dg Francesco Iorio ha dato un nuovo assetto allo staff dell'ufficio legale e si è affidata ad importanti studi esterni.
In questi mesi si è già delineato lo scenario del contenzioso possibile, variegato a seconda delle posizioni e situazioni individuali. Una possibile e parziale via d'uscita è la possibilità di conciliazione. Ma come stanno andando le cose? La conciliazione può essere di due tipi: il tentativo obbligatorio per legge se è già radicata una causa civile; oppure quella volontaria, privata, tra le parti, cioè tra l'autore del reclamo e la banca. Va detto che la Popolare di Vicenza, a più riprese, ha affermato di voler aprire dei «tavoli di conciliazione», che finora sono rimasti lettera morta. Tutto rinviato a settembre, quando ci sarà un incontro con le associazioni dei soci per stabilire i criteri di valutazione e risarcimento. Finora la banca ha convocato, per queste comunicazioni, solo Federconsumatori, c'è stato un incontro con Barbara Puschiasis, responsabile Friuli, e Giovanna Capuzzo (Veneto) e non sono stati presi accordi nel merito.
Da Bpvi fanno capire che le conciliazioni potrebbero partire già a ottobre ma nel frattempo si dice no a tutto. Fino ad ora, la conciliazione è rimasta una parola vuota, anzi un'occasione per capire quanto la banca sia intransigente. I tentativi di mediazione in sede giurisdizionale, quelli obbligatori con chi è ricorso al giudice civile, hanno avuto tutti lo stesso copione, la stessa frase tranchant: «Non ci sono i presupposti per la mediazione». Senza discutere, senza entrare nel merito. È la strategia scelta dalla banca. Qualcuno di questi «no» addirittura per telefono, senza presentarsi di persona, come raccontano l'avvocato Camilla Cusumano, che rappresenta 60 ricorrenti associati all'Adusbef, e la sua collega Silvia Berta.
La banca, per esempio, ha deciso di non riconoscere alcun valore alle prime ordinanze dei giudici civili che «congelano» la restituzione delle rate dei fidi collegati all'acquisto di azioni «baciate»: «Sono ordinanze, non sentenze». Banca arroccata dunque, e anzi decisissima nel recupero crediti. La linea, a quanto pare, è questa: piena legittimità di tutte le operazioni di affidamento, quindi pieno diritto alla restituzione del credito concesso. Sulle azioni ridotte a carta straccia (da 62,50 euro a 48, poi a 6 euro - inesigibili - infine a 10 centesimi) un laconico e provocatorio «Ci spiace».
Appaiono stridenti questi comportamenti con i proclami di recupero della fiducia, di un nuovo patto con il territorio, di una fase totalmente diversa nella quale la Popolare riprenda a lavorare con le categorie produttive e i risparmiatori. Diceva il dg Iorio al Corriere del Veneto il 9 gennaio scorso: «Senza fiducia non si va da nessuna parte. Il mio obiettivo principale è realizzare una banca che faccia della trasparenza nella relazione con i clienti e i soci il punto fondamentale e inderogabile».
Ma tant'è, per il passato l'input è: negare tutto. Con risvolti per lo meno sconcertanti. Come in quel caso di Segusino (Treviso), quando due pensionati - una vita da operai - affidano i loro 25 mila euro di risparmi alla Popolare. È il 2014, il direttore della filiale convince il marito a comperare azioni Bpvi. Peccato che il signore sia reduce da un ictus, in sedia a rotelle, con un certificato di invalidità e abbia la licenza di terza media. Ma gli fanno firmare la dichiarazione Mifid dove risulta che ha un diploma e sa tutto delle più impervie operazioni finanziarie. L'uomo poi muore, la moglie va a riprendersi i soldi che crede depositati, «per pagare il funerale» e scopre di non avere più nulla. La sbeffeggiano, anzi l'allora direttore di Segusino si ritiene offeso «nei confronti del datore di lavoro» e minaccia querele. Alla richiesta di mediazione, la banca aderisce ma non scrive motivazioni. Quando si svolge, con una telefonata la rifiuta. «Eccome, se andremo avanti», commenta l'avvocato Silvia Berta. Un caso simile a Vedelago, con azioni vendute a un ragazzo invalido.
Non va molto diversamente, a quanto raccontano, nei tentativi di conciliazione «privata», cliente e banca a tu per tu. Anzi, tra le mura ovattate della direzione generale, c'è spazio per durezza e aggressività . La banca ha bisogno come l'aria di rientrare del denaro prestato, nega ogni responsabilità e cerca di mettere comunque all'angolo i debitori. Quel miliardo abbondante di crediti concessi con l'accordo di acquistare in parte azioni proprie è per un buon terzo inesigibile, per recuperare gli altri due terzi le strategie sono diverse. L'atteggiamento cambia a seconda del cliente: ai «grossi» si offre la rimodulazione del debito, ad alcuni la diminuzione del debito in percentuale in cambio della continuità del rapporto; se si tratta di imprenditori, si negozia il riassetto complessivo del rapporto. Con i «medi» la chiusura è più netta, con i «piccoli» si diventa pressanti. Caso illuminante: un socio aveva chiesto di vendere le azioni, gli hanno detto che «in attesa» della vendita potevano concedergli un fido per l'equivalente valore. Azzerate le azioni, gli hanno tolto il fido. Il cliente protesta, gli offrono di rinnovarlo al 5% di interesse... Il cliente è poi riuscito ad averlo all'1%. Ma quel denaro, in origine, erano i suoi soldi in azioni.
Tutto questo quando c'è in ballo la restituzione di un affidamento. Per i mille e mille casi di «rimborso delle azioni» fatte acquistare dal 2014 in poi, nessuna conciliazione possibile, un muro impenetrabile. Sarà materia per i giudici o per i futuri tavoli di conciliazione. Che saranno, si badi bene, gestiti dalle associazioni e ognuna tutelerà i propri iscritti. Sarà in pratica una trattativa, che comunque esclude chi ha deciso di fare causa: la banca presumibilmente offrirà un risarcimento parziale, nei limiti dell'accantonamento previsto, applicato a ogni singola posizione secondo i criteri individuati. C'è da crederci, visto quello che sta succedendo in queste settimane? Federconsumatori dà fiducia con cautela: «Le promesse devono diventare oggettività ». È molto più scettico l'avvocato Renato Bertelle, che rappresenta 200 soci arrabbiatissimi: «Una perdita di tempo. Ho avuto un'esperienza: due ore in videoconferenza per nulla, una mediazione farsa» .
Di Paolo Coltro, da Il Corriere del Veneto
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