Bigazzi e i magnagati, quanta ipocrisia
Mercoledi 17 Febbraio 2010 alle 15:45 | 0 commenti
‘Tutto è relativo', dice un adagio popolare, e qualche volta è anche vero. Per esempio: si può essere ‘relativamente' svegli, come il figlio di Bossi; ‘relativamente' tolleranti, come Paola Binetti; ‘relativamente' xenofobi, come Mario Borghezio. Esistono tuttavia categorie del reale che non ammettono la categoria del relativo, ma solo quella dell'assoluto: o una cosa o l'altra, o tutto da una parte o tutto dall'altra. Per esempio: come ognuno sa, non si può essere un po' incinta. O ce l'hai o non ce l'hai, o ci sei rimasta oppure no, e magari ci starai più attenta la volta dopo. Così pure, un'altra categoria che non ammette ‘relativismi' è quella dell'uccidere. Non si può uccidere un po': o si uccide, si spegne una vita, si accetta di farlo e ci se ne dà anche una ragione, oppure si decide che uccidere è sempre e comunque male e ci si rifiuta comunque di farlo, ‘senza se e senza ma', come va tanto di moda dire. Chiarito questo punto, proviamo ad incrociare queste nostre considerazioni con la vicenda di Beppe Bigazzi, il conduttore tv cacciato a furor di popolo (ma soprattutto a furor di Sottosegretario alla Salute Francesca Martini) dalla trasmissione "La prova del cuoco" per aver ricordato l'antica abitudine toscana (ma noi veneti ne sappiamo qualcosa) di mangiare il gatto, ed aver addirittura citato l'antica ricetta del gatto in umido.Â
Facciamo alcune brevi premesse. Primo. Pur non conoscendo assolutamente il Sig. Bigazzi - l'ho sentito nominare per la prima volta in vita mia in quest'occasione - dubito seriamente che col suo intervento intendesse davvero incitare gli spettatori a mettere in tavola il gatto di casa. Penso piuttosto che volesse ricordare quella che è stata non direi nemmeno una ‘tradizione', quanto più che altro un elemento dell'antica cultura contadina (per fame ci si mangiavano anche le soéte, come ha raccontato Virgilio Scapin; figuriamoci se non si mangiavano i gatti). Quanto alla ricetta, anni fa la pubblicò anche il compianto VicenzaABC, di Matteo Rinaldi (da "La Cucina Vicentina" di Amedeo Sandri e Maurizio Fallopi, diceva l'articolo: non so se sia la stessa citata da Bigazzi). Un testo esilarante in vicentino stretto, che, pur essendo io un gattofilo fanatico, non che scandalizzarmi mi fece ridere di gusto. Secondo. Altre sono le cose che mi scandalizzano. Per esempio, da quarant'anni vivo sui Colli Berici, e in questo lungo periodo ho avuto decine di gatti. A parte i pochissimi fortunati che sono morti di una serena vecchiaia tutti gli altri me li hanno ammazzati i cacciatori, ma non per mangiarseli, bensì con la motivazione che ‘i gatti rovinano la selvaggina' (sic) ...
Dopo di che, torniamo all'onorevole Martini ed alla sua crociata anti Bigazzi: "massima severità ", "delitto di istigazione a delinquere", "episodio inaudito per la televisione pubblica" eccetera. Se - e sottolineo il se, come Mina - l'intenzione del conduttore fosse stata effettivamente quella, non potrei che essere d'accordo. Detto ciò, il punto però è assolutamente un altro, e la domanda da farsi anch'essa un'altra. Che cosa è male: uccidere un gatto, o uccidere un animale in generale? E tornando al nostro incipit: si può uccidere ‘un po'? La gallina e il coniglio sì e il gatto no? L'agnello e il capretto sì (tra poco è Pasqua, onorevole Martini: cosa metterà in tavola?) però niente gatto? La mucca, il vitello, il maiale sì ma non il gatto? E perché il gatto no e la mucca e il maiale sì? Forse perché il gatto ci dorme sul divano, è tanto carino e ci fa miao, mentre la mucca è grossa e puzza di merda? E il maiale è sporco, appunto come un maiale?
Ma non basta. Non solo ce li mangiamo allegramente, gli animali suddetti, e tanti altri che ho dimenticato, ma prima di mangiarli li imprigioniamo in modi atroci, sottoponendoli a sofferenze inumane, perché tanto sono solo macellerie ambulanti. Li uccidiamo anche, in modi altrettanto atroci. Mia moglie, figlia di contadini, mi ha sempre raccontato: ‘Quando mio padre portava i maiali a scannare, io non andavo mai a vedere, e mi chiudevo in casa, ma li sentivo urlare da lontano, ed era straziante'. Li cuciniamo, perfino, in modi atroci. Ricordo la vicenda, qualche anno fa, dei due ristoratori vicentini denunciati per aver conservato degli astici vivi sul ghiaccio, facendoli soffrire. Vero, ma nessuno si chiese se per esempio non soffrano altrettanto, se non di più, le aragoste gettate vive nella padella: chi lo ha fatto, dice che, pur essendo privi di organi fonatori, emettano perfino una specie di acuto lamento; o le cozze, le vongole e le lumache, buttate nell'acqua bollente.
Insopportabili ipocrisie, che ricordano molto le disquisizioni sulla pena di morte di cui ci si diletta negli USA. Dove un uomo viene condannato ad essere assassinato - il massimo della disumanità - però poi si cerca di stemperare questa disumanità inventando improbabili sistemi di esecuzione ‘indolore', che recenti studi hanno dimostrato non essere indolori affatto. E si consente al condannato di ordinare un abbondante ultimo pasto: magari a base di bistecche. La questione, insomma, non è di chi si uccide, o di come lo si uccide: la questione è, puramente e semplicemente, di uccidere o no.
Condivideremo perciò l'indignazione dell'On. Martini solo quando essa si dichiarerà vegetariana; quando andrà a liberare le aragoste chiuse negli acquari dei ristoranti; quando andrà a tagliare le gomme dei trasporti di animali, che estate e inverno sottopongono volatili e bovini a sofferenze inaudite. Ma tanto dopo vanno mangiati, e quindi ... (secondo la stessa logica, negli ospedali si potrebbero usare i vecchi come cavie, tanto poi devono morire. Ma questo è un altro discorso. O è lo stesso?!). Quando, insomma, il suo rispetto per la vita animale sarà incondizionato e totale. Altrimenti - ci perdoni, Onorevole - queste ci sembrano solo tartuferie, buone soltanto a far parlar di sé i giornali (a proposito: anche il tartufo si mangia, ma almeno lui non si lamenta ...).
Giuliano Corà Â
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