Bersani a Vicenza, Bergamin consegna riflessioni su economia vicentina
Lunedi 2 Aprile 2012 alle 17:47 | 0 commenti
Marina Bergamin, segretaria generale Cgil Vicenza  - Il mercato del lavoro.
Non sono passati molti anni da quando, risalendo le strade della provincia di Vicenza, si incontravano cartelli con scritto ‘cercansi operai' o quando, nel sollecitare le imprese (col senno di poi con troppa poca fermezza) a fare più formazione ci sentivamo rispondere di non voler investire su personale buono per la concorrenza.
Non è passato molto, quattro, cinque anni e la situazione si è ribaltata. I numeri confermano: a Vicenza (una delle locomotive del nord est) tra il 2008 e il 2011: si sono aperte 672 medio/grandi crisi aziendali (le espulsioni individuali non sono censite se non nei dati della mobilità ); sono stati autorizzati 66.482.727 di ore di cassa integrazione (che tradotti in teste equivarrebbero a oltre 40.000 lavoratori); sono stati messi in mobilità 23.627 lavoratrici e lavoratori, soprattutto della piccola impresa; Il tasso di disoccupazione vicentino, attestato attorno al 2% prima della crisi, è triplicato. Certo esistono ancora imprese che assumono, investono, fanno ricerca e formazione e che stanno a loro agio nel mercato globale, che esportano. Ma per le più la situazione è ancora molto problematica e non si vede una rapida via d'uscita. Per questo il tema degli ammortizzatori sociali deve essere ancora ai primi punti della nostra agenda. Il tasso di disoccupazione giovanile, anche in Veneto, si è attestato al 20% e ogni 100 assunzioni solo 15, nel 2011, sono stati i contratti a tempo indeterminato, mentre i Centri per l'Impiego si sono lasciati morire. È in questo contesto inedito che abbiamo dovuto lavorare in questi anni, non diversamente che nel resto del paese. Fuori dai luoghi di lavoro, abbiamo incontrato Sindaci, Assessori, Amministrazioni di enti pubblici col fine di preservare sul territorio quantità e qualità dei servizi. Anche qui non senza fatica, essendo ovunque in calo le risorse. Non si contano gli incontri con il Prefetto al quale, da ultimo, abbiamo rappresentato le difficoltà degli immigrati (oltre 90.000), minacciati dalla crisi e per questo dalla concreta possibilità di essere rimpatriati a scadenza del contratto di soggiorno.
Gli accordi e la situazione sociale
Si sono fatti Accordi: il Fondo straordinario di solidarietà con la Caritas (nel più puro stile vicentino l'incontro che ha messo insieme tutti ma proprio tutti gli attori del territorio è stato quello del Vescovo, rinnovato ogni anno!!); l'anticipo della Cassa integrazione con la Provincia già a fine 2007; la sospensione delle rate del mutuo con parte del sistema del credito; il Patto sociale per il lavoro con Fondazione Cariverona e tutti gli attori sociali del territorio. Tanti sacchi di sabbia per mitigare i danni di un'alluvione che nessuno aveva previsto (quella vera sarebbe venuta nel novembre 2010 e anche lì si istituì un Fondo bilaterale titolato ‘Usciamo dal fango'). Se questi sono i numeri, ci si chiede come tutto non sia deflagrato in grandi proteste sociali o in conflitti etnici o generazionali che tutti all'inizio, Questura compresa, avevano temuto. La risposta crediamo stia: nella tenuta, ancora, delle reti familiari e comunitarie pur in sofferenza; il tasso di occupazione femminile è in calo; nella lenta consumazione dei risparmi di una vita; in una discreta integrazione (al di là della propaganda) degli immigrati (forse a pagare di più, tra loro, sono state le donne e i bambini, spesso fatti tornare nei paesi di origine); nel fatto che il nostro tessuto economico continua ad essere costituito da piccole imprese: all'incirca il 90% di esse sta sotto i 9 dipendenti e, come si sa, salgono all'onore delle cronache le grandi crisi, i grandi numeri, i grandi gesti, ai quali, peraltro va tutta la nostra solidarietà . Ma non dimentichiamo le disperazioni individuali, anch'esse spessissimo legate al lavoro: i 72 suicidi del 2011 e i 62 del 2010, disperazioni che hanno accomunato lavoratori e datori di lavoro, spesso artigiani. L'artigianato ha perso 5000 addetti negli ultimi cinque anni. E ora che fare? Il 2012 si presenta come un anno complicato.
La politica industriale
La piccola luce in fondo al tunnel della primavera/estate 2011 è ridivenuta fioca in autunno e tale è rimasta. Le aziende lamentano grandi problemi con il credito e noi crediamo che abbiano ragione da vendere. Ma non è solo questo il problema. Ci sono fattori esogeni, internazionali, evidentemente. Ma anche fattori endogeni e cioè la lentezza nel superare quell'area di produzioni/servizi/attività di medio basso contenuto qualitativo per agganciarsi invece agli standard delle aree produttive forti d'Europa. La distanza tra noi e la Germania, dichiara il presidente di Confindustria in un nostro convegno del 30 giugno scorso, si sta accentuando. Troppo alta è stata l'attrazione esercitata dalle rendite finanziarie ed immobiliari negli anni passati! e troppo poca la disponibilità a superare il nanismo e a mettersi insieme, all'investimento produttivo e innovativo, alla formazione permanente, alla ricerca: il Veneto, tra pubblico e privato, investe in ricerca l'1% del suo Pil, metà della media europea, un terzo rispetto ad alcune regioni leader in Europa. È un gap che va superato presto, pena il declino del manifatturiero, spina dorsale della nostra economia. Ma le tentazioni sono anche altre. In primo quello di continuare fare da sé e per sé, non riconoscendo il valore della rete e del territorio, pur evocando entrambe ad ogni piè sospinto. Questo vale per le imprese ma vale anche per gli Enti Locali, salvo eccezioni, molto restii a mettersi insieme. Di riaffidarsi alle ‘grandi opere' infrastrutturali o commerciali, aggiungendo cemento a cemento in un territorio già esausto, come ha dimostrato l'evento alluvione. Infine la voglia di intervenire sul costo del lavoro e di avere libertà di azione sugli orari. Sono decine le aziende che stanno provando a ricontrattare gli accordi aziendali disdettandoli (spesso per proporre salari di ingresso per i giovani, già non prendessero poco!), a chiedere deroghe ai contratti nazionali, a forzare su turni e orari. La ricerca del risparmio facile riguarda anche le aziende di servizio pubblico locale, per buona parte a Vicenza ancora ‘in house', massacrate dai tagli ma ancora affezionate ai campanili e impreparate alla sfida del mercato, soprattutto nei trasporti.
Le riforme in corso
Lavoratrici e lavoratori ovviamente stanno prestando la massima attenzione a quello che accadrà sul tavolo con la Ministra Fornero. Non occorre dire lo stato d'animo rispetto alla manomissione delle pensioni, sia nel pubblico che nel privato, in un territorio in cui, iniziare a lavorare da giovani/giovanissimi era un vanto e in cui la fatica del lavoro manifatturiero resta tanta (non tutti i lavori sono uguali)! Resta tutto aperto il problema degli ‘esodati' e quello delle ricongiunzioni onerose, nonché quello del potere d'acquisto di stipendi e pensioni. Noto è il giudizio della Cgil sulla riforma del mercato del lavoro in corso.
Precarietà . C'è un contenimento, per noi ancora insufficiente, delle troppe forme di precarietà esistenti. E' poco, ma consideriamo anche una conquista l'abolizione dell'associazione in partecipazione, la revisione di stage e tirocini, la centralità dell'apprendistato, alcuni vincoli messi in alcuni contratti atipici o a termine... Secondo noi bastavano 4, 5 forme contrattuali, al Governo no. Questi contratti devono costare di più ed essere eccezioni nei luoghi di lavoro. Serve fare attenzione affinché non si scarichino sul lavoratori i maggiori oneri.
Ammortizzatori sociali. Gli ammortizzatori sociali - a regime - non garantiranno l'universalità che riteniamo necessaria affinché tutti i lavoratori, nella crisi, siano ugualmente protetti. Bene che siano stati ricompresi gli apprendisti, ma per altri lavoratori, quelli - appunto - atipici, sarà impossibile accedervi, mentre si sono pesantemente indebolite le tutele per i lavoratori più anziani e quelli di aziende in procedure concorsuali. In un territorio bisognoso di ‘cambio di pelle', una contrazione delle protezioni sociali potrebbe avere esiti drammatici.
Flessibilità in uscita. Con la perdita del diritto al reintegro, cadrà una tutela nata per far valere un insieme di diritti, aprendo all'unilateralità del potere aziendale nei luoghi di lavoro. Pur volendo evitare la drammatizzazione, la preoccupazione è anche che la sommatoria tra allontanamento dell'età pensionabile, esigenza di riposizionamento produttivo di molte imprese e maggior facilità nel licenziamento individuale possa portare a ‘ricambi forzosi', più o meno giustificati. La crisi che ci ha coinvolto negli anni passati è stata affrontata da tutte le parti sociali con grande responsabilità e avendo a mente la coesione sociale. Sarebbe davvero un peccato - stante la crisi ancora in corso - passare ad una fase di sfiducia e sospetto reciproci o di vertenzialità permanente.
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