Basilica Palladiana, Vicenza: ridiamo il progetto del riuso a Renzo Piano
Giovedi 26 Maggio 2011 alle 10:20 | 0 commenti
Matteo Serra, Facebook - Renzo Piano: "La mia architettura è in anticipo di vent'anni: a Vicenza non mi hanno capito, ma qualche traccia nel mondo l'ho lasciata". di Antonio di Lorenzo.
Ho due ricordi, tra i tanti, legati a Renzo Piano. Il primo ha la forma del Beaubourg, che ho visitato per la prima volta nel 1980, durante il primo viaggio a Parigi assieme a Isabella e ai nostri amici Diego Guidolin e Valeria Bertoncello.
Ci piacque molto. Fu il simbolo di quella vacanza, com’era allora il simbolo della fantasia creatrice (evocata già da Henry Bergson) e di un nuovo modo di vedere il mondo. Ci andavamo spesso, magari solo a leggere i giornali: sfogliavamo i quotidiani nella sala a piano terra del Beaubourg e seguivamo, in quell’agosto tormentato, la rivolta di Solidarnosc nei cantieri  di Danzica.
Il secondo flash è un’immagine vicentina, uno dei numerosi incontri che ho avuto con Renzo Piano quando seguivo il dibattito attorno al suo progetto. Era l’estate del 1988 e l’architetto, accoccolato in un angolo del teatro Olimpico, mi spiegava paziente le ragioni delle sue scelte. Lui era già il Numero Uno, io ero un giornalista locale, neanche della maggiore testata. La sua disponibilità e gentilezza mi colpirono subito. È proprio vero: più vai in alto, più trovi persone intelligenti e disponibili. M’è capitato troppo spesso perché sia solo un caso. Altro che gli industrialotti locali, che fatichi a trovare e sono sempre tronfi, pieni di se stessi, e ti trattano dall’alto in basso.
Ricordo anche che Renzo Piano in quell’occasione si divertì molto ad ammirare, nell’Odeo del teatro Olimpico, il... mio ritratto. Fernando Rigon, infatti, decise di esporre in mio onore – sono parole sue – quel quadro nel corridoio dell’Odeo Olimpico. Fu proprio Rigon, sempre in quell’estate del 1988, a illustrare
il quadro ad alcuni vip locali, spiegando il perché della scelta, precisando cioé che quel Gonzaga era il mio sosia del XVIII secolo. Il gruppetto cui parlava si divertì molto: c’ero io, naturalmente, ma anche il sindaco Corazzin, Renzo Piano, Giancarlo Ferretto e qualcun altro che non ricordo.
Se passate in quel corridoio, guardate in fondo, giusto a sinistra della porta che dà sull’Odeo Olimpico e date un’occhiata a quel quadro. La somiglianza con il sottoscritto è impressionante, a parte la gorgiera e l’armatura da cavaliere. Colpisce anche perché una volta ero più paffuto e i riccioli erano tutti neri. Maria Elisa Avagnina mi spiegò, in seguito, che quel personaggio era assai brillante e ironico alla Corte di Mantova.
Con Renzo Piano ho avuto altri contatti nel corso degli anni. Gli inviai il mio libro sul teatro nel 1999 (dove un capitolo è dedicato a lui e al progetto sulla Basilica) e lui mi rispose con affetto. Da ultimo, l’ho rivisto a Milano, nel maggio scorso, all’inaugurazione della sua mostra, la prima “personale†di architettura a vent’anni di distanza da quella vicentina. Coincidenze della storia. Torna il numero 20 in questa  vicenda. Io e lui, vent’anni dopo, neanche fossimo i Tre Moschettieri.
 È vero, architetto, che lei ha cancellato Vicenza dalla sua personale carta geografica, a motivo del progetto per la Basilica bocciato?
Renzo Piano ride e risponde pronto:
«Ma no! Non è assolutamente vero. Non ho alcun rancore con  Vicenza. Anzi, quando mi capita ci torno volentieri».
Sulla terrazza al piano nobile della “Triennale†di Milano l’architetto numero uno d’Italia (e forse al mondo) parla per la prima volta di vicende lontane quasi vent’anni e smentisce con naturalezza una leggenda metropolitana che gira da un bel po’: che lui, cioé, ce l’abbia a morte con i vicentini. Tutta colpa di quel progetto per il restauro e il riuso della Basilica palladiana affondato nelle polemiche a Vicenza, una delle (molte) occasioni perse dalla città nella sua storia recente.
Il progetto Piano per la Basilica fu una scommessa lanciata nel 1986 dall’amministrazione comunale di Antonio Corazzin. L’idea nacque perché pochi mesi prima Renzo Piano aveva inaugurato la “vela†della Lowara di Montecchio Maggiore. Renzo Ghiotto, infatti, aveva chiamato l’architetto genovese per rimettere in sesto il tetto dell’azienda, crollato per colpa della “nevicata del secolo†nel gennaio 1985. Vide giusto, Ghiotto: la “vela†della Lowara oggi resta l’unico segno di Piano nel Veneto, dato che anche il suo progetto del 1989 per l’Expo 2000 a Venezia fu colpito a morte assieme a quello per la Basilica vicentina.
 Alla “Triennale†di Milano Renzo Piano ha appena presentato la sua mostra, che ripercorre quarant’anni di carriera: dal Beaubourg parigino sino ai grattacieli di Londra e New York, passando per l’aeroporto di Osaka e la chiesa di San Pio in Puglia. Per ironia della sorte, questa mostra è la prima che Renzo Piano organizza in Italia dalla “personale†vicentina del 1986, allestita in Basilica da Paolo e Carlo Caoduro, titolari ell’omonima azienda, e dall’associazione “Abaco†di Lorenzo Marchetto.
L’avventura vicentina di Renzo Piano durò dalla metà degli anni Ottanta sino all’inizio degli anni Novanta. Furono cinque anni di disegni, dibattiti, polemiche accese, che coinvolsero tutto il Veneto, dalle università ai partiti. Fernando Rigon, allora direttore dei musei vicentini, lo aveva avvertito: «Non te lo lasceranno fare quel progetto, vedrai». Fu profetico.
E se André Chastel, a capo del Comitato scientifico del “Cisaâ€, approvò i suoi studi (in un dibattito all’Olimpico rimasto famoso nell’estate del 1988) molti altri gliela giurarono. In particolare, il partito trasversale degli storici dell’arte, dal comunista Manfredo Tafuri al liberale Renato Cevese, gli mosse guerra su tutti i fronti:
"Li ricordo bene quegli anni  - sottolinea Fulvio Irace, che ha curato la mostra di Piano alla “Triennale†- Come ricordo bene la determinazione di Tafuri nel contestare il progetto».
Però, poi il tempo rimette le bilance in equilibrio. E arrivano quelle che il comunista Enrico Berlinguer chiamava amaro “le dure repliche della Storiaâ€. Intervenendo alla presentazione della mostra, le parole di Irace suonano beffarde:
«Per molto tempo gli accademici hanno tenuto Renzo Piano lontano dai recinti. Sostenevano che era un tipo non affidabile, perché faceva cose un po’ strane. Però, tranne Aldo Rossi, tutti i grandi maestri di quando noi eravamo giovani, quelli che erano osannati negli anni Ottanta, adesso sono spariti. Non hanno lasciato tracce. Forse erano proprio loro a non trasmettere  un’idea di città nelle loro architetture».
Vent’anni dopo Renzo Piano non nutre rancori per quelle polemiche. Non è andato a lezione dal Dalai Lama, ma il suo sorriso e la sua cortesia illuminano ogni incontro, anche con il cronista di provincia che riconosce dopo tanti anni. Certo, se lo può permettere. Tra qualche mese compirà settant’anni e qualche rivincita se l’è presa. Ha ricevuto da Bill Clinton il Premio Pritzker, il Nobel dell’architettura. Luciano Berio, l’amico di sempre, gli ha dedicato una Sonata. Berlino gli ha regalato le chiavi della città , per quanto ha realizzato in Potsdamer Platz. Vicenza potrebbe regalargli le chiavi del cassetto dell’archivio comunale dove dorme da vent’anni il suo progetto per la Basilica.
Però nemmeno lui, il Numero Uno, ha dimenticato le amarezze:
«Arrivarono a scrivere che volevo togliere la cupola della Basilica e realizzarne una di trasparente...», ricorda. Ma è acqua passata. Renzo Piano ha appena terminato di spiegare la sua filosofia in un’intervista: Meglio dimenticare le difficoltà e concentrarsi sul quotidiano», conclude.
Sembra una frase studiata apposta per la querelle sulla Basilica palladiana. Sul suo progetto, in effetti, se ne sentirono di tutti i colori. In realtà le cose stavano diversamente e semplicemente: Renzo Piano pensava a un puro e semplice restauro della parte palladiana, concentrando le attività civiche nel vicino palazzo
 municipale degli Uffici, da svuotare e trasferire. Anche l’Assindustria era pronta a finanziare il progetto: aveva messo sul piatto 400 milioni di allora. Voleva festeggiare i 40 anni dell’associazione con un intervento di alto significato civico. L’idea era di riscaldare il salone per utilizzarlo di più e meglio: una mostra, un convegno, un concerto... Viste le polemiche, quei soldi furono dirottati altrove. E la Basilica ha atteso vent’anni prima di avere un po’ di tepore.
Restauro e riscaldamento della Basilica è quello che si sta realizzando adesso, infatti, con il progetto Marconi - Vassallo.
E per quanto riguarda gli uffici municipali, già da parecchi anni l’amministrazione Hüllweck ha ipotizzato di spostarli nel “nuovo centro storico di Vicenzaâ€, in viale Mazzini vicino al teatro.
Forse il progetto di Renzo Piano per la Basilica era in anticipo di vent’anni sui tempi di Vicenza? Chi scrive lo pensa. L’interessato sorvola. Si informa però su una città che riemerge dagli abissi della memoria:
"E quella vicenda come è andata a finire?».
«Bene, è una bella cosa. Sono contento».
Ma non le dispiace un po’, architetto, di non aver messo lei la firma a quel progetto? La Basilica la stiamo restaurando, finalmente:
«No, no. Cosa vuole, gli architetti sono abituati a prendere schiaffi. Siamo lì per questo...».
(ottobre 1986 - maggio 2007)
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