Gli autori di "Banche impopolari", i giornalisti di Repubblica Andrea Greco e Franco Vanni, Intervistati in esclusiva da VicenzaPiu.Tv
Giovedi 20 Aprile 2017 alle 22:53 | 0 commenti
Pubblicato il 29 marzo 2017 alle 21.20, aggiornato il 20 aprile alle 22.35. Abbiamo intervistato in anteprima nazionale assoluta per VicenzaPiùTv, la nostra tv streaming con un palinsesto sempre più ricco e qualificato, Andrea Greco e Franco Vanni, due colleghi de "la Repubblica" autori di "Banche impopolari" che racconta in 215 pagine (edizioni Mondadori, 19 euro, versione Kindle 9.99 euro) le storie e le ragioni dei drammi che hanno colpito oltre 500.000 soci delle banche popolari italiane, non solo quelle venete, che negli ultimi anni hanno almeno dimezzato il valore delle loro azioni in Borsa e in Veneto hanno visto azzerare di fatto il valore dei propri titoli, ultime transazioni a parte. Per noi, autori del libro testimonianza "Vicenza. La città sbancata", citati da Greco e Vanni in "Banche impopolari" tra i pochi che hanno capito per tempo e raccontato prima del flop quello che stava avvenendo soprattutto a Vicenza, è stato un onore prima annunciare a marzo il libro e poi intervistare ieri, mercoledì 19 aprile, due autori in collegamento su Skype dalla redazione di Repubblica a Milano.
Stasera vi ancipiamo, quindi, l'intervista che da domani diffonderemo anche su VicenzaPiu.tv e sulle App omonime che si possono scaricare gratuitamente.
Non vi anticpiamo, però, il contenuto del video che vi invitiamo a vedere perchè leggere il libro inquadra nel sistema quello che è successo, ascoltarli aiuta a capire quello che succederà .Â
Se migliaia di obbligazionisti hanno perfino dovuto ripianare le perdite degli istituti, nel libro, che racconta fatti e cause, si affronta anche un argomento che ad oggi pare tabù: il danno collaterale di decine di miliardi di depositi sottratti al territorio e al credito
Ma, scrivono Andrea Greco e Franco Vanni, se "dopo oltre un secolo di glorioso sostegno alle economie dei campanili, quelle locali sono diventate «banche impopolari»" questo "non è avvenuto solo per la crisi finanziaria e la recessione. Anche per le condotte di tanti banchieri, favorite da uno stile di governo obsoleto che, facendo valere in assemblea il principio «una testa, un voto», ha tenuto lontani i grandi investitori e generato potentati creditizi quanto mai opachi".
"Banche impopolari" merita di essere letto, parola di chi vi scrive che, pur seguendo anche le vicende di Veneto Banca, a Vicenza ha raccontato, da quando se ne intravedeva lo sfascio, la caduta della popolare locale inviando pochi mesi fa a Franco Vanni una copia di "Vicenza. la città sbancata", alcune delle cui pagine, inquadrate in un ambito più generale e sistemico, intravediamo orgogliosamente nella filigrana del libro ora in libreria.
Di seguito pubblichiamo una scheda abbastanza estesa del libro.
1 Vent'anni di ostruzionismo tra riforma e autoriforma (cap. Introduzione e II)
La riforma compiuta dal governo Renzi è arrivata, nel gennaio 2015, dopo un ventennio di vani tentativi di riformare il sistema del credito mutualistico. Sia dall'alto (a fine anni Novanta la Commissione Draghi per riformare il Testo unico della finanza propose al Parlamento di inserire una clausola che obbligava alla quotazione le banche popolari: ma fu impallinata da tutte le forze dell'arco parlamentare). Sia dall'interno, tra varie ipotesi e tentativi, sempre parziali e minimi, di modernizzare la corporate governance degli istituti. Ancora nel dicembre 2015, a pochi giorni dal decreto legge di modifica del settore, i vertici di Assopopolari dicevano: "Tranquilli, il parlamento è sotto controllo". Peccato che Matteo Renzi abbia usato la decretazione di urgenza.
2 Voglia di suicidarsi a Nord Est dopo l'esplosione del "caso bancario veneto" (cap II)
In Veneto, dopo gli imprenditori colpiti dalla crisi, ora sono i danneggiati dal crac delle banche popolari a minacciare di volersi togliere la vita. Tanto che la Regione ha creato un servizio psicologico di prevenzione dei "gesti disperati". Dal 2012 al 31 dicembre 2016 i casi trattati dallo sportello anti-suicidi InOltre sono stati 3200, fra chi è stato travolto dalla chiusura delle imprese e chi ha perso tutto nel crollo di valore delle azioni di banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Istituti non quotati, il cui valore delle azioni è stato nel tempo gonfiato artificialmente fino a crollare a zero nel 2015, bruciando miliardi di euro. Per i tanti pensionati, insegnanti e piccoli imprenditori che dopo un periodo nero sono riusciti a rialzarsi (al 1 febbraio 2016, i danneggiati dalle popolari venete registrati come «in condizione di potenziale esito suicidario» erano 63), c'è chi non ce la ha fatta. La vita di Antonio Bedin, 67 anni, è finita alle sei di sera di mercoledì 15 giugno 2016. Un colpo di pistola al petto. In chiesa a Montebello Vicentino, nel silenzio della navata, di fronte alla bara, don Enrico Torta ha scandito: «Rappresentiamo le duecentomila famiglie unite nella tragedia. Serve giustizia. Il governo deve sapere cosa succede qui in Veneto».
Ma come è stato possibile che nessuno alla Banca d'Italia, alla Consob o nelle stesse procure si sia accorto per tempo di cosa stava accadendo? Difficile dirlo. Di sicuro, Veneto Banca e (soprattutto) Bpvi negli anni hanno arruolato come dirigenti e consiglieri di amministrazione donne e uomini che in precedenza avevano ricoperto cariche importanti negli organismi di controllo. Un segno ulteriore dello strapotere di banchieri che - negli anni della crisi - hanno usato la ricchezza locale che proveniva dai depositi per dare troppo credito e a tassi molto bassi (quindi rischiosi) rispetto al mercato. E che, quando si trattò di ricapitalizzare gli istituti, non si facevano scrupoli a prestare denaro a chi in cambio si impegnava ad acquistare azioni; fino al crac.
3 Il derby Zonin-Consoli porta al dilemma dei vecchi soci di Vicenza e Veneto Banca: accettare un piccolo bonus o rischiare il crac (cap II)
Per chi ha perso molto, se non tutto, nel crollo di valore delle azioni delle grandi popolari venete non quotate nei mesi scorsi si è posto un dilemma. Lottare in tribunale, nella speranza di un risarcimento, oppure accontentarsi di quanto offerto dalla nuova gestione del fondo Atlante, dal 2016 azionista unico dei due istituti. Siamo agli sgoccioli: la conta delle adesioni all'offerta è imminente. I banchieri scelti da Alessandro Penati auspicano l'adesione al mini-rimborso almeno l'80 percento degli ex piccoli soci, preparandosi a sborsare oltre 600 milioni di euro. Ma se tutti i soci azzerati decidessero di tenere duro, e non accettare la "mancia" offerta dal nuovo padrone di Bpvi e Veneto Banca, le due banche potrebbero essere trascinate in tribunale per una cifra complessiva che potrebbe avvicinarsi ai 5 miliardi di euro. Soldi che andrebbero a pesare su una situazione finanziaria già difficilissima: ai 5 miliardi di passività patrimoniale potrebbe aggiungersi un rosso nella gestione 2016 di altri 3 miliardi. Una prospettiva apocalittica. Soprattutto se si considera che per il salvataggio dei due istituti torna a profilarsi all'orizzonte lo spettro del bail-in: il salvataggio privato, che tocca nell'ordine ad azionisti, titolari di obbligazioni subordinate (in essere per un miliardo) e se ancora i soldi non basteranno dai bond senior meno rischiosi (che le due banche hanno emesso per ben 13 miliardi).
4 L'assalto mancato di Ubi a Mps il 25 luglio 2016 (cap. II)
Le forti pressioni del governo sul management di Ubi Banca, la più solida e aggressiva tra le popolari, avevano convinto l'ad Victor Massiah a portare nel suo consiglio di gestione un dossier per l'acquisizione del Monte dei Paschi, con un progetto di ricapitalizzazione attorno ai 2,5 miliardi. Tre giorni dopo, il 25 luglio, il consiglio di sorveglianza bocciò l'ipotesi, molto ambiziosa dato che le dimensioni della preda senese superavano quelle dell'istituto bergamasco compratore. Dopo soli quattro giorni, il 29 luglio, emerse che il deficit patrimoniale di Mps era di 5 miliardi; e dopo cinque mesi, fallito il tentativo di colmarlo con mezzi raccolti sul mercato, la Bce ha stabilito che il deficit di patrimonio per Mps è di 8,8 miliardi, che dovrà mettere lo Stato italiano. Un bello scampato pericolo per Ubi, che nel frattempo ha comprato tre delle quattro banche ponte tenute in vita dal salvataggio di sistema di fine novembre 2015 al prezzo simbolico di un euro.
5 Il monarca della Popolare di Bari lascia lo scettro al figlio dopo 30 anni (cap. III)
La banca popolare di Bari non è il più familistico degli istituti di credito. E' retta dalla famiglia Jacobini dal 1960, mentre la Popolare di Ragusa è nelle mani dei discendenti maschi di Luigi Cartia dal 1902. Tuttavia la banca barese è molto più grande e potente, e da decenni fa il bello e cattivo tempo sulla finanza della dorsale adriatica. Nel 2014 la banca, anche per risolvere un problema alla vigilanza creditizia di Via Nazionale, aveva acconsentito all'acquisizione di Tercas e della controllata CariPescara. Due marchi di un gruppo in amministrazione straordinaria, che nel 2012 avevano ricevuto - fatto ancora inedito - una linea di liquidità emergenziale da parte della banca centrale (in gergo, «Ela») da 700 milioni per mantenerle in vita. Solo il Monte dei Paschi, qualche mese prima, aveva chiesto tanto alla vigilanza. Proprio l'impossibilità di rifinanziare quei 700 milioni di prestito, poiché era cambiata la normativa quadro e l'Ela era stata vietata agli istituti con patrimonio negativo, ha imposto di trovare un compratore a Tercas. Ma l'acquisizione ha appesantito la gestione e i rischi della Bari, che ha dovuto ricapitalizzare e (nel 2016) svalutare di un quinto le azioni. Le pressioni della vigilanza verso un miglioramento della struttura di governo, inoltre, stanno per indurre il presidente Marco Jacobini a non candidarsi per un altro mandato dopo 30 anni. Così uscirà rafforzato il ruolo del nuovo ad Franco Papa e del condirettore generale Gianluca Jacobini (mentre anche l'altro figlio del presidente Luigi Jacobini, vice dg, potrebbe fare un passo indietro nella governance). Ma il futuro dei 70mila soci che da mesi faticano a vendere le loro azioni Bari a un multiplo pari al valore patrimoniale resta incerto, tra la trasformazione spa e l'accesso alla nuova piattaforma di negoziazione Hi-Mtf.
6 Il paradosso del valore per 580mila soci e la piattaforma Hi-mtf per tornare a vendere le azioni (cap V)
Non ci sono solo i soci rovinati dal crollo delle due popolari di Vicenza e Montebelluna. Dopo la risoluzione di Banca Etruria, Carichieti, Banca Marche e Cariferrara, i borsini interni delle banche non quotate si sono di fatto fermati. A Bari come a Ragusa, fino al Bresciano (dove ha sede Banca Valsabbina) vendere i titoli che si sono pagati a caro prezzo è di fatto impossibile. Moltissimi vendono e quasi nessuno compra, con il risultato che gli azionisti si trovano "appesi" a un valore nominale molto distante dal reale prezzo. Un paradosso che alcuni istituti, a partire da Bari, hanno deciso di provare a superare utilizzando piattaforme di scambio come quella messa a punto da Hi-Mtf, che si pone come obiettivo fare incontrare domanda e offerta. Con un sistema progressivo di bande di oscillazione, che mette al riparo dagli choc di prezzo e dalle speculazioni le negoziazioni, la piattaforma in qualche mese potrebbe rendere di nuovo negoziabili le azioni delle popolari non quotate. Ma a quale prezzo? Probabilmente molto inferiore ai multipli attuali, vicini al valore patrimoniale mentre le banche quotate trattano anche sotto il 50%.
7 Storie di tagli, privilegi e cure dimagranti nelle banche popolari (cap. Epilogo)
C'è il ragioniere della Popolare di Milano, che grazie alla tessera sindacale (e ai voti "giusti" espressi in assemblea) ancora manda il figlio a studiare all'estero spesando i costi all'istituto, come negli anni Ottanta. E c'è il responsabile delle risorse umane della grande banca del nord, che si trasferisce alla Popolare di Bari e lì si accorge di essere circondato quasi solo da colleghi pugliesi, "perché è quello il criterio che viene usato per fare le assunzioni: non si sceglie il candidato migliore, ma il migliore fra quelli nati a Bari". E c'è lo sportellista di Udine, a cui la sua banca - la Popolare di Vicenza - a partire dal 2013 ha chiesto di vendere azioni dell'istituto a chiunque metteva piede in filiale. Lui si è convinto, ne ha comprate lui stesso, e tante le ha fatte comprare a parenti e amici. Ma quelle azioni sono crollate. Ora lo sportellista si trova senza soldi, con la paura di essere denunciato per truffa e il rischio di rimanere a casa. Perché la crisi del modello della banca popolare è anche la crisi di chi ci lavora dentro.
Quando il presidente di Bpvi Gianni Mion nell'ottobre 2016 annunciò il taglio nella sua banca di 1.500 posti di lavoro, l'intero sindacato dei bancari - da Fabi ai confederali, passando per le sigle minori - ha capito che qualcosa si era rotto per sempre. Quella prospettiva di licenziamenti veri e propri, poi in parte rientrata, cancellava infatti il tabù secondo cui il posto fisso in banca è il più sicuro degli impieghi. Ma le previsioni, anche le più ottimistiche, configurano uno scenario in cui - fra prepensionamenti ed esodi agevolati - il settore bancario perderà nei prossimi anni decine di migliaia di addetti. A cominciare proprio da quelle banche popolari, da Milano a Bari, in cui i dipendenti hanno avuto goduto di contratti migliori rispetto ai loro colleghi degli istituti commerciali. E chi resta in banca? Dovrà mutare per non scomparire. In un mondo in cui le banche vendono alla clientela polizze assicurative e prodotti finanziari sempre più raffinati, il vecchio sportellista deve trasformarsi in abile venditore e così il ragioniere da backoffice. Con tutte le opportunità (per le banche) e i rischi (per il cliente, soprattutto) che questa metamorfosi comporta.
8 Unipol "avrà una banca"? Il cantiere della finanza emiliana tra l'assicuratore bolognese e i cugini di Bper (cap. Epilogo)
Dodici anni dopo il leggendario "abbiamo una banca?" chiesto dal segretario dell'ex Pci Piero Fassino a Giovanni Consorte leader dell'Unipol, le assicurazioni rosse di Bologna potrebbero tornare nel giro grosso del credito. Lo schema del nuovo leader Carlo Cimbri è di farlo proprio attraverso una banca popolare, una delle più solide e redditizie: la Bper di Modena, di cui a dicembre Unipol è diventata azionista con il 5%. Ufficialmente si tratta di un presidio del contratto di distribuzione bancassicurativa che dà diritto Unipol di vendere polizze tramite la rete di sportelli dell'istituto emiliano. Ma Cimbri avrebbe in mente un progetto più grande: far confluire la controllata Unipol Banca nella Bper formato spa e diventarne (con Unipol) uno degli azionisti perno. Con un vantaggio competitivo notevole sugli altri soci: perché l'assicurazione di Via Stalingrado è - e rimane - una cooperativa, non toccata dalla riforma bancaria del governo Renzi. Per riuscire nell'intento, però, Unipol dovrà ripulire dai molti cattivi crediti la sua Unipol Banca. Per questo Cimbri ha da poco annunciato la costituzione di una bad bank che resterà nel gruppo Ugf, con impatti patrimoniali da definire. Così Unipol Banca risanata potrà diventare una pedina di scambio per entrare forte nel gruppo Bper. Ma Cimbri dovrà convincere Alessandro Vandelli, ad della banca di Modena che finora ha progetti autonomi: ha comprato a prezzo simbolico il moncone attivo della Cariferrara, e cerca un matrimonio con il Credito Valtellinese da una posizione di forza.
9 Popolare di Sondrio: il bastione delle popolari si trova laboratorio del cambiamento (cap. Epilogo)
L'istituto con sede a Sondrio, formato in cooperativa fin dal 1871 e che da allora ha sempre distribuito utili in forma di dividendo ai soci, è molto geloso della sua tradizione mutualistica e della sua identità "valligiana". Per questo ha sempre respinto le proposte di fusione giunte da altri istituti (tra cui Bper), e per questo ha ritardato il più possibile la trasformazione in spa. Ma le critiche che lo scorso dicembre il consiglio di Stato ha sollevato sulla riforma delle popolari - dietro ricorso proprio di un socio di Sondrio, l'economista Marco Vitale - hanno congelato l'iter verso la società per azioni. E in attesa che sulla legge si pronunci la Corte Costituzionale a Sondrio si sta preparando una guerra di trincea con due schieramenti in campo. Da una parte i soci storici, circa 185mila nomi che detengono metà del capitale della banca e restano ultrà dello statuto popolare; dall'altra alcuni fondi di investimento stranieri, capitanati da Amber che ha il 4,5% della banca ed è ormai il primo socio singolo, che crede nei fondamentali della Sondrio e del suo territorio (ma potrebbe avere come strategia quella di "portarla in dote" a un altro istituto voglioso di entrare nell'Alta Lombardia bancaria nel futuro). Quando la "perla delle popolari" valtellinese sarà diventata spa potrebbe bastare un 10-15% delle quote per orientare l'assemblea e le nomine.
10 Effetti positivi e negativi della riforma e dei cambiamenti prodotti nel 2015-2017 (cap Conclusioni)
La riforma che dall'inizio del 2015 ha obbligato le dieci maggiori banche popolari italiane a trasformarsi in spa due anni è stata un colpo di cannone che ha provocato rilevanti conseguenze: positive perché andava a sanare anni di gestioni opache e poco efficienti, ma anche negative per come la nuova legge è stata scritta, interpretata e applicata finora. La nostra inchiesta ha fatto emergere quattro grandi effetti positivi: 1, concentrazione del settore e riduzione dei costi operativi nel credito mutualistico; 2, modernizzazione dei modelli di governance e fine dell'anomalia delle "popolari quotate"; 3, fine dei potentati autoreferenziali di certi banchieri locali (Vicenza, Veneto, Marostica, Banca Etruria i principali); 4, fine del ruolo improprio di pivot e "nume" del sistema svolto dalla Banca d'Italia. Purtroppo di fianco agli effetti positivi ce ne sono almeno quattro di negativi: 1, turbolenze finanziarie causate dai primi tentativi goffi di salvare Banca Etruria, Vicenza e Veneto Banca; 2, blocco del finanziamento proveniente dai soci o dai fondi del mercato; 3, blocco dei borsini di negoziazione dove i soci scambiavano le azioni delle popolari non quotate; 4, minore biodiversità bancaria, con rischi sul credito alle piccole e medie imprese.
11 Parla Francesco Greco: "Serve un codice penale bancario" (cap. Conclusioni)
Come è possibile che le associazioni dei consumatori abbiano denunciato per 20 anni le condotte irregolari della Banca popolare di Vicenza, senza che mai si sia arrivati a una condanna dei vertici? E perché, dodici anni dopo l'apertura dell'inchiesta sulla scalata ad Antonveneta, sembra che il sistema del credito non abbia fatto gli anticorpi? I soci danneggiati dal crac delle banche venete chiedono "una procura nazionale per i reati delle banche", modellata sullo schema dell'Antimafia. Francesco Greco, procuratore capo a Milano, ha una ricetta diversa: "Serve un codice penale bancario, che oggi in Italia non esiste", dice. E bacchetta alcuni magistrati, "che hanno preso la brutta abitudine di delegare le indagini più complesse alla polizia giudiziaria, rinunciando di fatto al proprio ruolo di investigatori".
12 Intervista a Joseph Oughourlian, il maggior investitore nelle popolari italiane
Attraverso il fondo anglosassone Amber Capital il finanziere parigino di origini armene è stato il principale investitore nelle azioni delle banche popolari italiane dell'ultimo decennio, con un portafoglio del valore di centinaia di milioni puntati sugli istituti di Lodi, Milano, Sondrio, Modena e altri. Ha partecipato alla vita sociale, con interventi in molte assemblee e facendo eleggere amministratori di minoranza. Oughourlian racconta tutte le difficoltà che ha trovato, scontrandosi con il "muro di gomma" dei banchieri popolari e dei soci, e cita Antonio Gramsci per descrivere l'attuale situazione: "il vecchio muore e il nuovo non può nascere e in questo interregno si verificano fenomeni morbosi". Oggi Amber punta tutto su Sondrio, "l'unica popolare che incarna realmente lo spirito cooperativo nella propria attività , con un fortissimo legame con il territorio", guidata "da persone oneste e capaci che hanno prestato denaro in maniera oculata e a chi davvero lo merita, restando alla larga dalle politiche creditizie scriteriate che tanti danni hanno prodotto in altre popolari". Oughourlian nella lunga intervista svela tutti gli accorgimenti per investire in modo consapevole nelle banche popolari, analizza le cause della crisi che hanno portato alla riforma normativa, e gli effetti che questa produrrà sul settore in termini di efficienza e consolidamento.
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